mercoledì 16 marzo 2011

Perché i crocifissi nei tribunali? Lo speciale di Giacomo Galeazzi

LA CASSAZIONE

Perché i crocifissi nei tribunali?

A CURA DI GIACOMO GALEAZZI

CITTÀ DEL VATICANO

Ieri la Cassazione ha stabilito che il crocifisso è l’unico simbolo religioso ammesso nelle aule di tribunale italiane. Come si è arrivati a questa sentenza?

La Suprema Corte ha confermato la rimozione dall’ordine giudiziario del giudice di pace del Tribunale di Camerino, Luigi Tosti, che si era rifiutato di tenere udienza nelle aule dove fosse esposto un crocifisso. Secondo la Cassazione per esporre negli uffici pubblici altri simboli religiosi sarebbe necessaria «una scelta discrezionale del legislatore, che al momento non sussiste». In pratica, si tratta di un parere favorevole al verdetto disciplinare emesso dal Consiglio superiore della magistratura che il 25 maggio scorso aveva destituito il giudice anticrocifisso. Il principio di laicità dello Stato, secondo i supremi giudici, non può essere assolutamente posto in dubbio, in quanto è un principio supremo del nostro ordinamento costituzionale.

Cosa dice al riguardo la Costituzione?

La laicità dello Stato è un principio non proclamato espressamente dalla nostra Carta fondamentale, ma, spiega la Cassazione, deriva specificamente dagli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione: «Ricco di assonanze ideologiche e di una storia controversa, assume però rilevanza giuridica potendo evincersi dalle norme fondamentali del nostro ordinamento». La Cassazione respinge la tesi di Tosti volta a dimostrare che la sua battaglia era in nome della laicità dello Stato. In proposito i supremi giudici spiegano che la difesa della libertà religiosa e di coscienza è un principio che fa capo a tutta la popolazione e non a un singolo cittadino.

In cosa il giudice anticrocifisso ha torto?

Quando gli era stata assegnata un’aula senza crocifisso per tenere le sue udienze, Tosti non si doveva rifiutare facendo riferimento alla presenza del crocifisso nel resto delle aule italiane. Così facendo ha provocato un disservizio ai cittadini e all’organizzazione del tribunale di Camerino e per questo è stato licenziato. Tosti si era astenuto da 15 udienze nel periodo maggio-luglio 2005 e poi per altri periodi di tempo fino al 31 gennaio 2006. Per questo aveva già ricevuto delle sanzioni disciplinari.

Cosa ne pensa l’Europa?

La Corte europea dei diritti dell’uomo si esprimerà venerdì, con sentenza d’appello definitiva, sul caso dei crocifissi nelle scuole italiane. La Grande Chambre, costituita da un collegio di 17 giudici, rappresenta l’ultimo grado di ricorso, quindi la sentenza è inappellabile. Il 3 novembre 2009 a Strasburgo una camera composta da sette giudici si era pronunciata sul ricorso presentato nel 2006 da una cittadina italiana di origine finlandese, Soile Lautsi, che contestava la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche in Italia. La corte, organismo del Consiglio d’Europa istituito nel 1950, aveva concluso che la presenza del crocifisso violava i diritti all’istruzione e alla libertà di pensiero, coscienza e religione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Perché è diventato un caso internazionale?

Il 28 gennaio 2010, su ricorso del governo italiano, il caso fu affidato all’esame di appello della Grande Chambre, che il 30 giugno scorso ascoltò in seduta pubblica a Strasburgo le parti interessate ricevendo anche le memorie presentate da «terze parti». A sostegno dell’Italia hanno presentato ricorso Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, San Marino, Russia, Monaco e Romania. Da subito la Santa Sede ha chiesto che nell’esame di una questione così delicata si tenga conto dei sentimenti religiosi della popolazione e di questi valori, come pure del fatto che in tutti i Paesi europei si è affermato e si va sviluppando sempre più positivamente il diritto di libertà religiosa, di cui l’esposizione dei simboli religiosi rappresenta un’importante espressione.

Quali sono gli argomenti del Vaticano?

Secondo la Santa Sede la presenza dei simboli religiosi e in particolare della croce, riflette il sentimento religioso dei cristiani di qualsiasi denominazione, quindi non si traduce in un’imposizione e non ha valore di esclusione, ma esprime una tradizione che tutti conoscono e riconoscono nel suo alto valore spirituale, e come segno di «un’identità aperta al dialogo con ogni uomo di buona volontà, di sostegno a favore dei bisognosi e dei sofferenti, senza distinzione di fede, etnia o nazionalità». Dunque, l’esposizione del crocifisso non discrimina né violenta le libertà. Piuttosto, per la particolare storia culturale del Paese, offre un’occasione in più di riflettere proprio su libertà e tradizioni, patrimonio prezioso per tutti. La Chiesa propone di dialogare con le altre culture senza perdere la propria identità. La Cassazione le ha dato ragione riconoscendo il crocifisso come simbolo dell’identità culturale italiana.

© Copyright La Stampa, 15 marzo 2011

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