giovedì 10 marzo 2011

Nelle librerie la seconda parte del “Gesù di Nazaret” di Benedetto XVI (Radio Vaticana)

Nelle librerie la seconda parte del “Gesù di Nazaret” di Benedetto XVI

Nelle librerie, da oggi, la seconda parte del “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. L’opera, che illustra figura e messaggio di Gesù dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione, è pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana e viene presentata oggi alle 17.00 presso la Sala Stampa della Santa Sede dal cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e dal prof. Claudio Magris, scrittore e germanista. Una sintesi del libro in questa scheda a cura di Sergio Centofanti.

(Premessa) Il Papa non ha voluto scrivere una “Vita di Gesù”, ma “illustrare figura e messaggio di Gesù” per trovare il Gesù reale. Ha “cercato di sviluppare uno sguardo sul Gesù dei Vangeli e un ascolto che potesse diventare un incontro … guidato dall’ermeneutica della fede, ma al contempo tenendo conto responsabilmente della ragione storica” (congiungendo “ermeneutica della fede” e “ermeneutica della storia”) “in un modo che possa essere utile a tutti i lettori che vogliono incontrare Gesù e credergli”. Spera di poter trattare anche l’infanzia di Gesù, come promesso, in un “piccolo fascicolo”, se per questo gli “sarà ancora data la forza”.

(Cap. 1) Il Papa inizia il libro parlando dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, accolto dalla folla festante, seduto su un’asina, come “un re della pace e un re della semplicità, un re dei poveri”. Non è un rivoluzionario politico, “non si fonda sulla violenza; non avvia un’insurrezione militare contro Roma. Il suo potere è di carattere diverso: è nella povertà di Dio, nella pace di Dio che Egli individua l’unico potere salvifico”. “La violenza non instaura il regno di Dio. E’, al contrario, uno strumento preferito dall’anticristo … Non serve all’umanesimo, bensì alla disumanità”. “Gesù non viene come distruttore; non viene con la spada del rivoluzionario. Viene col dono della guarigione. Si dedica a coloro che a causa della loro infermità vengono spinti ai margini della propria vita ed ai margini della società. Egli mostra Dio come Colui che ama, e il suo potere come il potere dell’amore”. In particolare viene accolto con gioia dai piccoli, “da coloro che sono in grado di vedere con cuore puro e semplice e che sono aperti alla sua bontà”. Il giorno dopo l’ingresso a Gerusalemme Gesù caccia i mercanti dal tempio: combatte la “connessione tra culto e affari”, un tempio “diventato un covo di ladri”.

(Cap. 2) Dopo l’ingresso a Gerusalemme si inserisce “il grande discorso escatologico di Gesù con i temi centrali della distruzione del tempio, della distruzione di Gerusalemme, del Giudizio finale e della fine del mondo”. Gesù tante volte ha voluto raccogliere i figli di Gerusalemme “come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali”: ma non hanno voluto. E’ il “libero arbitrio dei pulcini”. I Romani distruggeranno il tempio e faranno grande strage degli ebrei. “Dio lascia una misura grande – stragrande secondo la nostra impressione – di libertà al male e ai cattivi; ciononostante la storia non gli sfugge dalle mani”. Per il giudaismo, “la distruzione del tempio dovette essere uno shock tremendo”: con la fine dei sacrifici espiatori niente più poteva “far da contrappeso” al male crescente nel mondo. Ma con Gesù “è superata l’epoca del tempio di pietra”. “E’ iniziato qualcosa di nuovo”. “Gesù stesso ha preso il posto del tempio, è Lui il nuovo tempio”, “è la presenza del Dio vivente. In Lui Dio e uomo, Dio e il mondo sono in contatto”. Nel suo amore si scioglie tutto il peccato del mondo. Gesù, nel discorso escatologico, parla del tempo dei pagani, situato tra la distruzione di Gerusalemme e la fine del mondo: durante questo tempo “il Vangelo deve essere portato in tutto il mondo e a tutti gli uomini: solo dopo, la storia può raggiungere la sua meta”. Allora finirà anche l’ostinazione di una parte di Israele e “tutto Israele sarà salvato”. Dio vuole salvare tutti. Gesù dice: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. “La parola, quasi un nulla a confronto col potere enorme dell’immenso cosmo materiale … è più reale e più durevole che l’intero mondo materiale. E’ la realtà vera ed affidabile … Gli elementi cosmici passano; la parola di Gesù è il vero ‘firmamento’, sotto il quale l’uomo può stare e restare”.

