Papa/Celebra 60 anni sacerdozio: non siamo servi ma amici di Dio
Roma, 29 giu. (TMNews)
"Cari fratelli e sorelle, come dice il Vangelo 'Non vi chiamo più servi ma amici'" perchè "a sessant'anni dal giorno della mia ordinazione sacerdotale sento ancora risuonare nel mio intimo queste parole di Gesù, che il nostro grande Arcivescovo, il Cardinale Faulhaber, con la voce ormai un po' debole e tuttavia ferma, rivolse a noi sacerdoti novelli al termine della cerimonia di ordinazione". Papa Benedetto XVI ha dedicato molto spazio della sua omelia in San Pietro per la festività solenne di San Pietro e San Paolo e l'imposizione del Pallio ai nuovi Arcivescovi Metropoliti, al ricordo dei suoi sessant'anni di vita sacerdotale che ricorrono oggi, compleanno della sua ordinazione. Lui stesso si è scusato in Chiesa "per essermi dilungato forse troppo" alla celebrazione autobiografica, ma le parole del Papa sono state un inno generale sul valore e l'imoportanza della vita consacrata e sulla assoluta "freschezza sempre più forte" della sua scelta di vita compiuta sei decenni fa "'Non più servi ma amici'": io sapevo e avvertivo - ha ripetuto più volte il Papa tedesco- che, in quel momento, questa non era solo una parola 'cerimoniale' ed era anche più di una citazione della Sacra Scrittura. Ne ero consapevole: in questo momento, Egli stesso, il Signore, la dice a me in modo del tutto personale" e "quel che avveniva in quel momento, era ancora qualcosa di più" perchè "Egli mi chiama amico, mi accoglie nella cerchia di coloro ai quali si era rivolto nel Cenacolo e che Egli conosce in modo del tutto particolare e che così Lo vengono a conoscere in modo particolare. Mi conferisce la facoltà, che quasi mette paura, di fare ciò che solo Egli, il Figlio di Dio, può dire e fare legittimamente: Io ti perdono i tuoi peccati". "Egli vuole che io - per suo mandato - possa pronunciare con il suo "Io" una parola che non è soltanto parola bensì azione che produce un cambiamento nel più profondo dell'essere. So che dietro tale parola c'è la sua Passione per causa nostra e per noi. So che il perdono ha il suo prezzo: nella sua Passione, Egli è disceso nel fondo buio e sporco del nostro peccato. È disceso nella notte della nostra colpa, e solo così essa può essere trasformata. E mediante il mandato di perdonare Egli mi permette di gettare uno sguardo nell'abisso dell'uomo e nella grandezza del suo patire per noi uomini, che mi lascia intuire la grandezza del suo amore. Egli si confida con me: "Non più servi ma amici". Egli mi affida le parole della Consacrazione nell'Eucaristia. Egli mi ritiene capace di annunciare la sua Parola, di spiegarla in modo retto e di portarla agli uomini di oggi. Egli si affida a me. "Non siete più servi ma amici": questa è un'affermazione che reca una grande gioia interiore e che, al contempo, nella sua grandezza, può far venire i brividi lungo i decenni, con tutte le esperienze della propria debolezza e della sua inesauribile bontà". "'Non più servi ma amici': in questa parola è racchiuso l'intero programma di una vita sacerdotale. Che cosa è veramente l'amicizia? Idem velle, idem nolle - volere le stesse cose e non volere le stesse cose, dicevano gli antichi. L'amicizia è una comunione del pensare e del volere. Il Signore ci dice la stessa cosa con grande insistenza: "Conosco i miei e i miei conoscono me" (cfr Gv 10,14). Il Pastore chiama i suoi per nome (cfr Gv 10,3). Egli mi conosce per nome. Non sono un qualsiasi essere anonimo nell'infinità dell'universo. Mi conosce in modo del tutto personale. Ed io, conosco Lui? L'amicizia che Egli mi dona - ha ammonito Benedetto XVi sul sacerdozio - può solo significare che anch'io cerchi di conoscere sempre meglio Lui; che io, nella Scrittura, nei Sacramenti, nell'incontro della preghiera, nella comunione dei Santi, nelle persone che si avvicinano a me e che Egli mi manda, cerchi di conoscere sempre di più Lui stesso. L'amicizia non è soltanto conoscenza, è soprattutto comunione del volere. Significa che la mia volontà cresce verso il "sì" dell'adesione alla sua. La sua volontà, infatti, non è per me una volontà esterna ed estranea, alla quale mi piego più o meno volentieri oppure non mi piego. No, nell'amicizia la mia volontà crescendo si unisce alla sua, la sua volontà diventa la mia, e proprio così divento veramente me stesso. ogni giorno".
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