venerdì 11 marzo 2011

Una nuova intelligenza delle cose per evangelizzare nel mondo di oggi (Francesco Ventorino)

Per evangelizzare nel mondo di oggi

Una nuova intelligenza delle cose

di FRANCESCO VENTORINO

Nel motu proprio Ubicumque et semper, con il quale è stato istituito il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, il Papa mostra perché è necessario che le Chiese di antica formazione si presentino al mondo contemporaneo con un nuovo slancio missionario. E suggerisce preziose indicazioni di metodo.
Benedetto XVI, ricordando quanto ha scritto all'inizio della sua prima enciclica Deus caritas est - e cioè che "all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" (n. 1) - afferma nel motu proprio istitutivo del nuovo dicastero: "Similmente, alla radice di ogni evangelizzazione non vi è un progetto umano di espansione, bensì il desiderio di condividere l'inestimabile dono che Dio ha voluto farci, partecipandoci la sua stessa vita".
Il cristiano è un uomo graziato perché ha fatto un incontro grazie a cui gli si sono aperti gli occhi. Si è imbattuto in colui senza il quale tutto sarebbe privo di senso, privo di una ragione adeguata e di una vera e fondata speranza. Ha riconosciuto che la verità è Cristo, ha capito che fuori dal rapporto con lui non potrebbe più vivere e morire. Ebbene, un uomo raggiunto e cambiato da questo incontro, affronta con drammaticità tutto, dalle questioni personali a quelle dell'ambiente in cui studia o lavora, e più in generale a quelle della società in cui vive.
Don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e liberazione, diceva che questa drammaticità consiste nell'avvertire dovunque la mancanza di "qualcosa" di insostituibile: Cristo stesso, colui che non può essere sostituito da nessun altro. È il senso della sproporzione tra il modo in cui tutti affrontano la vita e il diverso approccio derivante dalla memoria dell'incontro con lui.
Non c'è niente di moralistico, insomma, nella evangelizzazione cristiana. Una vera consapevolezza di ciò che essa implichi ci libera anzi da ogni affanno e, per così dire, da noi stessi: l'evangelizzazione, infatti, non è altro che questo, lui che vive in me, la memoria di lui divenuta luce ai miei passi e gusto delle cose. Secondo il fondatore di Comunione e liberazione, la moralità consiste nel "non sottrarsi alla traccia dell'incontro", anzi, in modo più preciso e completo, "all'attrattiva dell'incontro": quel presentimento di verità che è esploso dentro di noi davanti a Gesù.
All'origine della missione del cristiano vi è dunque il passaggio dall'incontro a una intelligenza nuova delle cose. Questo passaggio, che dovrebbe essere naturalissimo, si imbatte spesso in una resistenza derivante dalla soggezione al potere. Il quale cerca di impedire che l'incontro fatto diventi storia, perché pretende di "determinare la vita con i suoi progetti, con i suoi paradigmi, per i suoi scopi": in una parola, "tende a ridurre il desiderio" (così scrive ancora don Giussani nel volume L'io rinasce in un incontro). Questa pressione si fa sempre più forte. Nel nostro tempo - leggiamo in Ubicumque et semper - anche presso società e culture che da secoli apparivano impregnate dal Vangelo, si sono verificate delle trasformazioni sociali che "hanno profondamente modificato la percezione del mondo (...) e la comune comprensione delle esperienze fondamentali dell'uomo quali il nascere, il morire, il vivere in una famiglia, il riferimento ad una legge morale naturale".
La verità intuita nell'incontro cristiano può divenire oggi mentalità personale solo attraverso un lavoro critico e un'ascesi continua, lavoro e ascesi impensabili al di fuori della Chiesa, corpo sociale in grado di incidere nella società, di divenirne forza trainante. L'opposizione personale al potere non si reggerebbe senza l'appartenenza a una unità più grande.
È per questo che Benedetto XVI ha istituito un nuovo consiglio pontificio che tenga desta la coscienza personale ed ecclesiale in questo tempo in cui - come scriveva Giovanni Paolo II nella Christifideles laici (n. 34) - "certamente urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana". Ma la condizione perché questo accada "è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali"; proprio quelle che vivono in Paesi tradizionalmente cristiani.

(©L'Osservatore Romano 12 marzo 2011)

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