Il “Cortile dei gentili” approda a Firenze. Il cardinale Ravasi: siamo chiamati a confrontarci con ogni forma di ateismo
Nuova iniziativa del “Cortile dei gentili”, la struttura di dialogo tra credenti e non, avviata dal Pontificio Consiglio della Cultura. Oggi pomeriggio, a Palazzo Vecchio a Firenze, si riuniranno intellettuali di diversa estrazione culturale per parlare di arte e religione. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero vaticano, terrà la prolusione. Proprio il porporato traccia un bilancio dei primi incontri del “Cortile dei gentili”, nell’intervista di Fabio Colagrande:
R. – Se vogliamo fare un bilancio, potremmo dire che da quella radice iniziale, da quella sorgente a Parigi, abbiamo avuto una sorta di crescita, che noi stessi non riusciamo più a controllare, perché ininterrottamente siamo sollecitati da istituzioni diverse, ed è significativo che la maggior parte siano istituzioni cosiddette laiche, non direttamente ecclesiali. Siamo ininterrottamente sollecitati ad intervenire, a ricreare questo evento, anche in forme diverse. Ci si propone cioè di intervenire, secondo temi che ininterrottamente mutano, come per esempio l’arte, da una parte, e la scienza dall’altra, il diritto, la società, l’economia, persino la bioetica, la medicina e la spiritualità. Quindi, abbiamo un vero e proprio spettro colorato, arcobaleno tematico, che viene proposto da questi vari centri e da queste varie istituzioni. Dall’altra parte, i nomi stessi di queste istituzioni ci dimostrano che l’articolazione è in ambiti diversi, nazioni diverse, che abbracciano sostanzialmente tutta l’Europa, perché siamo stati la scorsa settimana in Romania, a Bucarest, andremo a Barcellona, andremo a Stoccolma, a Tirana, a Palermo e a Marsiglia. E poi, una volta coperti questi orizzonti europei, crescerà progressivamente questo albero ed andrà a finire anche certamente negli Stati Uniti, nel Canada e nell’America Latina.
D. – Cardinale Ravasi, come avviene l’organizzazione degli incontri del Cortile dei Gentili, e tra queste prossime tappe ce n’è qualcuna su cui vuole soffermarsi?
R. – Direi che avviene prima di tutto con l’organizzazione di una Giornata da parte dell’istituzione – l’Università, l’Accademia, qualche volta anche la Chiesa stessa locale – e in un secondo momento noi entriamo, ed entriamo con la nostra conoscenza, con questioni, con le nostre proposte, con la selezione e il suggerimento di candidati, e tendenzialmente tutti chiedono, esigono – e questo purtroppo rappresenta per me una certa difficoltà, perché non vorrei incidere eccessivamente con la mia presenza – che ci sia una sorta di prolusione iniziale da parte mia, anche negli ambienti laici, completamente laici. Questo è un po’ il meccanismo. Poi si procede successivamente alla pubblicazione degli atti. Per quanto riguarda l’Italia, c’è già una collana che ha due volumi, una collana edita da Donzelli Editore. Secondo me, sarà anche significativa Firenze, perché è l’arte, il luogo dell’estetica e uno dei luoghi in cui il confronto tra credenti e non credenti può essere particolarmente facile e per certi versi anche fruttuoso, in un mondo che invece è contrassegnato soprattutto da bruttezza e anche da bruttura morale. Quindi, ritornare alla dignità, alla nobiltà dell’alta riflessione e anche della ricerca nell’orizzonte dell’arte. Vorrei anche citare, perché mi incuriosisce un poco, l’esperienza di Tirana, che forse vedrà la presenza all’interno di uno Stato che aveva nella sua costituzione, in passato, l’ateismo - l’unico Stato al mondo – di colui che è stato uno dei maggiori organizzatori, colui che tiene ancora oggi la cattedra di ateismo all’Università di Tirana, il quale però a sua volta è un cattolico ed è professore anche di materie quasi teologiche. Dall’altra parte, mi soffermo su Barcellona, perché la diocesi di Barcellona si è impegnata in maniera sontuosa direi, mobilitando non soltanto tutte le sue energie, ma anche tutte le università, la rete delle sei università di Barcellona: tutte saranno coinvolte in eventi, momenti diversi, con le varie accademie.
D. – Non temete che, procedendo in questa maniera, il dibattito, il confronto tra credenti e non credenti resti in un ambito d’elite?
R. – Rispondo a questa obiezione secondo due traiettorie. Da una parte, sicuramente, devo considerare, con tutti i miei collaboratori, che dovremo fare proprio una riflessione sistematica e metodologica per riuscire a pensare a quell’ateismo nazionalpopolare che è fatto, qualche volta, non soltanto di ironia, di sarcasmo, alla maniera di Odifreddi, di Humphrey in Francia, di Hitchens, Dawkins e così via, che sbeffeggia un po’ il credo - come credo cristiano soprattutto – come espressione quasi di un reperto di un paleolitico intellettuale. Quindi, dovremo tenere conto anche di questo... ma dovremo tener conto anche di quella sorta di ateismo pratico che è fatto di indifferenza, di superficialità, di banalità, di volgarità, che intride un po’ tutta la nostra società. Detto ciò, questa sarà la fatica maggiore e questo sarà anche l’impegno principale, per cui raccolgo l’obiezione e per cui stiamo già ora lavorando. La seconda risposta che do a questa obiezione fondata è che non dobbiamo dimenticare però che i grandi mutamenti culturali e sociali avvengono sempre ad opera dell’elite. (ap)
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