domenica 13 marzo 2011

Libro del Papa, Gesù così reale da unificare storia e fede (Gianfranco Ravasi)

Gesù così reale da unificare storia e fede

Gianfranco Ravasi

Le anticipazioni di un libro hanno la funzione di "ingolosire" l'eventuale lettore, ma possono essere anche fuorvianti, non riuscendo sempre a mostrare il tutto dell'opera in quel frammento. Dopo le paginate dedicate ai primi assaggi del nuovo "capitolo", il secondo, del Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI (è noto il significato di questa doppia authorship), cerchiamo di offrire uno sguardo panoramico sull'intero volume ormai a disposizione nella sua integralità.
Dalla nostra lettura abbiamo raccolto una fitta serie di annotazioni che ora possiamo solo raggrumare attorno a due capisaldi, preceduti da una premessa. Quest'ultima è presto detta e riguarda lo stile. Un mio antico maestro di esegesi biblica, Luis Alonso Schökel, insegnava che «chiarità è carità»: lo stile limpido, il dettato piano, l'essenzialità che va al cuore delle questioni sono un atto di rispetto e di amore nei confronti del lettore o del discepolo. Ebbene, Ratzinger in questo senso è un modello che molti teologi, amanti di un linguaggio criptico e di una sorta di esoterismo oracolare, dovrebbero senza esitazione imitare e senza per questo abdicare alle esigenze del rigore delle analisi.
Ma veniamo alla prima e fondamentale annotazione. Essa è di metodo o, se si vuole, di prospettiva. L'«interezza metodologica» che lo studioso dei Vangeli deve adottare va basata su un incontro e un intreccio tra ermeneutica storica ed ermeneutica di fede, facendo sì che «l'esegesi sia disciplina storica e al contempo teologica» proprio come l'oggetto della sua ricerca esige. Infatti, i Vangeli non sono né una mera biografia storico-documentaria di Gesù di Nazaret, né soltanto una cristologia, così come il Gesù "reale" va oltre il puro e semplice Gesù "storico". Ritorna in questa linea interpretativa un atteggiamento che Benedetto XVI ha già accolto nel primo tomo della sua opera e che ha ribadito a più riprese. Esemplare, al riguardo, è quanto da lui affermato nella recente esortazione apostolica sulla Parola di Dio Verbum Domini (30-9-2010) ove si evoca un intervento dello stesso Pontefice durante il Sinodo dei Vescovi del 2008.
Certo, si tratta di due approcci differenti ma, «distinguere i due livelli non significa affatto separarli, né contrapporli, né meramente giustapporli. Essi si danno solo in reciprocità; un'improduttiva separazione tra essi ingenera un'estraneità tra esegesi e teologia», col rischio di rendere la prima solo un'analisi documentaria e la seconda un'astrazione teorica. Ritrovare questa interazione tra storia e fede, evitando la tentazione della separatezza e persino del dualismo non è postulato solo dalla natura stessa dei Vangeli e dalla figura del Gesù reale, che si autopone come Logos trascendente, ma anche come sarx, ossia "carne" storica documentabile (per usare la celebre formula giovannea). È un appello che sorge anche dalla struttura stessa dell'essere e dell'esistere. Essa non è riducibile a mero fenomenismo positivistico, a meno di ricorrere a una concezione semplificata che riconosca validi solo gli asserti di stampo fisico e storiografico, come gli unici capaci di spiegare ed esaurire la realtà, negando ogni altra via di conoscenza e ogni dimensione ulteriore dell'essere e dell'esistere (si pensi solo, ad esempio, alla via estetica dell'arte o a quella d'amore, tanto per esemplificare con altri percorsi di conoscenza analoghi a quelli della fede e della mistica).
La dimostrazione di questa impostazione unitaria la si ha procedendo con Ratzinger-Benedetto XVI attraverso le nove tappe del suo itinerario storico-teologico. In ciascuna di esse si scopre come la base storica si apre all'irradiazione di un altro livello trascendente, in un incrocio costante di cui era già consapevole la Chiesa delle origini sia nel vivere quelle esperienze sia nel "ricordarle" e narrarle. Questa interazione è spesso operata attraverso la rilettura delle profezie anticotestamentarie che diventano una sorta di guida ermeneutica adottata dallo stesso Gesù (e dagli evangelisti) per formulare e formalizzare la dimensione trascendente degli eventi che egli vive.
È questo «lo stile caratteristico del parlare di Gesù: con parole della Scrittura egli allude al suo destino, inserendolo al tempo stesso nella logica di Dio, nella logica della storia della salvezza». Interessante è notare che questa impostazione è recepita dalla stessa Chiesa nascente, alla cui trasmissione noi ci dobbiamo necessariamente affidare: essa «si sapeva severamente impegnata nella fedeltà all'essenziale, ma era anche consapevole che lo spettro di risonanza delle parole di Gesù con le relative allusioni sottili a testi della Scrittura permetteva qualche modellatura nelle sfumature», proprio nella coscienza della complessità strutturale degli eventi e delle parole di Cristo.
Emblematiche in questo senso sono le tappe dell'Ultima Cena, del processo, della crocifissione e della risurrezione. Tanto per fare un esempio riguardante il processo sia sinedrale sia imperiale – oggetto dell'anticipazione sopra accennata che è stata però letta dai giornali solo in chiave di dialogo col giudaismo –, l'analisi di Benedetto XVI punta ai diversi «livelli che bisogna vedere insieme per capire l'avvenimento nella sua complessità». Davanti al Sinedrio, affidandosi ancora una volta alle profezie, Gesù «ha assunto il titolo di Messia, che in base alla tradizione aveva diversi significati, ma al contempo l'ha precisato in modo tale da provocare una condanna che, con un rifiuto o con un'interpretazione attenuata del messianismo, avrebbe potuto evitare ....
Egli, invece, rivendica il diritto di sedere alla destra della Potenza, cioè di venire alla maniera del Figlio dell'uomo di cui parla il libro di Daniele (c.7), di venire da Dio, per erigere il regno definitivo». Questa partecipazione alla natura stessa di Dio che Gesù rivendica davanti ai suoi giudici è raggiunta «connettendo insieme alcune parole della Scrittura ed esprimendo la propria missione "secondo la Scrittura" con parole della Scrittura stessa». Molto suggestiva è, al riguardo, anche l'analisi che dal Papa viene suggerita a proposito del dialogo con Pilato, attorno al nesso tra verità e politica, tra verità e scienza e tra verità e teologia.

© Copyright Il Sole 24 Ore, 13 marzo 2011 consultabile online anche qui.

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