(Cap. 3) Con la lavanda dei piedi Gesù si spoglia del suo splendore divino per purificarci dalla nostra sporcizia e “renderci capaci di partecipare al banchetto nuziale di Dio”. Attua “una svolta radicale” nella storia della religione: davanti a Dio “non sono azioni rituali che purificano”, ma è “la fede che purifica il cuore”. Secondo l’esegesi liberale “Gesù avrebbe sostituito la concezione rituale della purità con quella morale”, ma “allora il cristianesimo sarebbe essenzialmente una morale”, ridotto all’ “estremo sforzo morale” di amare gli altri fino a sacrificare la propria vita. “Ma con ciò non si rende giustizia alla novità del Nuovo Testamento”. La novità del Vangelo “non può consistere nell’elevatezza della prestazione morale”. “La nuova Legge è la grazia dello Spirito Santo, non una nuova norma, ma l’interiorità nuova donata dallo stesso Spirito di Dio”. Solo se ci lasciamo ripetutamente lavare, ‘rendere puri’ dal Signore stesso, possiamo imparare a fare insieme con Lui ciò che Egli ha fatto”. “Dobbiamo lasciarci immergere nella misericordia del Signore; allora anche il nostro cuore ‘cuore’ troverà la via giusta”. Il comandamento nuovo dell’amore “non è semplicemente un’esigenza nuova e superiore: esso è legato alla novità di Gesù Cristo – al crescente essere immersi in Lui”. “La purezza è un dono”, come l’essere cristiani è un dono, che poi “si sviluppa nella dinamica del vivere ed agire insieme con questo dono”. Pietro e Giuda sono due modi diversi di reagire a questo dono. Entrambi lo accolgono, ma poi uno rinnega, l’altro tradisce. Pietro, pentitosi, crede nel perdono. Anche Giuda si pente, ma non “riesce più a credere ad un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione … vede ormai solo il proprio buio, è distruttivo e non è un vero pentimento”. “In Giuda incontriamo il pericolo che pervade tutti i tempi”, il pericolo cioè che anche chi è stato una volta illuminato, “attraverso una serie di forme apparentemente minute di infedeltà, decada spiritualmente e così alla fine, uscendo dalla luce, entri nella notte e non sia più capace di conversione”. Inoltre, in Giuda che lo tradisce, Gesù sperimenta “l’incomprensione, l’infedeltà fino all’interno del cerchio più intimo degli amici”. “La rottura dell’amicizia giunge fin nella comunità sacramentale della Chiesa, dove sempre di nuovo ci sono persone che prendono ‘il suo pane’ e lo tradiscono”. Come diceva Pascal “la sofferenza di Gesù, la sua agonia, perdura sino alla fine del mondo”. “Gesù in quell’ora si è caricato del tradimento di tutti i tempi, della sofferenza che viene in ogni tempo dall’essere traditi, sopportando così fino in fondo le miserie della storia”.

