giovedì 17 marzo 2011

L'Italia celebra i 150 anni di unità. Dalla Roma repubblicana al Risorgimento: L'Italia prima dell'Italia (O.R.)

Forte partecipazione popolare alle cerimonie

L'Italia celebra i 150 anni di unità

ROMA, 17. Una forte partecipazione popolare ha segnato oggi in Italia le cerimonie per i 150 anni di unità. A Roma, alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e delle massime cariche dello Stato, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha celebrato una messa nella basilica di Santa Maria degli Angeli.
In precedenza, all'altare della Patria, Napolitano aveva reso omaggio alla tomba del milite ignoto. Dopo aver passato in rassegna uno schieramento delle forze armate, il capo dello Stato ha intonato l'inno nazionale accompagnato dalla banda della polizia. La cerimonia è stata chiusa da un passaggio della pattuglia acrobatica dell'aeronautica militare, le Frecce tricolori.
Il presidente della Repubblica si è poi recato al Pantheon, dove è sepolto Vittorio Emanuele II, sovrano quando il 17 marzo 1861 fu proclamato il regno d'Italia, e aveva inaugurato al Gianicolo, una targa che riporta la Costituzione italiana.
Ieri il capo dello Stato, al Quirinale, aveva sottolineato che, se gli italiani fossero rimasti divisi, sarebbero stati spazzati via dalla storia.

(©L'Osservatore Romano 18 marzo 2011)

