Aperto il ventiduesimo corso sul foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica
I confessori padri, maestri e fratelli
Il ministero della confessione «è uno dei compiti più difficili e logoranti per il sacerdote». Carico di «tutti i condizionamenti che gli vengono dalla sua storia passata e dal suo presente», egli deve confrontarsi «con persone il più delle volte sconosciute e diverse tra loro». E spesso ha solo pochi minuti «per sbrogliare dei “groppi” piuttosto complessi, sui quali gli stessi penitenti molte volte fanno ben poco per aiutarlo a vederci chiaro».
La «dimensione umana» del prete -- che «coi suoi pregi e i suoi difetti, nella confessione ha un peso notevole, più che in qualunque altro sacramento» -- è stata al centro dell'intervento del vescovo Gianfranco Girotti, reggente della Penitenzieria Apostolica, durante la sessione introduttiva del ventiduesimo corso sul foro interno apertosi lunedì pomeriggio, 21 marzo, nel Palazzo della Cancelleria. Il presule, che ha preso la parola dopo il saluto del cardinale Fortunato Baldelli, penitenziere maggiore, e la relazione del gesuita Ján Ďačok, ha presentato il ministero della riconciliazione come «un servizio impegnativo, difficile ma esaltante», che «da una parte attrae e dall'altra spaventa». Nel confessionale, infatti, il sacerdote «vive la gioia dell'aiuto che può dare alla coscienza di altre persone» ma sperimenta anche «una responsabilità che chiede una profonda conoscenza di ciò che la dottrina insegna».
Nel prete, insomma, «grandezza e povertà convivono stabilmente; talvolta convivono anche grandezza e miserie». Da qui la necessità che la prudenza pastorale sia unita sempre all'umiltà. E che la preparazione dottrinale non venga separata dalla maturità umana, dalla formazione cristiana e dalla spiritualità sacerdotale.
I confessori -- ha raccomandato il vescovo -- «devono cercare di svolgere la loro missione di padri, di consiglieri, “giudici” e animatori, in sintonia con la dottrina del magistero ecclesiastico, procurandosi la scienza necessaria a questo scopo e procedendo con prudenza, discrezione, pazienza, discernimento e bontà». Occorre evitare soprattutto il rischio di creare «l'angoscia del peccato» o «il complesso di colpa» nel penitente, il quale, invece, «ha bisogno di essere incoraggiato a riporre tutta la sua fiducia nell'infinita misericordia di Dio».
Per questa missione sono richieste al prete «antenne sensibili» in grado di intuire situazioni di fragilità o dolore, elasticità mentale e soprattutto capacità di «sapersi svestire dello stato d'animo personale per sintonizzarsi con chi gli sta davanti». Coloro che affrontano ogni giorno «la fatica» del confessionale meritano «grande stima e riconoscenza», ma anche «comprensione» se talvolta «lasciano trapelare, da una parola o dal tono di voce, qualche segno di stanchezza o tensione»: si tratta di casi in cui -- ha assicurato monsignor Girotti -- «non è tanto la disponibilità o la generosità che manca; forse si tratta solo di “batterie scariche”, cioè di stanchezza».
Altri sono invece gli atteggiamenti di certi confessori che vanno censurati. Il reggente della Penitenzieria ne ha citato alcuni: la fretta, che lascia il penitente privo dell'attenzione e del conforto di cui ha bisogno; la noia, che fa avvertire al fedele «una sensazione di distacco, quasi di indifferenza da parte del sacerdote»; la scarsa disponibilità; la durezza eccessiva e immotivata o, al contrario, la debolezza che trasforma il prete in una sorta di «Babbo Natale che tutto dà e nulla chiede»; la non ottemperanza all'obbligo di portare la veste e la stola mentre confessa.
A queste mancanze si aggiungono quelle che il presule ha definito «colpe più gravi». Tra le quali rientra anzitutto la tendenza a presentare la confessione come un sacramento che «non avrebbe alcun senso e alcuna utilità per chi non ha commesso delle colpe gravi»: in questo modo -- ha ammonito monsignor Girotti -- si fa «perdere ai fedeli il senso del peccato» e li si allontana dal sacramento del perdono. Il vescovo ha anche stigmatizzato quei confessori che non assegnano una penitenza -- «non è un optional, ma è parte integrante del sacramento» ha ricordato -- e quanti sostengono che l'assoluzione va garantita comunque, anche in presenza di «ragioni gravi e obiettive» per negarla. Dimenticano di essere «ministri di verità» oltre che «di misericordia» anche i sacerdoti che per assolvere usano formule diverse da quelle fissate dalla Chiesa e quelli che stravolgono o, addirittura, tradiscono il Vangelo considerando come leciti alcuni peccati contro la morale.
Per il presule, insomma, il confessore deve riuscire a incarnare nel suo ministero di riconciliazione le caratteristiche del cuore di Cristo. Ed essere anzitutto «padre», con una «grande capacità di accoglienza e di amore verso i penitenti»: l'efficacia del suo servizio nei confronti dei fedeli dipenderà, in particolare, dal «suo contributo di buon esempio, di preghiera e di espiazione». Peraltro, non deve dimenticare di essere anche «giudice», con il compito di valutare «se in un'anima ci sono le condizioni per ricevere il perdono del Signore». Allo stesso tempo, il prete che confessa è «medico» delle anime e «maestro che ripropone l'insegnamento di Gesù su ciò che è bene e su ciò che è male, senza alcun potere di confondere le carte». Infine, è un «fratello» che ammonisce, richiama e corregge il peccatore. In definitiva -- ha ricordato monsignor Girotti -- «la grandezza di un sacerdote si misura con i criteri della fede, cioè valutando non tanto quello che appare in lui, ma ciò che si nasconde in lui: la presenza misteriosa e i poteri di Gesù».
(©L'Osservatore Romano 23 marzo 2011)
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1 commento:
Non ricordo di aver mai visto un confessore indossare la veste e la stola. Ormasi ci si confessa seduti nei banchi e guardandosi negli occhi. Tutto mi imbnarazza tantissimo. Preferivo e preferisco il confessionale con la grata, ma, nella m ia parrocchia c'è solo un sacerdote anziano che confessa per un quarto d'ora prima della Messa. Per i lresto, tutto deserto e, anche se ne avessi voglia, non sarebbe possibile. Ho bisogno di raccogliermi e prepararmi, ma se i confessore no vcede avvicnarsi nessuno entro pochi secondi, esce e se ne va. Un volta andavo a San Pietro, ma ora è diventato un bunker e non ci si può acvvicinare se non dopo essere passato attraverso metal detector e controlli vari e aver fatto tutta una serie di percorsi obbligati che rendono impratricabile l'accesso in basilica. Secondo me, non è in crisi il Sacramento della Penitenza, ma i sacerdoti hanno poca voglia di ascoltare e di soffrire, perchè deve essere molto duro come ministero
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