(Cap. 4) La preghiera sacerdotale di Gesù “è comprensibile solo sullo sfondo della liturgia della festa giudaica dell’Espiazione (Yom kippùr)”. L’innalzamento di Gesù sulla Croce costituisce “il giorno dell’Espiazione del mondo, in cui l’intera storia del mondo, contro tutta la colpa umana e tutte le sue distruzioni, trova il suo senso”: quello di riconciliarsi con Dio. Il non essere riconciliati con Dio, “con il Dio silenzioso, misterioso, apparentemente assente e tuttavia onnipresente, costituisce il problema essenziale di tutta la storia del mondo”. La missione di Gesù è universale: “non riguarda soltanto un circolo limitato di eletti; il suo obiettivo è il cosmo – il mondo nella sua totalità. Mediante i discepoli e la loro missione il mondo intero nel suo insieme deve essere strappato dalla sua alienazione, deve ritrovare l’unità con Dio”. La sua missione è che “l’uomo, nel diventare una cosa sola con Dio, torni ad essere totalmente se stesso. Questa trasformazione, però, ha il prezzo della croce e per i testimoni di Cristo quello della disponibilità al martirio”.

(Cap. 5) Il Papa affronta la questione della diversa datazione dell’Ultima Cena nei Sinottici e in Giovanni. In proposito parla di “groviglio di ipotesi tra loro contrastanti”. Sottolinea che “una ricerca storica può condurre sempre solo fino ad un alto grado di probabilità, mai ad una certezza ultima … Se la certezza della fede si basasse esclusivamente su un accertamento storico-scientifico, essa rimarrebbe sempre rivedibile”. “L’ultima certezza, sulla quale fondiamo l’intera nostra esistenza, ci è donata dalla fede – dall’umile credere insieme con la Chiesa di tutti i secoli, guidata dallo Spirito Santo”. I Sinottici parlano di una cena pasquale. Il giorno dopo, festa della Pasqua, Gesù viene processato e crocifisso. In Giovanni, l’Ultima Cena avviene il giorno prima della Pasqua e Gesù viene crocifisso non nel giorno della festa, ma nella sua vigilia. “Ciò significa che Gesù è morto nell’ora in cui nel tempio venivano immolati gli agnelli pasquali”: Gesù è “il vero Agnello”. Il Papa ritiene la cronologia giovannea più probabile. Cosa è stata allora – si chiede il Papa – l’ultima cena? Con Meier, spiega che Gesù, nella consapevolezza che non avrebbe più potuto mangiare la Pasqua invitò i discepoli “ad un’ultima cena di carattere molto particolare, una cena che non apparteneva a nessun determinato rito giudaico, ma era il suo congedo, in cui Egli dava qualcosa di nuovo, donava se stesso come il vero Agnello, istituendo così la sua Pasqua”. Il Papa affronta quindi il concetto di espiazione che per certa teologia moderna sarebbe inconcepibile e in contrasto “con un’immagine pura di Dio”. “Dio – afferma – non può semplicemente ignorare tutta la disobbedienza degli uomini, tutto il male della storia, non può trattarlo come cosa irrilevante ed insignificante … L’ingiustizia, il male … deve essere smaltito, vinto. Solo questa è la vera misericordia. E che ora, poiché gli uomini non ne sono in grado, lo faccia Dio stesso – questa è la bontà ‘incondizionata’ di Dio, una bontà che non può mai essere in contraddizione con la verità e la connessa giustizia”. “A tutta la marea sporca del male si oppone l’obbedienza del Figlio, nel quale Dio stesso ha sofferto e la cui obbedienza pertanto è sempre infinitamente più grande della massa crescente del male”. Il Papa sottolinea quindi che “ciò che la Chiesa celebra nella Messa non è l’ultima cena, ma ciò che il Signore, durante l’ultima cena, ha istituito ed affidato alla Chiesa: la memoria della sua morte sacrificale”. E poiché il dono di Gesù è radicato nella risurrezione, la celebrazione del Sacramento doveva svolgersi nel Giorno del Signore, la domenica. Già nel periodo degli apostoli “l’Eucaristia veniva celebrata come incontro con il Risorto”. “Un arcaismo, che volesse tornare a prima della risurrezione e della sua dinamica ed imitare soltanto l’ultima cena, non corrisponderebbe affatto alla natura del dono che il Signore ha lasciato ai discepoli”.