Dalla Roma repubblicana al Risorgimento

L'Italia prima dell'Italia

di GIUSEPPE ZECCHINI

È mai esistita un'Italia prima dell'Italia? In altre parole, si può parlare di un'unità politica della penisola italiana prima del 1861? Nel corso del XVII e soprattutto del XVIII secolo il dibattito verteva in prevalenza sul primato degli Italiani nelle lettere e nelle arti, quello che sarebbe divenuto nel secolo successivo un primato morale e civile, secondo la classica definizione di Vincenzo Gioberti (1843). Peraltro la pur nobile eccezione rappresentata dall'opera storica di Carlo Denina (Delle rivoluzioni d'Italia, 1769-1770) era orientata in senso decisamente negativo: l'unificazione romana dell'Italia aveva danneggiato quell'ideale dei piccoli Stati conviventi tra loro rappresentato dai popoli italici e aveva creato le premesse per il loro declino. Solo la rivoluzione francese e le conquiste napoleoniche posero in concreto il problema dell'unificazione politica d'Italia e quindi di suoi eventuali modelli o precedenti.
In una prospettiva ancora più federalistica lo storico fiorentino Giuseppe Micali vedeva ne L'Italia avanti il dominio dei Romani (1810) un insieme di popoli dagli indubbi legami culturali, ma anche fieri della propria autonomia e della propria libertà, che Roma avrebbe soffocato con la forza. Il cattolico liberale Alessandro Manzoni non riteneva che l'età antica avesse nulla a che fare con il tema dell'unità d'Italia, che parte dalla servitù sotto Longobardi e Franchi di un volgo privo di identità e di autocoscienza per svilupparsi a livello linguistico, culturale e soprattutto religioso grazie alla Chiesa e poi compiersi politicamente per merito dei Savoia. Il cattolico d'origini "papaline", ma orgogliosamente risorgimentale Gaetano De Sanctis riteneva invece che l'espansionismo romano avesse creato la prima forma di unità politica dell'Italia, già nella confederazione italica e poi nell'Italia romana unificata dalla comune cittadinanza dopo la guerra sociale del 90-88: il Risorgimento avrebbe riportato a nuova vita questa unità grazie a un nuovo espansionismo, quello del Piemonte sabaudo.
La continuità tra Roma repubblicana e Italia risorgimentale trovava terreno favorevole nell'opinione pubblica e nella "vulgata" ufficiale sia nel periodo tra la formazione del Regno d'Italia e la I guerra mondiale, sia nel dopoguerra, quando il fascismo si presentò come lo stadio finale e più completo del nazionalismo italiano. Tuttavia il dibattito restava aperto tra gli studiosi, sia di storia antica, a partire dal celebre intervento di Wilamowitz nel 1926 sul concetto di "storia italica" contrapposto polemicamente a quello di "storia romana", sia di storia moderna, a partire dalla pubblicazione nel 1928 della Storia d'Italia di Croce e dal dibattito a più voci che ne seguì.
A maggior ragione nell'Italia del secondo dopoguerra la prospettiva già di Micali e di Wilamowitz fu ricuperata sia da Massimo Pallottino (Storia della prima Italia, Milano, 1984) in nome di un'unità culturale della "prima Italia" (appunto quella precedente alla conquista romana), sia da Sabatino Moscati in nome di un regionalismo di varia matrice (punica, greca, celtica e così via), ma costituente un sostrato ineliminabile sotto la fragile, precaria crosta dell'unità antica e moderna.
Gli anni Novanta del secolo scorso hanno visto contrapporsi, ma anche integrarsi due contributi ormai classici della storiografia italiana su Roma antica.
Emilio Gabba (Italia romana, Como, 1994) ha vigorosamente sostenuto l'eredità risorgimentale di De Sanctis: grande specialista della storia di Roma dalle origini all'alto impero, egli ha ricostruito le linee culturali, linguistiche, ma soprattutto economiche e amministrative di un processo unitario di "romanizzazione", che sfocia nell'Italia augustea e nell'impero italocentrico dei primi due secoli; in effetti l'Italia centromeridionale dei valori romani delineata da Catone intorno a un nucleo di principi etici e religiosi condivisi, esonerata dal tributo dopo il 167, è vista da occhi esterni, soprattutto orientali, come l'unica, indistinta patria dei negotiatores italo-romani; parificata giuridicamente dopo la guerra sociale, tra Cinna e Silla, allargata sino alle Alpi da Cesare, essa è l'Italia, che conferisce il proprio consensus ad Augusto e costituisce almeno sino a Marc'Aurelio il centro etico e politico dell'impero. Tuttavia si può parlare di Italici e di italicità soltanto in relazione a Roma come unico fattore capace di aggregare, o contro di sé o intorno a sé, i popoli della penisola; proprio l'eccessiva dipendenza dalla capitale era il lato oscuro della romanizzazione dell'Italia antica: nel momento in cui essa raggiungeva il suo apogeo sotto Augusto, aveva in sé anche i germi di un'effimera fragilità, di un forse inevitabile declino a favore del mondo provinciale.
Andrea Giardina (Italia romana. Storie di un'identità incompiuta, Bari, 1997) ha rivisitato il processo di unificazione dell'Italia con la sensibilità di una formazione anche tardoantichistica; egli è conscio del fallimento finale di un'Italia provincializzata e spaccata in due diocesi, l'annonaria e la suburbicaria, che preludono nel tardo impero a una divisione tra nord e sud quanto mai attuale; ha quindi delineato la parziale costruzione di un patrimonio comune di miti e credenze (ad esempio l'origine troiana) per pervenire alla felice formula dell' "identità incompiuta": l'impero romano parve a un certo punto costruito intorno a un nocciolo italico, ma la sua stessa vocazione universalistica, la tensione ad abbracciare tutta l'ecumene attraverso il coinvolgimento delle élites provinciali nelle responsabilità di governo e la progressiva estensione della cittadinanza data a tutti i provinciali nel 212 implicava anche la graduale dissoluzione dell'identità "italiana", non ancora consolidata, in una più ampia comunità politica.
Un impero può conservarsi nazionale, se si manifesta attraverso un'espansione coloniale (quello britannico) o un'egemonia indiretta (quello americano), ma deve sacrificare la nazione in fieri, se mira sul lungo periodo ad annullare la distinzione tra vincitori e vinti, tra padroni e sudditi, tra cittadini e provinciali, come scelse di fare l'impero romano: una scelta che aveva in sé forse i germi della sua scomparsa, certamente i segni della sua incomparabile grandezza.

(©L'Osservatore Romano 18 marzo 2011)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao Raffaella, ti segnalo una vicenda alquanto divertente, sotto un certo punto di vista, ma parimenti veramente deprimente ...
Il Ministero della Gioventù ha realizzato per i 150 anni dell'Unità un videogioco che vorrebbe essere addirittura educativo, tuttora scaricabile gratuitamente, ma dalle qualità parecchi nascoste, per usare un eufemismo, nel quale il giocatore, al termine della missione, che rievoca la breccia di porta pia del 1870, ha la possibilità di SPARARE, proprio SPARARE, non è un errore, al papa, Pio IX, oggi beato. Devo comunque segnalare che il Ministero ha avvertito che nella versione finale non sarà più possibile sparare verso il pontefice ma ci si limiterà a consegnargli una lettera.

PS: a quanto pare, il videogioco, nel novembre scorso, è stato persino presentato al Presidente della Repubblica, ma non credo che fosse stato informato del finale.

Potrà sembrare una stupidata ma intanto mi sembra incredibile che una cosa del genere sia stata concepita niente meno che con l'avallo di un ministero della Repubblica.
Boh ...

Per maggiori informazioni:http://vitadigitale.corriere.it/2011/03/gioventu-ribelle-ministero-lettera-sviluppatori.html

Antonio