Un incontro inaspettato
di Rocco Buttiglione
Il secondo volume del libro di Josef Ratzinger su Gesù di Nazareth porta il sottotitolo Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla Resurrezione.
Siamo dunque al centro del mistero pasquale. Gesù all'inizio del libro ha già predicato per le strade della Giudea e della Galilea. Ha incontrato e conosciuto i suoi discepoli. Li ha chiamati amici. Sempre nell'incontro dell'uomo con l'uomo si scopre un mondo di valori che dà alla vita una intensità ed una qualità diversa ed insospettata. Nell'incontro con Cristo questo avviene in un modo ancora molto più grande. Nella amicizia di Gesù con i discepoli si scopre la dimensione vera dell'umano. È, questa amicizia, la terra nuova dove scorre il latte ed il miele. È, anche, la vita eterna, che non è semplicemente una vita che non ha fine ma una vita infinitamente più intensa e più vera. Per questo i discepoli lo chiamano Messia. Adesso, in questo secondo volume, abbiamo una drammatica inversione di polarità. I suoi, quelli che insieme con lui hanno sperimentato il gusto della vita nuova, adesso lo tradiscono. Come da Gesù nasce una storia nuova che unisce, così da Giuda rinasce l'uomo vecchio che divide e tradisce. A tradire, infatti, non sarà solo Giuda ma, sotto il peso della situazione nuova e drammatica creata dal suo tradimento, anche gli altri, e Pietro prima di tutto.
Sulla croce Gesù si ritroverà solo. Solo? No, non del tutto.Abbandonato da tutti e, apparentemente anche dal Padre, Gesù muore però nella compagnia di sua Madre, di alcune amiche della Madre (le pie donne) e di Giovanni che egli consegna alla Madre come figlio della adozione.La vita dell'uomo conosce l'esperienza dell'incontro in cui si scopre la grandezza dell'umano ma conosce anche l'esperienza del tradimento che toglie gusto alle cose e precipita l'uomo nella disperazione. Gesù, vero uomo, fa ambedue queste esperienze in modo radicale. Egli ha motivi sufficienti per affermare che la vita è un meraviglioso dono di Dio ma anche per affermare che la vita è infine sofferenza, non-senso e dolore e che Dio non esiste o se esiste è un Signore crudele. Rimanendo fedele ed obbediente a Dio fino alla morte ed alla morte in croce Gesù rende a Dio ed agli uomini la propria testimonianza. A questa testimonianza risponderà la testimonianza del Padre che lo farà resuscitare dai morti e gli darà la possibilità di far partecipare alla vita eterna i suoi amici, quelli che credono in lui. Nella Resurrezione si scioglie la costitutiva ambiguità del reale, che oscilla fra il senso ed il non-senso, fra l'affermazione del bene e quella del male. Abbiamo detto che a partire da Giuda si disgrega la comunità degli amici di Gesù. Ma è proprio così? Ratzinger insiste molto sul commento a Giovanni, 13,27: dopo che Giuda ebbe mangiato il pezzo di pane che Gesù gli aveva offerto "Satana entrò in lui". Il principio della disunione e del tradimento non nasce dall'uomo Giuda ma dal demonio che entra in lui. Se gli uomini fossero interamente responsabili del male che commettono per loro non vi potrebbe essere salvezza. La possibilità del perdono nasce proprio dal fatto che il male che commettiamo non ci appartiene interamente. Lo commettiamo perché ingannati e per questo, quando comprendiamo ciò che veramente abbiamo fatto possiamo prendere le distanze da noi stessi, convertirci. Anche Giuda si renderà conto del male che ha fatto e cercherà perfino di riparare ma si ucciderà quando si renderà conto che il male compiuto è irreversibile. Senza la fede che Dio (e Lui solo) può rimediare il nostro male saremmo schiacciati dalla coscienza del peccato. Dentro questa struttura generale del racconto di Ratzinger ci soffermiamo adesso su due punti cui egli stesso dedica una particolare a tenzione. Il primo è quello della responsabilità della morte di Gesù. Il secondo è quello della verità. Davvero è il popolo ebraico il colpevole della morte di Gesù? Su questa convinzione si sono fondati quasi due millenni di antiebraismo cristiano. Ratzinger osserva come l'uso della parola "giudei"in S. Giovanni ha un senso tecnico preciso. Non si tratta di tutto il popolo ebraico ma della aristocrazia del Tempio e dei suoi servitori. Sono loro che chiederanno la morte di Gesù (e non tutti, sappiamo di una minoranza di amici di Gesù anche fra di loro, si pensi a Nicodemo ed a Giuseppe di Arimatea). Ad essi si aggiunge la "folla" dei sostenitori di Barabba.