martedì 11 ottobre 2011

L'11 ottobre 1962 si apriva la prima sessione del concilio ecumenico Vaticano II (Philippe Levillain)

L'11 ottobre 1962 si apriva la prima sessione del concilio ecumenico Vaticano II

Quel sorprendente aggiornamento

Dopo Roncalli, quattro Papi hanno avuto il compito di declinare nel quotidiano quel capitale spirituale e pastorale senza precedenti

di Philippe Levillain

La Chiesa cattolica, romana e universale, fece il suo ingresso solenne e spettacolare nel mondo dei media giovedì 11 ottobre 1962, al momento dell'apertura della prima sessione del concilio Vaticano II, in riferimento al concilio sospeso nel 1870. Vaticano i, concilio interrotto? Vaticano II, concilio del completamento? No: Vaticano II, concilio dell'«aggiornamento».
Il termine ebbe uno strepitoso successo. Evitava la parola «riforma». Sarebbe entrato nel vocabolario politico. Tutto era pronto dall'annuncio del progetto formulato da Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959. Una ispirazione provvidenziale ripetutamente sottolineata. Lo scetticismo iniziale fu dimenticato fin dall'11 ottobre 1962. E tuttavia si parlò di Stati Generali della Chiesa. Il redattore di un grande quotidiano parigino spiegò a un giovane stagista: «Non si sa mai dove ciò può condurre. Preparati a definire l'aggettivo “ecumenico”, perché sta per servire». Non pensava di dire così bene. Giovanni XXIII immaginava una sola seppure lunga sessione di un evidente consenso. Ce ne sarebbero volute quattro. Il programma iniziale era insormontabile (settantadue schemi). Curiosa all'inizio, l'opinione pubblica divenne progressivamente l'attore primordiale del Vaticano II che non se ne poté difendere nonostante le precauzioni prese al principio.
La prima sessione fu turbolenta. L'episcopato di tutti i Paesi aveva bisogno di esprimersi. Apparvero delle nuove personalità. Presto la Curia si internazionalizzò. Ma uno dei primi risultati del Concilio, al di là di inevitabili dibattiti, si tradusse nell'arbitraggio di Giovanni XXIII nel terribile conflitto tra gli Stati Uniti d'America e l'Urss nel momento della crisi dei missili di Cuba, nell'ottobre del 1962. Contrariamente a quanto affermato da Stalin a proposito di Pio XII, la Santa Sede aveva delle truppe: duemilacinquecento vescovi e l'opinione pubblica. Né Pio X nel 1914, né Benedetto XV nel 1917, né Pio XII nel 1940 avevano potuto imporre una forza morale così persuasiva. Il Vaticano II ha portato e anche fortificato lo statuto di soggetto di diritto internazionale della Santa Sede particolarmente dopo la Conferenza di Helsinki nell'agosto del 1975. Ma in ciò non sta veramente l'essenziale.
L'opera del Vaticano II (sedici documenti conciliari) è un tutto e, per utilizzare una metafora architettonica, una pietra supplementare o un restauro di una cattedrale costruita da due millenni attraverso la missione della Chiesa. In pochi hanno letto integralmente questi sedici documenti conciliari, che sono di ineguale valore. Ma l'insieme si articola attorno a un asse cardine con due poli: la costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen gentium, 21 novembre 1964) e la costituzione dogmatica sulla Rivelazione (Dei verbum, 18 novembre 1965). Se l'opera inizia con una riforma della liturgia, troppo rapidamente condotta in alcuni Paesi, essa si è conclusa con i rapporti tra la Chiesa e il mondo (Gaudium et spes, 7 dicembre 1965).
Costruita tassello dopo tassello e non senza sofferenza, l'opera conciliare ha ripreso dalle fondamenta tanto lo statuto dei sacerdoti e la loro vocazione, che i missionari, le relazioni con le religioni monoteiste e soprattutto la questione della libertà religiosa e le relazioni con l'ebraismo e Israele nella riflessione storiografica e in politica. È da notare che la chiusura del Concilio l'8 dicembre 1965, che avvenne nella gioia e nell'esuberanza, allo stesso tempo straziò i cuori e alleviò gli spiriti.
Disattesa fu la speranza, fortemente delusa, presso un'opinione pubblica impaziente di una sorta di libertà morale della quale la crisi del 1968 fu l'effetto, coincidente con l'audace enciclica Humanae vitae, decisa e pubblicata il 25 luglio 1968. Il termine di «crisi» della Chiesa appare nel 1970 per designare il Vaticano II sia come un fallimento, sia come una tappa verso un concilio complementare: «Vaticano III» o «Laterano vi».
Dopo Giovanni XXIII, quattro Papi «conciliari» ebbero il compito di mantenere la speranza e di declinare nel quotidiano un capitale spirituale e pastorale senza precedenti: Paolo VI da martire, Giovanni Paolo I con il suo folgorante passaggio di testimone, Giovanni Paolo II come pellegrino della fede e Benedetto XVI come ermeneuta della ricchezza del Concilio al di là dei suoi errori di applicazione storicizzabili. Al di là della liturgia e della questione del cristianesimo in Europa, la catechesi del Vaticano II fu l'opera dei Papi dinanzi a un popolo di laici che del Concilio prende ancora in considerazione solo la parte ecclesiale, antropologica e sociologica in luogo del programma completo del Concilio così come proposto nel 1962. All'impazienza del viaggiatore che non tollera più di due ore di un tragitto che si faceva prima in ventiquattro ore, il dramma del Vaticano II è quello di essere appesantito da un'instancabile impazienza da parte di coloro che hanno la missione di viverlo o il dovere di rispettarlo. La speranza è sempre un indomani, è la grande lezione dell'opera conciliare.
