venerdì 4 marzo 2011

Mons. Tomasi: violenze contro i cristiani in aumento perché sono in pochi a difenderli

Mons. Tomasi: violenze contro i cristiani in aumento perché sono in pochi a difenderli

Ieri, proprio nel giorno dell’assassinio del ministro cattolico Shahbaz Bhatti, l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio dell’Onu di Ginevra, arcivescovo Silvano Maria Tomasi, è intervenuto sul tema della libertà religiosa in occasione della 16.ma Sessione del Consiglio dei Diritti umani nella città elvetica. L'omicidio del ministro - ha affermato - è un'ulteriore dimostrazione della drammatica situazione che vivono molti cristiani. Ascoltiamo l'arcivescovo Tomasi intervistato da Amedeo Lomonaco:

R. – Ci troviamo in un momento particolarmente complicato nella difesa dei diritti umani dei cristiani, soprattutto in certi Paesi dell’Asia e dell’Africa. La discriminazione verso i cristiani non si riduce soltanto a delle vignette o a delle situazioni di mancanza di rispetto verso una fede religiosa, ma porta all’assassinio e alla violenza. Questo particolare momento interpella perciò la comunità internazionale.

D. – Eccellenza, ieri nel suo intervento ha ricordato che su 100 persone uccise a causa della religione, 75 sono cristiani. Quali, secondo lei, i motivi di questa proliferazione di violenze contro i cristiani?

R. – Non è facile identificare delle cause precise, però a me sembra che una delle ragioni attuali sia l’attività e l’iniziativa di gruppi non statali, che diventano sempre più influenti in risposta alle loro convinzioni estremiste. Questi gruppi vedono la loro identità nella distruzione dell’altro o arrivano a manipolare la religione per ottenere degli obiettivi politici e di potere. Si tratta quindi di analizzare, situazione per situazione, questo fenomeno che si sta allargando troppo. Bisogna guardare alle situazioni locali, però mi pare che sotto sotto ci sia un denominatore comune che lega questi atti di violenza contro i cristiani, che sono visti come dei target, degli obiettivi facili, perché non c’è vendetta, non c’è rappresaglia, non ci sono forze politiche che vengono a schierarsi in loro difesa. Questo facilita l’attuazione di questi atti di violenza. Fortunatamente c’è una tendenza – mi pare anche in Europa – a guardare in faccia questo problema che stiamo vivendo: si comincia a parlare più concretamente della difesa delle minoranze religiose nel mondo.

D. – Perché la libertà religiosa deve essere considerata come uno dei principali indicatori di una vera democrazia?

R. – La libertà di fede, la libertà di culto sono l’espressione più intima della persona umana, perché trattano del rapporto con la Trascendenza, toccano le motivazioni profonde delle scelte fondamentali che una persona fa. Per cui, se c’è questo rispetto del diritto della libertà religiosa, allora abbiamo anche il rispetto degli altri diritti umani. Ma se questo diritto viene soppresso o negato, vediamo che allo stesso modo saranno negate le aspirazioni democratiche. La difesa o la protezione di questo diritto è presentata negli strumenti di Diritto internazionale, per cui nel campo internazionale le agenzie delle Nazioni Unite, come il Consiglio dei Diritti umani, continuano a sostenere questo principio della libertà di religione. Si tratta di diventare un po’ più concreti, con delle misure operative; bisogna che ci sia un’informazione più accurata sulle persecuzioni delle minoranze religiose, una traduzione dei grandi principi generali nelle leggi concrete dei singoli Stati, in modo che il sistema giudiziario non favorisca l’impunità, non chiuda gli occhi davanti ai crimini commessi contro le persone di fede. (vv)

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