È Marco ad usare la parola greca ochlos, che vuol dire appunto massa o folla e che comunque chiaramente non indica il popolo di Israele come tale. Quando Pilato chiede al popolo (rectius: alla folla) se vogliono che gli liberi Gesù o Barabba i seguaci di Barabba riescono a far gridare il nome di Barabba mentre gli amici di Gesù tacciono disorganizzati e demoralizzati e sgomenti. È L'evangelista Matteo ad offrire un addentellato per parlare di colpa collettiva del popolo ebraico quando dice che a chiedere la morte di Gesù fu "tutto il popolo" (Matteo 27,25). e aggiunge "il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli" (ibidem). Cosa ha voluto dire esatscienza. cotamente S. Matteo? Più che un resoconto esatto di quello che è accaduto Matteo ce ne offre una interpretazione teologica: quelli che chiedono che il sangue di Gesù ricada sul loro capo lo fanno immaginando che esso sia un sangue che chiede vendetta. Sono così sicuri della giustezza della loro condanna che si offrono, qualora essa fosse sbagliata, alla vendetta del sangue. Ma il sangue di Gesù non è un sangue di vendetta ma di misericordia. Esso lava, purifica e salva coloro sulla cui testa esso ricade. In questo senso esso ricade sulla testa del popolo di Israele ma anche su quella del popolo romano. Gli ebrei (rectius alcuni ebrei) hanno chiesto la morte di Gesù ma i romani (alcuni romani) quella morte hanno concesso ed eseguito. E anche per i romani e per tutti gli uomini quello non sarà un sangue di vendetta ma di perdono e di salvezza. È facile capire quanto sia importante questa chiarificazione sulla morte di Gesù per una giusta relazione fra cristiani ed ebrei . Essa non è contenuta in un atto magisteriale ma in un libro del Papa. Questo libro di un Papa che è anche incontestabilmente il maggior teologo del tempo nostro chiarifica però e spiega quanto è già contenuto in numerosi documenti del Magistero. Un altro tema sul quale Iosef Ratzinger concentra in modo particolare la sua attenzione è quello della verità e insieme della regalità di Cristo. Gesù è accusato di essere e voler essere il re dei Giudei. Alla domanda di Pilato Gesù risponde confermando l'accusa: sì, veramente egli è Re, ma non allo stesso modo dei re di questo mondo. Due sono i lati della regalità. Per un aspetto il re è giudice: dice la verità, divide il giusto dall'ingiusto, il bene dal male. In questo senso certo Gesù è Re e per questo è venuto al mondo, per rendere testimonianza alla verità.
Per un altro aspetto, però, il re porta la spada e la porta per una giusta ragione. Dopo aver distinto il bene dal male il re punisce i cattivi e premia i buoni. La spada serve per punire e serve anche per difendere chi la porta. Chi dice la verità ma non porta la spada rischia con certezza di cadere vittima della vendetta dei malvagi. È, questa, anche la sorte del giusto di cui parla Platone nella Repubblica. Gesù è un re anomalo. Dice la verità ma non porta la spada. È per questo che finirà sulla croce. Gesù ha rifiutato le dodici legioni di angeli che il Padre gli avrebbe inviato se Lui le avesse chieste, ed ha rifiutato anche la via della insurrezione e della resistenza armata che Pietro era pronto a percorrere. Gesù è un re pacifico. Qui siamo alla radice della distinzione fra ciò che è di Dio e ciò che è di Cesare. A Dio appartiene la verità, Cesare porta la spada. La distinzione di autorità e potere è tipica del mondo cristiano e della civiltà occidentale. L'autorità dice la verità, il potere porta la spada. Questa scissione è però difficilmente sopportabile. Aristotele ci spiega con candore che nella impossibilità di dare il potere a chi dice la verità si è deciso di prendere come verità ciò che dice il potere. Da Hobbes a Spinoza ricorrerà poi l'idea che ciascuno ha tanto diritto quanto potere. Gesù ci parla invece di una autorità senza potere che convince versando non il sangue dei suoi nemici ma quello dei propri martiri. Dire la verità davanti al potere senza sfidarlo sul terreno della forza ma facendo appello alla sua coscienza perché anche gli uomini che esercitano il potere hanno una co esatscienza. Questa è la regalità di Cristo davanti alla quale Pilato non riesce a nascondere il suo imbarazzo.
