Nel Ratzinger teologo un equilibrio politico fra la pace e la verità
Le riflessioni nel libro su Gesù di Nazaret come coronamento di un percorso di purificazione
Joseph Ratzinger considera questo Gesù di Nazaret il coronamento della sua carriera di teologo. Ci pensa dagli anni Cinquanta, quando era teologo del Concilio.
L'ha maturata durante gli anni Sessanta, quando si è reso conto che il metodo storico-critico, sul quale ha basato l'inizio della sua carriera accademica, non rispondeva alla domanda su Dio, e anzi piuttosto slegava la figura di Cristo dal Dio dei Vangeli. Lo ha deciso negli anni Settanta, e non è un caso, se si vanno a rileggere in controluce gli episodi di questo pontificato.
Lo scorso marzo, nel pieno dello scandalo per la pedofilia, Benedetto XVI scrive una lettera ai cattolici irlandesi.
Chiede perdono per gli abusi, tende loro la mano, affida alla Chiesa irlandese il compito di fare pulizia al suo interno, aiutandola con quattro "commissari". E punta il dito su una sbagliata interpretazione del post Concilio, che ha portato a credere che non ci sia un male e non ci siano regole da stabilire.
È un qualcosa che si ritrova anche nella sua riflessione sul libro di Gesù. Scrive Ratzinger: «L'esegesi liberale ha detto che Gesù avrebbe sostituito la concezione rituale della purità con quella morale: al posto del culto e del suo mondo subentrerebbe una morale.
Allora il cristianesimo sarebbe essenzialmente una morale, una specie di riarmo etico». Ma questo non rende giustizia alla novità del nuovo testamento, chiosa Ratzinger. Che in seguito esplicita il suo pensiero parlando della lavanda dei piedi: solo se ci lasciamo ripetutamente lavare, «rendere puri» dal Signore stesso, «possiamo imparare a fare ciò che lui ha fatto».
Ecco, l'esigenza di purificazione, che passa per la penitenza, la purificazione.
Così, dalla lettera ai cattolici d'Irlanda, Benedetto XVI fa il passaggio successivo: mette la Chiesa in penitenza e in periodo di purificazione, e la affida nelle mani della Madonna, durante il suo viaggio a Fatima. Si deve ritornare alla purezza di Gesù.
Per poi vigilare affinché non si venga più sporcati. «La nostra vigilanza è la giustizia», scrive Ratzinger. Una giustizia che non va disgiunta dalla verità.
"Cooperatotes veritatis" è il motto episcopale scelto da Benedetto XVI. La verità divide, crea dissenso, difficoltà.
Benedetto XVI, dopo aver revocato la scomunica a quattro vescovi lefevbriani, si trova il fuoco incrociato delle critiche del suo stesso episcopato contro.
Scrive una lettera ai vescovi, racconta il perché di alcune leggerezze, le ammette, ma si risente dei confratelli «pronti a mordere e divorare» che hanno creato la polemica.
Lui avrebbe potuto preferire la pace, come ha fatto Ponzio Pilato. Lo racconta, Ratzinger, in un altro passaggio cruciale del libro, quello dedicato al governatore romano. Sapeva che Gesù non era un rivoluzionario. Sapeva che non costituiva un pericolo politico. Conosceva la verità.
Ma alla fine «vinse in lui l'interpretazione pragmatica del diritto: più importante della verità del caso è la forza pacificante del diritto, questo fu forse il suo pensiero e così si giustificò davanti a sé stesso. La pace fu in questo caso per lui più importante della giustizia». Ma, «in ultima analisi, la pace non può essere stabilita contro la verità».
È anche questo il dilemma cui si trova di fronte il Papa. Mantenere la pace tra i suoi fedeli, con un equilibrismo "politico" tra conservatori e progressisti, o agire cercando la verità, rischiando di creare divisione?
Il dilemma di Pilato è anche quello di un Papa. Il Papa che riflette sulla vita di Gesù in fondo riflette anche sulla sua vita.
An. Ga.
© Copyright La Sicilia, 11 marzo 2011
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