domenica 20 marzo 2011

Nicola Lettieri: «Crocifisso, così abbiamo convinto i giudici» (Fornari)

«Crocifisso, così abbiamo convinto i giudici»

Il rappresentante dell’Italia nel giudizio alla Grande Chambre di Strasburgo spiega la strategia che ha portato alla sentenza favorevole «Il coraggio ha pagato»

DA ROMA

PIER LUIGI FORNARI

«Un fulmine a ciel sereno, che ha generato un al­larme in svariati Paesi del Consiglio d’Europa, spingendoli a entrare in contatto con noi per difen­dere un simbolo che appartiene anche alla loro tradizione».
Nicola Lettieri, rappresentante dell’Italia a Strasburgo nel dibattimento del 30 giugno davan­ti alla Grande Chambre, e ora giudice di Cassazione, racconta le reazioni pro­vocate dalla sentenza di primo grado che ha dato ragione al ricorso di Soile Lautsi, alla Corte europea dei diritti del­l’uomo contro l’esposizione del croci­fisso nelle aule scolastiche.

Un pronunciamento sconcertante, dunque, quella sentenza di primo gra­do...

Infatti sarebbe stato auspicabile che la camera giudicante, in caso di una pre­valenza dell’orientamento negativo per il nostro Paese, rinviasse la decisione al­la Grande Chambre.

Su che base?

La presenza dei simboli religiosi in u­no spazio pubblico è un tema di gran­de importanza, non è una cosa che può decidere una semplice camera di set­te componenti, anche perché la giuri­sprudenza europea è fatta di prece­denti, sull’esempio di quella anglosas­sone. In questa materia precedenti non ce n’erano, quindi il pronunciamento sarebbe spettato direttamente alla Grande Chambre con un’udienza pub­blica nella quale sono presenti metà dei giu­dici della corte.

Quale la strategia di­fensiva all’indomani del 3 novembre 2009?

Dimostrare che era u­na questione contro­versa negli ordina­menti europei. E quin­di gli Stati, in base al cosiddetto 'margine di apprezzamento', la possono regolare co­me meglio credono, entro un certo limite di ragionevolez­za.

Ma come avete fatto ad ottenere che ben dieci Paesi presentassero memo­rie a nostro favore...

In realtà all’inizio siamo stati noi ad es­sere contattati. A cominciare dalla Li­tuania, Malta, San Marino, vari Paesi si sono messi in rapporto con noi, perché preoccupati di un pronunciamento contrario alla loro stessa tradizione. Nella conferenza sul futuro della Cor­te a Interlaken, nel febbraio del 2010, il ministro della Lituania criticò pub­blicamente la sentenza.

Ma altri Paesi sono rimasti inerti...

Da vari pourparler è emerso che non e­ra indifferenza, ma paura che una lo­ro esplicita presa di posizione a nostro favore, nella prospettiva di una proba­bile conferma della sentenza di primo grado, finisse per avere ripercussioni negative nei loro ordinamenti per quanto riguarda la presenza della reli­gione nello spazio pubblico.

Avete cercato di coordinare le memo­rie presentate dai vari Paesi?

Il Centre for Law and Justice di Stra­sburgo, diretto da Grégor Puppinck, ha organizzato un convegno sul tema al quale ha partecipato anche il professor Joseph Weiler. Abbiamo pensato che proprio lui fosse la persona più adatta a parlare in nome degli altri paesi che avevano presentato una memoria. In­fatti, dopo il nostro ri­corso, ci è stato conces­so un riesame del caso con dibattimento da­vanti alla Grande Cham­bre.

Così a difendere il cro­cifisso è stato chiamato un giurista ebreo osser­vante...

Non era più una que­stione di una parte, ma in qualche modo uni­versale: i simboli reli­giosi in quanto tali. Wei­­ler, da parte sua, si è detto disposto a difendere la posizione degli altri Paesi gratuitamente, solo con il rimborso delle spese di viaggio e soggiorno.

È intervenuto a Strasburgo con la kip­pah in testa...

Sì. Poteva sembrare perfino una pro­vocazione, se si pensa che la Corte eu­ropea ha sempre dato ragione ai Paesi che hanno proibito di indossare sim­boli religiosi nell’abbigliamento per­sonale. Ma il coraggio alla fine paga sempre.

E la sentenza di venerdì ha dato ra­gione all’Italia

Dimostra che la nostra posizione era giusta. Quella sentenza è tutta basata sulle nostre argomentazioni.

© Copyright Avvenire, 20 marzo 2011

RUINI

«CONFERMA DI PRINCIPI FONDAMENTALI»

«Il crocifisso esprime certamente valori universali e da tutti condivisibili e già per questo la sentenza si giustifica ampiamente». È il commento del cardinale Camillo Ruini alla sentenza di venerdì della Corte di Strasburgo, alla quale il porporato attribuisce «grande significato perché conferma alcuni principi fondamentali».
«Innanzitutto – spiega Ruini a 'La Stampa' – la religione non deve essere esclusa dallo spazio pubblico. In particolare le espressioni e i simboli della religione cattolica, come quelli di ogni altra determinata fede e tradizione religiosa, non offendono coloro che non condividono la nostra fede». L’ex presidente della Cei sottolinea inoltre che «un sano pluralismo vive proprio di questa accoglienza reciproca, dove le tradizioni religiose di un popolo possono essere integralmente mantenute senza che ciò costituisca un ostacolo per l’accoglienza di coloro che hanno e professano convinzioni diverse».

© Copyright Avvenire, 20 marzo 2011

FISICHELLA

«SCELTA IN NOME DELLA LIBERTÀ»

«In una cultura come quella dei Paesi europei, com’è pensabile uno spazio pubblico senza crocefissi?'.
Intervistato dal 'Corriere della Sera', l’arcivescovo Rino Fisichella accoglie con soddisfazione il sì della Corte europea per i diritti dell’uomo sulla presenza del crocifisso nelle aule.
«È forse il primo regalo che l’Italia riceve per i suoi 150 anni» perchè così «si recupera il rapporto tra le istituzioni e il sentire comune delle persone».
Per il presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione la sentenza è «importante: il crocefisso, così come il cristianesimo, non solo non viola alcun diritto fondamentale degli uomini ma al contrario contribuisce a identificare tali diritti». «Il crocefisso - aggiunge - come simbolo religioso e di cultura, non è una limitazione alla libertà ma una provocazione a esprimerla meglio».

© Copyright Avvenire, 20 marzo 2011

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