Egli sa che Gesù non è un minaccia per l'ordine civile romano e, quindi, è innocente dell'accusa di sovversione e ribellione per la quale è portato davanti al Tribunale. La sua coscienza gli dice di assolvere. Gli accusatori di Gesù, però, hanno il potere. Possono calunniare Pilato presso Cesare e dirgli che ha assolto un sovversivo e non è stato diligente nel difendere il potere romano. La bilancia del potere pende contro Gesù, Pilato decide infine di dare il crisma della verità a quelli che dispongono della forza prevalente. Egli non può credere che le accuse siano vere ma sa bene che il potere conta più della verità. Il potere - per lui e in un certo qual modo per tutti i politici del mondo - fa la verità. La decisione di condannare Gesù appare a Pilato politicamente obbligata e per questo non se ne sente responsabile. Se ne lava le mani. Ma basta questo per sottrarsi alla responsabilità? Evidentemente no. È in questo contesto che si colloca la domanda: "che cosa è la verità?". A questa domanda Ratzinger dedica alcune pagine di grande fascino. Egli cita S.Tommaso: la verità è "adaequatio rei et intellectus". Una proposizione è vera se le cose stanno come le parole dicono. Pilato sa che non è vero che Gesù è un criminale ed un ribelle. La verità, però, non è solo le cose così come sono. L'uomo porta nel cuore un desiderio di verità e di bene per se stesso e legge le cose del mondo in riferimento a questo desiderio di verità e di bene. Il modo in cui vediamo la verità dipende da ciò che il nostro cuore ama. Pilato non è in grado di accettare una verità che lo oppone al potere, che distrugge la sua carriera, che forse lo espone alla punizione dell'imperatore. Ratzinger cita anche una seconda definizione di verità tratta da S.Tommaso, questa volta dal De Veritate "La verità è in primo luogo ed in senso proprio nell'intelletto di Dio e nell'intelletto umano essa è presente veramente ma in modo derivato (q.1 ad. 4 c). Capiamo davvero la verità di una cosa quando la collochiamo in relazione con tutte le altre e vediamo come Dio la ha voluta e perché Dio la ha voluta. Quando comprendiamo questo capiamo anche perché la verità di Dio è anche la nostra verità, perché in essa è contenuta la realizzazione vera del nostro desiderio più autentico. Questo è qualcosa che non ci è immediatamente accessibile. Molte volte (e nel caso di Pilato) la verità si oppone al desiderio del nostro cuore. Sembra che la Verità voglia il nostro male. Allora noi ci allontaniamo dalla verità. Nessuno più di Gesù poteva pensare che la Verità fosse contro di lui, e tuttavia nella prova egli rimane fedele. Sia Giuda che Pilato si fanno invece una verità sulla propria misura, una verità che non li oppone al potere, una verità compatibile con il potere. La esperienza comune è più vicina a quella di Pilato e di Giuda che a quella di Gesù. Sembra talvolta o spesso che Dio non voglia il bene dell'uomo. Nello gnosticismo antico questo si esprime nella convinzione che il mondo sia dominato da un dio malvagio. È solo attraverso la Resurrezione di Gesù che Dio stesso scioglie la ambiguità del mondo e quindi l'ambiguità della verità di ciascuno di noi. Il Gesù Dio rende evidente che il mondo è fatto per la salvezza e mostra con evidenza di essere buono. È a partire da Gesù che diventa ragionevole pensare che la verità di Dio e la nostra felicità possano coincidere, cioè che Dio possa essere la nostra verità, la verità che salva e compie il desiderio di bene di ciascuno di noi. I filosofi (alcuni filosofi) avevano enunciato questa verità già prima di Gesù. Per poterlo fare avevano però dovuto amputare dalla esperienza umana tutta l'enorme potenza del negativo, del dolore e della morte. Nel cristianesimo la affermazione che Dio è "ipsa summa et prima veritas" (S.theol. I q.16 a. 5 c."la prima e più alta verità stessa") viene fatta dopo avere attraversato l'intero spessore del negativo, dopo la morte in croce. Il messaggio conclusivo di questo libro è dunque un messaggio pasquale. Chi lo leggerà ne trarrà una immagine del cristianesimo diversa da quella che è oggi l'opinione comune. Difficilmente si impara ciò che si pensa di conoscere già ed il libro di Ratzinger mostra chiaramente quanto sia diverso il cristianesimo dalle immagini stereotipate che ne hanno tanti non credenti (e tanti credenti). Non sappiamo se il libro avrà ancora una continuazione. Se la avesse dopo il mistero della incarnazione e del Natale (I volume) e quello della Resurrezione e della Pasqua (II volume), il terzo volume dovrebbe essere dedicato alla Pentecoste ed alla vita del Risorto nella Chiesa.
© Copyright Liberal, 11 marzo 2011 consultabile online anche qui.
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