(Cap. 6) Nel Getsèmani Gesù “ha sperimentato l’ultima solitudine, tutta la tribolazione dell’essere uomo. Qui l’abisso del peccato e di tutto il male gli è penetrato nel più profondo dell’anima. Qui è stato toccato dallo sconvolgimento della morte imminente. Qui il traditore lo ha baciato. Qui tutti i discepoli lo hanno lasciato. Qui Egli ha lottato anche per me”. Al contrario di quanto accaduto nel giardino del Paradiso terrestre, in questo giardino degli ulivi “Gesù ha accettato fino in fondo la volontà del Padre, l’ha fatta sua e così ha capovolto la storia”. Pietro è contrario alla croce. “Chi potrebbe negare che il suo atteggiamento rispecchi la tentazione continua dei cristiani, anzi anche della Chiesa: senza la croce arrivare al successo”. Gesù chiede ai discepoli di vegliare, ma invano. “La sonnolenza dei discepoli rimane lungo i secoli l’occasione favorevole per il potere del male. Questa sonnolenza è un intorpidimento dell’anima, che non si lascia scuotere dal potere del male nel mondo, da tutta l’ingiustizia e da tutta la sofferenza che devastano la terra … Ma questa insensibilità …conferisce al maligno un potere nel mondo”. Un’immane angoscia assale Gesù nella consapevolezza di prendere su di sé tutto il male del mondo perché “in Lui sia privato di potere e superato”. E’ un’angoscia radicale: “è lo scontro stesso tra luce e tenebre, tra vita e morte – il vero dramma della scelta che caratterizza la storia umana”. Gesù eleva la sua supplica al Padre, a Colui che può salvarlo da morte e “per il suo pieno abbandono a lui venne esaudito”. Infatti “sulla croce, Gesù diventa fonte di vita per sé e per tutti. Sulla croce, la morte viene vinta”.

(Cap. 7) Parlando del processo a Gesù il Papa sottolinea che a volere la sua morte non è stato “il popolo” degli Ebrei come tale, anche perché Gesù e gli stessi discepoli erano ebrei. Ad accusarlo era l’aristocrazia del tempio, ma con eccezioni (vedi Nicodemo), e - nel contesto dell’amnistia proposta da Pilato – la massa dei sostenitori di Barabba. “Se secondo Matteo – scrive il Papa – ‘tutto il popolo’ avrebbe detto: ‘Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli’, il cristiano ricorderà che il sangue di Gesù … non chiede vendetta e punizione, ma è riconciliazione. Non viene versato contro qualcuno, ma è sangue versato per molti, per tutti …non è maledizione, ma redenzione, salvezza”. Durante il processo Pilato chiede: “Che cos’è la verità?”. “La non-redenzione del mondo consiste … nella non-riconoscibilità della verità, una situazione che poi conduce inevitabilmente al dominio del pragmatismo, e in questo modo fa sì che il potere dei più forti diventi il dio di questo mondo”. “Non è forse vero che le grandi dittature sono vissute in virtù della menzogna ideologica e che soltanto la verità potè portare la liberazione?”. Verità e menzogna “sono continuamente mescolate in modo quasi inestricabile. La verità in tutta la sua grandezza e purezza non appare”. E come Pilato, in molti oggi hanno accantonato la domanda sulla verità come “irrisolvibile”. “Anche oggi, nella disputa politica come nella discussione circa la formazione del diritto, per lo più si prova fastidio per essa. Ma senza la verità l’uomo non coglie il senso della vita, lascia … il campo ai più forti”. La verità “diventa riconoscibile in Gesù Cristo”. “La verità esternamente è impotente nel mondo; come Cristo, secondo i criteri del mondo, è senza potere …Viene crocifisso. Ma proprio così, nella totale mancanza di potere, egli è potente, e solo così la verità diviene sempre nuovamente una potenza”. Nella passione di Gesù, “nella sua miseria si rispecchia la disumanità del potere umano, che schiaccia l’impotente”. “ Da quando Gesù si è lasciato percuotere, proprio i feriti e i percossi sono immagine del Dio che ha voluto soffrire per noi. Così, nel mezzo della sua passione, Gesù è immagine di speranza: Dio sta dalla parte dei sofferenti”.

