venerdì 28 ottobre 2011

Lo spirito di Assisi secondo Ratzinger. Non sincretismo, ma pellegrinaggio di religioni e gentili (Rodari)

Lo spirito di Assisi secondo Ratzinger. Non sincretismo, ma pellegrinaggio di religioni e gentili

Paolo Rodari

Che a Joseph Ratzinger l’incontro di preghiera interreligioso per la pace convocato da Karol Wojtyla ad Assisi nel 1986 non piacesse è certo.
“Così si apre la strada all’indifferentismo e al relativismo religioso”, era il giudizio di molti all’interno della curia romana, secondo alcuni anche quello dell’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio. Il cardinale Ratzinger, che nel 2000 ha firmato la dichiarazione “Dominus Iesus” dedicata all’unicità e all’universalità salvifica di Gesù Cristo e della chiesa, ad Assisi nel 1986 non era andato.
Mentre in occasione del suo remake, l’incontro avvenuto nel 2002, salì sul treno assieme a Giovanni Paolo II soltanto all’ultimo momento: “L’inatteso arrivo di Ratzinger è maturato dopo che, la sera precedente l’happening, monsignor Stanislaw Dziwisz – segretario particolare di Papa Wojtyla, ndr – gli aveva espresso telefonicamente il desiderio del Papa di averlo al suo fianco durante l’evento interreligioso”, scrisse su 30Giorni nel gennaio del 2002 Gianni Cardinale. La presenza di Ratzinger non era prevista tanto che la cosa mandò in confusione l’Osservatore Romano che il giorno successivo nell’elenco stampato dei partecipanti non pubblicò il suo nome.
E’ principalmente per queste premesse che quando lo scorso gennaio Benedetto XVI ha annunciato la volontà di essere presente ad Assisi in occasione del venticinquennio del raduno (quest’oggi) molti sono rimasti stupiti. Ma stando a quanto è uscito dalla conferenza stampa di presentazione dell’evento sembra evidente che l’intento di Ratzinger è uno: evitare che altri facciano scivolare l’anniversario verso i rischi di sincretismo manifestatisi nel 1986. Rischi che, a onor del vero, già nel 2002 vennero evitati da Wojtyla. Ha detto recentemente al Foglio il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi: “Ebbi uno scambio di battute con lui – Ratzinger – nel 2002 di ritorno dal raduno di Assisi voluto ancora da Giovanni Paolo II.
Gli chiesi se era contento. Mi rispose di sì perché ‘tutto si è svolto molto bene’. Penso si riferisse soprattutto a come avevamo impostato i momenti di preghiera, e cioè salvaguardando quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni senza cedere a quel relativismo che nega il senso della verità e la possibilità di attingervi”. Anche oggi, ad Assisi, Benedetto XVI risolve alla radice il problema tenendo la barra del timone dell’evento saldamente in mano: “L’enfasi verrà messa sul pellegrinaggio e non sulla preghiera”, ha detto il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del dicastero vaticano Iustitia et Pax che ha organizzato un evento nel quale non vi saranno momenti di preghiera organizzata in comune o in parallelo.
Un’organizzazione – anche questo è un segnale importante – che non è stata affidata né al Dialogo interreligioso né al Dialogo ecumenico, sembra proprio per depotenziare l’idea che ad Assisi predominante sia il pregare assieme.
L’insistenza del cardinale Turkson sul pellegrinaggio e non sulla preghiera è l’impronta che Ratzinger ha deciso di dare al raduno. Già nel 2002, sempre su 30Giorni, il cardinale prefetto insistette sul medesimo concetto: “Per una giusta comprensione dell’evento di Assisi – scrisse di ritorno dall’Umbria – mi sembra importante considerare che non si è trattato di un’autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l’espressione di un cammino, di una ricerca, del pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia”.
Per cosa i leader delle diverse religioni vanno ad Assisi? Per ciò che li accomuna oltre le differenze teologiche: l’impegno per la giustizia e per la pace. Ed è proprio questa nuova impostazione che sembra poter calmierare la galassia lefebvriana che nel gennaio scorso, quando il Papa annunciò l’intenzione di andare ad Assisi, reagì duramente: per Bernard Fellay, superiore della Fraternità San Pio X fondata da Marcel Lefebvre a Ecône in Svizzera, la “vera dottrina cattolica” non permette al Papa di pregare assieme a rappresentanti di altre religioni. Secondo Fellay, Ratzinger “intende l’ecumenismo nella stessa maniera” di Giovanni Paolo II. E ancora: “Forse Ratzinger ha subìto pressioni o influenze. Probabilmente è spaventato dagli atti anticristiani, dalle violenze anticattoliche: le bombe in Egitto, in Iraq”. Una nuova Assisi “è un atto non dico di disperazione, ma cui manca disperatamente una causa”. Non così oggi: in queste ore da Ecône non arrivano critiche particolari ad Assisi. Voci contrarie arrivano più che altro dalle periferie del mondo tradizionalista, ad esempio dalla galassia lefebvriana italiana.
Ma non è soltanto la presenza di Benedetto XVI a scongiurare che Assisi 2011 diventi un consesso sincretista. C’è anche la significativa presenza di Riccardo Di Segni.
