Il divieto europeo di brevettare cellule embrionali umane
Una sentenza per la dignità della persona
Augusto Pessina
La sentenza emessa martedì 18 dalla Corte di giustizia europea sulla non brevettabilità di cellule e linee cellulari ottenute da embrioni umani è finalmente arrivata nei termini che in molti hanno auspicato.
La sentenza è sottile ma chiara. Essa afferma che è possibile un brevetto che pur riguarda l’uso di embrioni umani se l’invenzione ha scopo diagnostico o terapeutico riguardante l’embrione stesso in questione. Al contrario non può essere oggetto di brevetto se la sua utilizzazione riguarda fini di ricerca scientifica. La Corte precisa inoltre che i procedimenti che prevedono il prelievo di cellule staminali da embrioni umani nello stadio di blastocisti — raggiunto cinque giorni dopo la fecondazione — e ne comportano la distruzione non possono comunque essere brevettati. In conclusione la Corte non interviene sulla possibile creazione e successiva soppressione di embrioni umani, ma impedendone il brevetto pone un importante baluardo a queste procedure.
Questa sentenza era attesa per il maggio scorso e, a quel tempo, non sono mancati tentativi di influenzarne il giudizio. Infatti sulla rivista «Nature» del 28 aprile un appello firmato da Austin Smith del Wellcome Trust Center di Cambridge e da alcuni suoi colleghi (in Italia era sostenuto da Unistem dell’università di Milano), — aveva avviato il dibattito con lo scopo di forzare la decisione della Corte nel senso di autorizzare la possibilità di brevettare cellule embrionali umane. In quel documento si sosteneva che le cellule staminali embrionali sono solo linee cellulari e non embrioni. Ma lo stesso documento ometteva deliberatamente di dire che queste linee sono derivate dalla distruzione di embrioni umani, esseri umani in via di sviluppo, definiti «surplus di ovociti fertilizzati in vitro» (sic!). Esistono già centinaia di queste linee (qualcuno sostiene migliaia), molte delle quali brevettate negli Stati Uniti.
La sentenza della Corte si deve a una serie di avvenimenti che hanno preso origine da un ricorso presentato in Germania. A sollevare il caso contro la brevettabilità è stata Greenpeace, che nel 1999 ha impugnato il brevetto del professor Oliver Brustle, ora all’università di Bonn, il quale nel 1991 aveva ottenuto il brevetto di una procedura per produrre cellule neurali derivate da cosiddette cellule staminali embrionali umane di una linea cellulare stabilizzata e commercialmente disponibile. Nel ricorso Greenpeace sosteneva che il brevetto violava la convenzione europea brevetti (Epc 1973) che vieta il brevetto di invenzioni «contrarie all’ordine pubblico e alla moralità».
Nel 2006 la Corte federale tedesca di Monaco ha accolto questa denuncia e le ragioni date da Greenpeace. Di conseguenza, Brustle ha opposto ricorso davanti alla Corte di giustizia europea.
Il 10 marzo scorso l’avvocato generale della Corte, Yves Bot, ha inviato una nota ufficiale alla Corte stessa ribadendo alcuni criteri che riteneva fondamentali da tenere in considerazione per votare una decisione definitiva, criteri che, da quanto risulta, sono stati accolti.
In questo interessante documento, che ha creato agitazione tra molti ricercatori, si ribadivano tre fondamentali principi: le cellule al primo stadio di un corpo umano in sviluppo devono essere classificate come embrioni e quindi non brevettabili; tale definizione riguarda sia ovociti cui venga trapiantato un nucleo da cellula matura (clonazione) sia cellule ottenute da ovociti per stimolazione (partenogenesi); anche lo stadio di blastocisti deve essere classificato come embrione.
Come ha sostenuto l’avvocato generale, il principio di dignità umana della direttiva 98/44 che «vieta l’uso di embrioni umani per scopi commerciali e industriali» è un principio da applicare non solo a una persona umana adulta e a un neonato, ma anche al corpo umano fino dal suo primo stadio di sviluppo. Quindi anche le cosiddette cellule staminali embrionali — che pure non sono in grado individualmente di produrre un essere umano completo, come le cellule che ha utilizzato Brustle — devono essere sottoposte alle stesse regole, in quanto non possono essere ottenute dalla blastocisti senza distruzione della stessa, e quindi senza distruzione dell’embrione umano.
La sentenza sembra avere accolto in pieno questi principi. Speriamo soltanto che duri.
(©L'Osservatore Romano 20 ottobre 2011)
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