(Cap. 8) La crocifissione e la deposizione di Gesù nel sepolcro. “Nessuno … si era aspettato una fine in croce del Messia”. “I fatti in un primo tempo incomprensibili hanno condotto ad una nuova comprensione della Scrittura”. La prima parola di Gesù sulla croce è la richiesta di perdono per i crocifissori, perché “non sanno quello che fanno”. Il Papa sottolinea che questa richiesta del Signore “rimane una consolazione per tutti i tempi e per tutti gli uomini”, anche se l’ignoranza rivela un’ottusità del cuore. Nota poi che la combinazione di erudizione e ignoranza, conoscenza materiale e profonda incomprensione, esiste in tutti i tempi. Si sofferma sul buon ladrone che “proprio sulla croce ha capito che quest’uomo privo di potere è il vero re”. “Il buon ladrone è diventato l’immagine della speranza – la certezza consolante che la misericordia di Dio può raggiungerci anche nell’ultimo istante; la certezza, anzi, che dopo una vita sbagliata, la preghiera che implora la sua bontà non è vana”. Dal costato trafitto di Gesù escono sangue e acqua. Il Papa cita la Prima Lettera di Giovanni: Gesù è colui che è venuto con acqua e sangue, non con l’acqua soltanto. Un riferimento a quanti considerano “importante solo la parola, la dottrina, il messaggio di Gesù, ma non la ‘carne’, il corpo vivente di Cristo, dissanguato sulla croce”, ovvero “un cristianesimo del pensiero e delle idee” dal quale si toglie via “la realtà della carne: il sacrificio e il Sacramento”. “Nella passione di Gesù, tutto lo sporco del mondo viene a contatto con l’immensamente Puro …Se di solito la cosa impura mediante il contatto contagia ed inquina la cosa pura, qui abbiamo il contrario … lo sporco del mondo viene realmente assorbito, annullato, trasformato mediante il dolore dell’amore infinito”. Così il Papa può affermare che “ il bene è sempre infinitamente più grande di tutta la massa del male, per quanto essa sia terribile”. “Per questo, al centro del ministero apostolico e dell’annuncio del Vangelo … deve stare l’ingresso nel mistero della croce”. “Nella croce l’oscurità e l’illogicità del peccato s’incontrano con la santità di Dio nella sua luminosità abbagliante per i nostri occhi e questo va al di là della nostra logica. E tuttavia, nel messaggio del Nuovo Testamento e nel suo verificarsi nella vita dei santi, il grande mistero è diventato del tutto luminoso. Il mistero dell’espiazione non deve essere sacrificato a nessun razionalismo saccente”.