Un detto popolare vuole che «i bambini crescano di notte». La fede immutabile illuminata dal Vaticano II nel mondo moderno cresce da cinquant'anni nella notte profonda delle Scuole -- cosa avrebbe fatto Giovanni XXIII se fosse vissuto più a lungo? -- delle indignazioni forsennate, come per la Humanae vitae, o dei malintesi, come per i discorsi di Benedetto XVI nel corso del suo viaggio in Africa e a Ratisbona.
Il Sinodo del 1985, per commemorare a Roma il ventesimo anniversario della fine del Concilio, non ebbe una grande riuscita. Il messaggio al mondo, anafora di quello del 1962, non ebbe alcun impatto. Il progetto elaborato dal cardinale Lustiger venne giudicato troppo pessimista. Ma spettacolare fu la dichiarazione di un vescovo africano che disse, in piedi, con forza poco comune: «Per noi, Africani, il Vaticano II è Nicea». Questa affermazione, che lasciò stupefatta l'assemblea, riassumeva tutta l'opera di fede sotterranea che il Concilio operava in continenti nei quali la sua opera costituiva il sorpasso di un catechismo tradizionale. Non si può sottovalutare la grande invenzione delle Giornate Mondiali della Gioventù (JMJ) di Giovanni Paolo II che ha creato una generazione di giovani «JMJisti». Grazie alla sua capillarità, la fede infusa nell'animo della gioventù dell'Europa dell'Est contribuì alla caduta del muro di Berlino nel 1989.
La complessità del Vaticano II nella sua lettura corrisponde alla dinamica costante del commento dell'opera conciliare alla quale si dedicano sia i Pontefici romani che i teologi. Lo spazio concesso alla parola nella liturgia, che va di pari passo con i principi di collegialità e di sussidiarietà, pone molto in alto il dibattito sulla fede.
Questa lettura permanente del Concilio è una delle grandi sfide dei cinquant'anni trascorsi e delle crisi che la Chiesa può ancora attraversare negli anni a venire. Ma ognuno sa che nessun concilio, neanche quello di Trento, ha portato frutto dall'oggi al domani. Il Concilio tridentino è stato attuato dai gesuiti, il concilio Vaticano II sarà realizzato dalla parola, dal legame più capzioso tra gli esseri umani.
Pubblicando la sua prima enciclica, il 25 dicembre 2005, Benedetto XVI ha fortemente insistito sull'esigenza dell'amore umano nell'accettazione del passaggio graduale dall'èros all'agàpe. Giovanni Paolo II già aveva sollecitato una catechesi del corpo della quale si apprestava a fare un libro al momento della sua elezione nel 1978. Del corpo non si tratta nei sedici documenti conciliari, per tanto che si sappia. Ma questi due Papi hanno ricordato -- e Giovanni Paolo II con la sua morte eroica e la sua beatificazione -- che se «Dio ha bisogno degli uomini» (dal libro di Henri Queffélec, Un recteur de l'Ile de Sein, 1944), gli uomini hanno bisogno di Dio e che il corpo è una persona (Dignitatis Humanae, Splendor Veritatis).
Il Vaticano II non rappresentò gli Stati Generali della Chiesa per una semplice ragione: gli Stati Generali di Francia si nutrirono di lamentele, contenute nei cahiers de doléances mentre la fase preparatoria del Concilio, al contrario, prese in carico suggerimenti, voti, proposizioni, tutti costruttivi, spesso in occasione di assemblee alle quali partecipavano dei laici. Il futuro cardinale Wojtyła procedette a numerose riunioni per preparare il famoso schema 13 (Gaudium et spes). Ciascuno portò la sua pietra al restauro dell'edificio della Chiesa e a un'antropologia moderna, tenendo conto del progresso delle scienze sociali e tecniche. Tenendo conto anche delle aspirazioni del «Popolo di Dio»: opera di fiducia e non di doléance.
È su questi vota, a partire dai quali i primi schemi e i successivi testi sono stati discussi e votati, e sull'esperienza dei Padri, che il Convegno organizzato dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche intende basarsi per uno studio minuzioso del consensus Ecclesiae del quale l'elaborazione fu progressiva e sottoposta alla prova del tempo senza nulla cambiare all'ispirazione del 1959.
A tale scopo, il Pontificio Comitato di Scienze Storiche ha promosso una ricerca, in collaborazione con il Centro Studi e Ricerche «Concilio Vaticano II» della Pontificia Università Lateranense, sugli archivi dei Padri del Concilio. Un primo convegno internazionale si terrà a Roma dal 3 al 6 ottobre 2012 per fare il punto sulla documentazione prodotta dai vescovi, al fine di meglio comprendere come essi hanno vissuto il Concilio. Un altro, grande convegno avrà luogo nel 2015 per il cinquantesimo anniversario della fine del Concilio: fare il bilancio dei lavori e valutare il peso del Vaticano II nella storia.

(©L'Osservatore Romano 10-11 ottobre 2011)

Mah...
R.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Troppo entusiasmo... ma tra le righe appare i disastro "sotterraneo". I giovani del'Est si fortificarono nella fede, con quella fede semplice che ancora non conosceva tutti i se i ma "Ridicoli" messi in giro dai conciliatori. Se rivoluzione ci fu , ci fu per quella fede che i giovani avevano all'Eucaristia e alla Madonna , non inquinata da teologia "protestante" cattolicizzata, fino al 1989 era riuscita ad abbattera il comunismo,quella fede irrorata dal sangue dei martiri dell'Est( spesso dimenticati per l'ostpolitik dal Vaticano).

medievale ha detto...

è la solita lavagna dei Papi buoni e di quelli cattivi