Il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, da sempre fedele custode dell’ortodossia ebraica, pur non viaggiando verso la cittadina umbra sul treno ufficiale che partirà dal Vaticano e nonostante si dichiari “preoccupato” dal fatto che siano vicini al rientro nella chiesa cattolica i lefebvriani il cui vescovo Richard Williamson ha più volte negato la Shoah, ha confermato la sua presenza. Lo scorso agosto tutto sembrava dovesse precipitare. In un articolo apparso sull’Osservatore il 7 luglio il cardinale Kurt Koch, successore per volere del Papa all’Unità dei cristiani del cardinale Walter Kasper, introdusse la giornata di Assisi arrivando a definire la croce di Gesù “il permanente e universale Yom Kippur” e indicava in essa “il cammino decisivo che soprattutto ebrei e cristiani dovrebbero accogliere in una profonda riconciliazione interiore”. Furono queste parole a provocare l’aspra reazione di Di Segni il quale, il 29 luglio ancora sull’Osservatore, scrisse: “Se i termini del discorso sono quelli di indicare agli ebrei il cammino della croce, non si capisce il perché di un dialogo e il perché di Assisi”.
Una replica a Di Segni firmata da Koch apparve contestualmente sul giornale Vaticano il 29 luglio è bastò a sedare l’ira del rabbino capo di Roma: “Non ritengo assolutamente che gli ebrei debbano vedere la croce come noi cristiani, per poter intraprendere insieme il cammino verso Assisi”, disse. E ancora: “Non s’intende pertanto sostituire lo Yom Kippur ebraico con la croce di Cristo, anche se i cristiani vedono nella croce il permanente e universale Yom Kippur”. Probabilmente è soltanto un problema logistico, ma non è passato inosservato il fatto che il clou dell’evento non avviene come nel 2002 nella piazza superiore antistante la basilica di San Francesco, territorio custodito dai frati conventuali, ma nella basilica di Santa Maria degli Angeli che al suo interno ha la Porziuncola, “luogo sacro per eccellenza della spiritualità francescana” dicono i frati minori che ne hanno le chiavi. C’è la volontà del Papa di privilegiare coloro che custodiscono meglio di altri la purezza del francescanesimo?
In realtà fu il 2002 un’eccezione: “L’evento si svolse nella piazza antistante la basilica di San Francesco per la presenza massiccia dei movimenti” dicono i frati conventuali che ricordano che le grandi novità di Assisi 2011 risiedono altrove. Dove? Nella presenza degli atei e nel fatto che tutti, nessuno escluso, andranno a pregare sulla tomba di san Francesco.
Particolarmente nutrite le delegazioni cristiane (una trentina). Ci saranno l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, l’arcivescovo ortodosso di Cipro, l’arcivescovo metropolita di Astana, il metropolita Alexander, uomo di fiducia del Patriarca di Mosca, Kirill. Ortodossi, anglicani, luterani, evangelici. Ci saranno anche ebrei, rappresentanti del World Jewish Congress e autorevoli rabbini di vari paesi. Presenti anche indù, animisti, buddisti. Diversi anche i musulmani seppure l’Università del Cairo di al Azhar, il maggiore centro teologico sunnita, ancora in polemica per il discorso fatto da Ratzinger in difesa dei Copti e dell’eguaglianza religiosa in Egitto, ha fermamente declinato l’invito. Ci sarà invece il principe Ghazi bin Talal di Giordania, cugino del re e suo consigliere in materia religiosa, uno dei firmatari della lettera al Papa dei 138 “saggi” islamici.
Ad Assisi quest’oggi ci saranno anche persone dichiaratamente non credenti, fra cui Julia Kristeva, celebre psicanalista francese, allieva di Lacan, di origini bulgare. I nomi degli intellettuali atei sono stati forniti dal cardinale Gianfranco Ravasi, ideatore del “Cortile dei gentili”, un think tank per il dialogo con i “lontani”: li ha voluti invitare il Papa “per manifestare la volontà di non escludere nessuno dal cammino verso la verità e la pace, ricreando così, anche nella capitale della pace, quel ‘Cortile dei gentili’ che nell’antica Gerusalemme accoglieva tutti, e che oggi vuole idealmente essere luogo di accoglienza e di dialogo per tutti coloro che si mettono alla ricerca della verità e della pace”, ha scritto Ravasi sul suo blog “Parola & Parole”. Ha scritto Austen Ivereigh su America, la prestigiosa rivista newyorchese in mano ai gesuiti: “Il ‘Cortile dei gentili’ promosso dal cardinale Gianfranco Ravasi, la creazione di un Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione e ora l’annuncio che i non credenti sono invitati ad Assisi, dicono che ciò a cui punta il pontificato di Benedetto XVI è un dialogo nuovo che ha il suo centro nell’Europa ‘post cristiana’.
Al Papa interessa oggi il mondo dell’umanesimo laico”. Tra gli atei, tuttavia, non ci sarà il filosofo britannico Anthony Clifford Grayling. Quando ha saputo che si trattava di un pellegrinaggio ha declinato l’invito. Ha detto al giornale cattolico britannico Catholic Herald: “Pensavo che in realtà avrei potuto avere una discussione con il Papa sul ruolo della religione nella società, ma quando è emerso che si trattava di un avvenimento di tipo minore, e quello che volevano erano degli ospiti che accompagnassero il Papa in un pellegrinaggio, ho deciso di tirarmi indietro”. L’invito rivolto a Grayling aveva destato sorpresa. Era stato lui, più di altri, a criticare aspramente il Papa più di un anno fa, prima del suo arrivo in Gran Bretagna nel settembre 2010. Insomma a Grayling la “ricetta” Ratzinger – più pellegrinaggio meno preghiera – non piace. Ma è l’unico modo tramite il quale il Papa, ex prefetto della dottrina della fede, vuole festeggiare quanto il suo predecessore inaugurò venticinque anni prima.

Pubblicato sul Foglio giovedì 27 ottobre 2011

© Copyright Il Foglio, 27 ottobre 2011 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.

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