Le tappe di un cammino lungo venticinque anni nel ricordo del cardinale Roger Etchegaray, tra i protagonisti di allora e di oggi
Sulle tracce della verità e della pace
Quando, il 25 gennaio 1986, Giovanni Paolo II annunciò a San Paolo Fuori le Mura l'incontro del 27 ottobre seguente, spiegò la scelta di Assisi come «il luogo che la figura serafica di san Francesco ha trasformato in centro di una fraternità universale». Di fatto i responsabili delle diverse religioni vi si sono sentiti spontaneamente a casa propria, compresi quelli delle religioni asiatiche, che sembravano vivere in un altro pianeta, tanto lontano è ancora l'Oriente dall'Occidente. Eppure la giornata mondiale di preghiera e di digiuno per la pace di venticinque anni fa era un inedito dovuto all'audacia di un Papa angustiato dinanzi alla minaccia nucleare su una terra divisa in due blocchi. «Una simile iniziativa -- dice il cardinale Roger Etchegaray in questa intervista al nostro giornale, nella quale ripercorre tutte le tappe della preghiera per la pace vissute accanto a Papa Wojtyła ad Assisi -- non sarebbe stata immaginabile senza la Nostra aetate e senza Paolo VI e la sua enciclica Ecclesiam suam sul dialogo».
Il Papa torna ad Assisi per il venticinquesimo anniversario della prima giornata indetta da Giovanni Paolo II. Che ricordo ha di quell'incontro?
Ricordo un'immagine forte fra tante altre. Al tramonto, davanti alla basilica di San Francesco, vidi, intirizziti dal freddo, stretti gli uni agli altri, dei giovani ebrei prendere d'assalto il palco per offrire rami d'olivo di Gerusalemme prima di tutto ai musulmani: mi sono allora sorpreso ad asciugare una lacrima sul mio viso. Poi, nell'immenso refettorio conventuale dove riceveva gli ospiti per congedarsi da loro, il Papa mi confidò, come sollevato, che l'arcobaleno che a fine mattinata aveva abbracciato Assisi era per lui il segno visibile di un'armonia fra Dio e tutti i discendenti di Noè. La pace, più della guerra, deve far versare lacrime gioiose e promuovere umile riconciliazione.
Erano giustificati i timori espressi da qualcuno a proposito del rischio del sincretismo?
Io posso solo testimoniare che Giovanni Paolo II, nei dieci mesi d'intensa preparazione che ha seguito passo dopo passo, ha fatto tutto il possibile per evitare l'insorgere di qualsiasi sincretismo. Ha dedicato, fra l'altro, due riunioni dei cardinali della Curia e quattro Angelus domenicali a spiegare il significato di un evento senza precedenti e a sottolineare che Cristo è l'unico Salvatore dell'intera umanità. Ad Assisi non c'è stata la minima traccia di preghiera comune, ma ogni religione ha potuto far udire il sussurro della propria relazione con Dio. Bisogna riconoscere che Assisi ha fatto fare un salto straordinario al dialogo tra le religioni, ancora balbuziente e incessantemente da approfondire. Per noi cristiani è una delle sfide più grandi, indubbiamente più impegnativa di quella dell'ateismo; è la punta di diamante che rafforza la nostra fede e purifica la nostra testimonianza evangelica. Alcuni fanno fatica ad affrontare l'impatto con le altre religioni, reso massiccio e martellante dalla crescente mescolanza dei popoli e delle culture.
Nel 1993 Giovanni Paolo II tornò ad Assisi per pregare per la pace nei Balcani. Cosa ricorda di quella giornata?
Tornò ad Assisi, appena sette anni dopo, e per due giorni. Ci fu una veglia spirituale concentrata sulla pace in Europa, in particolare nei Balcani. Quella regione dava allora inizio a un'orrenda «pulizia etnica», dalla Bosnia ed Erzegovina al Kosovo. Il Papa convocò tutti gli episcopati d'Europa e i rappresentanti delle comunità ortodossa, musulmana ed ebraica. Questa «seconda Assisi» è stata ricordata molto poco, si è addirittura dimenticato di metterla nella lista delle giornate di Assisi. È importante ricordare che ancora oggi, vent'anni dopo quei tragici eventi, ci sono Paesi non ancora integrati nell'Unione europea. Resta una situazione precaria, perché una pace basata sul mercanteggiamento territoriale non può essere duratura. Una pace prodotta dall'inasprimento e dalla manipolazione dei nazionalismi è un pace falsa. Giovanni Paolo II volle allora andare nell'inferno di Sarajevo; aveva fissato la data dell'8 settembre 1994. Due giorni prima, fu annullato il viaggio per motivi di sicurezza. Fu la sconfitta di una scommessa basata sulla forza della preghiera. Lo sento ancora dire agli abitanti di Sarajevo durante la messa celebrata per loro a Castel Gandolfo: «Io, vescovo di Roma, primo Papa slavo, m'inginocchio dinanzi a Te, Signore, per gridare: dalla peste, dalla carestia, dalla guerra, liberaci!».
Papa Wojtyła tornò anche nel 2002, all'indomani dell'attentato alle torri gemelle. E di quella giornata cosa le è rimasto impresso?
Era il 24 gennaio 2002, si celebrava ancora la settimana per l'unità dei cristiani, segno dell'interesse attribuito all'ecumenismo, dunque senza un riferimento diretto alla data della prima giornata di Assisi: quel che contava era prima di tutto la città del pacifico Poverello per un Papa di 82 anni ormai indebolito dalla malattia. Fece in treno il suo pellegrinaggio. Fu una risposta spirituale agli attentati dell'11 settembre 2001. Invitò tutte le religioni a condannare solennemente il terrorismo, definito vero crimine contro l'umanità, e il fondamentalismo che lo alimenta, poiché «pur supponendo che si è raggiunta la verità -- ed è comunque sempre in modo limitato e perfettibile -- non la si può mai imporre!».
Come vede il ritorno del Papa ad Assisi in questo momento?
È ancora il Papa -- non più Giovanni Paolo II ma il suo successore Benedetto XVI -- che si fa pellegrino della verità e della pace, un duplice cammino inseparabile. Benedetto XVI ha detto espressamente che voleva commemorare i venticinque anni della prima giornata di Assisi. Ma è qualcosa di più di una semplice memoria, perché è trascorso nel mondo e nella Chiesa un quarto di secolo da quel tempo. L'opuscolo pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace illustra bene cosa sarà questa «quarta giornata»: c'è continuità e non rottura fra i due incontri, e lo «spirito di Assisi» calerà sopra la prossima assemblea, quando il Papa soffierà sulle venticinque candele di un cammino scosceso ma ineludibile. Non a caso il 17 giugno 2007, per gli ottocento anni della conversione del Poverello, il Papa definì il dialogo interreligioso «patrimonio comune irrevocabile della sensibilità cristiana». Molto lungo, ma appassionante -- nel duplice senso della parola -- è il cammino che si amplierà ancora di più domani, grazie alla visione di un Papa che preconizza, opportune et inopportune, in ogni occasione, il dialogo interreligioso, quello che ci spinge a entrare ancor più dentro di noi, carico di interrogativi interreligiosi. Questo cammino interiore ci condurrà da Assisi a mille altre Assisi ovunque nel mondo: non sarà riservato a «professionisti» del dialogo ma coinvolgerà i «dilettanti» che tutti noi siamo, nelle nostre diverse comunità, alla ricerca della verità e della pace. (mario ponzi)
(©L'Osservatore Romano 27 ottobre 2011)
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