venerdì 29 luglio 2011

L’addio al super-nuncio Sambi e le nomine “non italiane” in Vaticano (Rodari)

Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

L’addio al super-nuncio Sambi e le nomine “non italiane” in Vaticano

di Paolo Rodari

Il “super-nuncio” Pietro Sambi, ambasciatore del Papa negli Stati Uniti dal 2006, è deceduto ieri per complicazioni post operatorie a Baltimora, appena pochi giorni prima del suo ritorno a Roma dove avrebbe dovuto ricoprire l’incarico di presidente della Prefettura per gli affari economici della Santa Sede, un incarico che prevede la berretta cardinalizia.
Inviato a Washington dal Papa un anno dopo la sua elezione al soglio di Pietro, ha rappresentato soprattutto nei primi tempi di Barack Obama alla Casa Bianca una voce dialogante rispetto al governo, sempre tesa ad ammorbidire le bordate che settimana dopo settimana una parte dell’episcopato statunitense regalava alla nuova Amministrazione colpevole di una linea sui temi della famiglia, della vita e della bioetica distante se non opposta alla dottrina della chiesa cattolica.
Sambi ha dialogato e ha limato le differenti posizioni, mostrando il meglio della scuola diplomatica nella quale si è formato in giovane età: la scuola che fu dei cardinali Agostino Casaroli e poi Achille Silvestrini che al tempo della Guerra fredda, gli anni della prima era wojtyliana, si è distinta per un’efficace ostpolitik nei confronti dei regimi comunisti.
Sulle nomine dei nuovi vescovi americani, invece, Sambi ha mantenuto soprattutto negli ultimi mesi una linea molto ratzingeriana: i nuovi presuli la cui elezione è stata appoggiata dal nunzio sono principalmente di linea conservatrice, quella linea chiamata oggi negli Stati Uniti della “ortodossia affermativa”.
Ne è un rappresentante valido il neo arcivescovo di Philadelphia, il pellerossa Charles Chaput. L’auspicio di Benedetto XVI è che anche il successore designato di Sambi a Washington, Carlo Maria Viganò, oggi segretario del governatorato della Città del Vaticano, sappia portare avanti la medesima linea dialogante con le istituzioni e insieme fedele quanto alle nomine.
Non è un caso che il Papa abbia scelto un italiano per Washington. In curia romana gli italiani che ricoprono incarichi importanti sono un numero considerevole. Oltre a Bertone e al sostituto Becciu in segreteria di stato, ci sono i prefetti Amato, Filoni e Piacenza. Ci sono il penitenziere Baldelli e il suo vice Girotti. Il presidente dell’Aif Nicora, il presidente degli Affari economici De Paolis e il bibliotecario Farina. Ci sono i capi dicastero Fisichella, Antonelli, Vegliò, Coccopalmerio, Ravasi e Celli. Il maestro delle cerimonie liturgiche papali Marini e il direttore della sala stampa Lombardi. Molti anche i segretari e i sottosegretari.
Un numero talmente rilevante da rappresentare un unicum nella storia della curia romana. Tanto che per le prossime tre nomine – il capo della biblioteca vaticana, il presidente del governatorato, il presidente degli Affari economici, il gran maestro dell’ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme – non potranno che essere scelte personalità non italiane, anche per non svilire la vocazione prettamente internazionale che la Santa Sede da sempre mantiene.

© Copyright Il Foglio, 29 luglio 2011 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Il distastro della gestione della chiesa è dovuta al fatto che Roncalli,Montini e Woityla avevavno immesso una quantità di stranieri incapaci nei vari dicasteri.
E' giusto che papa Benedetto rianimi una macchina inceppata con gli italiani che sono i migliori,credetemi,gli unici che sanno governare bene.

Raffaella ha detto...

Oh mamma! Che espressione impegnativa!
Italiano o no, basta che siano capaci e, magari, conoscano qualche lingua.
R.