(Cap. 9) La risurrezione di Gesù dalla morte. Senza fede nella risurrezione – afferma il Papa – “la fede cristiana è morta”. “Solo se Gesù è risorto è avvenuto qualcosa di veramente nuovo che cambia il mondo e la situazione dell’uomo”. Non è stato il miracolo di un cadavere rianimato. “La risurrezione di Gesù è stata l’evasione verso un genere di vita totalmente nuovo, verso una vita non più soggetta alla legge del morire e del divenire, ma posta al di là di ciò – una vita che ha inaugurato una nuova dimensione dell’essere uomini”. “La risurrezione di Gesù … è una sorta di ‘mutazione decisiva’ … un salto di qualità. Nella risurrezione di Gesù è stata raggiunta una nuova possibilità di essere uomo, una possibilità che interessa tutti e apre un futuro, un nuovo genere di futuro per gli uomini”. I discepoli, testimoni della risurrezione, furono sopraffatti da una realtà che fino ad allora semplicemente non contemplavano. E “con un coraggio assolutamente nuovo si presentarono davanti al mondo per testimoniare: Cristo è veramente risorto”. Un’audacia impensabile per dei seguaci impauriti di un Maestro crocifisso, senza un contatto reale con Gesù veramente risorto. Nella risurrezione – scrive il Papa – “non può esserci alcun contrasto con ciò che costituisce un chiaro dato scientifico. Nelle testimonianze sulla risurrezione, certo, si parla di qualcosa che non rientra nel mondo della nostra esperienza. Si parla di qualcosa di nuovo … Non si contesta la realtà esistente. Ci viene detto piuttosto: esiste un’ulteriore dimensione rispetto a quelle che finora conosciamo. Ciò sta forse in contrasto con la scienza?”. “Nell’intera storia di ciò che vive – afferma il Papa – gli inizi delle novità sono piccoli, quasi invisibili – possono essere ignorati. Il Signore stesso ha detto che il ‘regno dei cieli’, in questo mondo, è come un granello di senape, il più piccolo di tutti i semi. Ma reca in sé le potenzialità infinite di Dio. La risurrezione di Gesù, dal punto di vista della storia del mondo, è poco appariscente, è il seme più piccolo della storia. Questo capovolgimento delle proporzioni fa parte dei misteri di Dio. In fin dei conti, ciò che è grande, potente, è la cosa piccola. E il seme piccolo è la cosa veramente grande”. La risurrezione “è un evento dentro la storia che, tuttavia, infrange l’ambito della storia e va al di là di essa”. Con Giuda Taddeo il Papa si chiede perché Gesù si sia manifestato solo a pochi e non si sia opposto con tutta la sua potenza ai nemici che lo hanno crocifisso. “E’ proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell’umanità la sua storia … Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di ‘vedere’. E tuttavia – non è forse proprio questo lo stile divino? Non sopraffare con la potenza esteriore, ma dare libertà, donare e suscitare amore”.

(Prospettive) E’ salito al cielo – siede alla destra di Dio Padre e di nuovo verrà nella gloria. La testimonianza dei discepoli di Gesù “si traduce essenzialmente in una missione: devono annunciare al mondo che Gesù è il Vivente – la Vita stessa”. Luca, nel racconto dell’ascensione “ci dice che i discepoli erano pieni di gioia dopo che il Signore si era allontanato definitivamente da loro”. “Non si sentono abbandonati … Sono sicuri che il Risorto … proprio ora è presente in mezzo a loro in una maniera nuova e potente”, una presenza “che non si può più perdere”: ora è “sempre presente accanto a noi e per noi”. “E’ presente accanto a tutti ed invocabile da parte di tutti – attraverso tutta la storia – e in tutti i luoghi”. Eppure, spesso, i discepoli di Gesù continuano ad aver paura, come gli apostoli sul Lago di Tiberiade durante una tempesta: “Anche oggi la barca della Chiesa, col vento contrario della storia, naviga attraverso l’oceano agitato del tempo. Spesso si ha l’impressione che debba affondare. Ma il Signore è presente e viene nel momento opportuno … è questa la fiducia dei cristiani, la ragione della nostra gioia”, nell’attesa che Gesù di nuovo verrà nella gloria. “La fede nel ritorno di Cristo è il secondo pilastro della professione cristiana … Questo implica la certezza nella speranza che Dio asciugherà ogni lacrima, non rimarrà niente che sia privo di senso, ogni ingiustizia sarà superata e stabilita la giustizia. La vittoria dell’amore sarà l’ultima parola della storia del mondo. Per il ‘tempo intermedio’ ai cristiani è richiesta … la vigilanza …Vigilanza significa soprattutto apertura al bene, alla verità, a Dio, in mezzo a un mondo spesso inspiegabile e in mezzo al potere del male”. “I cristiani invocano la venuta definitiva di Gesù e vedono al contempo con gioia e gratitudine che Egli già ora anticipa questa sua venuta, già ora entra in mezzo a noi … ‘Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo’”.

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Praticamente un appello allo scisma contenuto nell'ultimo libello dell'eretico svizzero che, guarda caso, esce lo stesso giorno del Gesù di Nazaret:
Fr Hans Kung exhorts Catholics to reject the authority of Magisterium as a ‘duty’
http://protectthepope.com/?p=2673
Alessia