domenica 2 ottobre 2011

Segno di speranza. Le ordinazioni diaconali nel Duomo di Milano presiedute dal card. Scola (Sir)

Segno di speranza
Le ordinazioni diaconali nel Duomo di Milano


“Siete per la Chiesa e quindi per la società un segno di speranza affidabile”. Così l’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, si è rivolto ieri in duomo ai candidati al diaconato. 36 gli ordinati: 21 diaconi diocesani (che diventeranno sacerdoti il prossimo 9 giugno), 4 giovani del Pime (Pontificio istituto missioni estere) e un frate minore; ad essi si aggiungono 10 diaconi permanenti (due celibi e 8 sposati). Il diaconato “è un dono per voi e per tutta la nostra Chiesa”, ha aggiunto il cardinale ringraziandoli “per la coraggiosa risposta al disegno di Dio” e ricordando la “felicità a cui ognuno di voi è chiamato se vive la vita come vocazione e se la vive obbedendo in tutto allo specifico stato di vita”.

La vita è vocazione. “La vita è in se stessa vocazione”, ha sottolineato il card. Scola nell’omelia. “Infatti, nessuno di noi si è fatto da sé. Nessuno può e potrà mai pensare di darsi da sé la propria esistenza: ogni uomo è posto nell’esistenza ed è donato a se stesso da oltre e dall’altro. E lo è, ultimamente, dall’amore del Padre celeste che crea ognuno di noi. Se siamo chiamati alla vita, allora essa è risposta a Colui che ci chiama”. In questa prospettiva l’arcivescovo ha letto l’ammissione al diaconato e – per i giovani provenienti dal seminario ambrosiano – al diaconato seguito dal presbiterato. L’ordinazione diaconale, ha precisato, “è certo una vocazione specifica ma anzitutto richiede ai candidati di riconoscere il dato che la loro vita è vocazione”. “Il diaconato è nella Chiesa un segno sacramentale specifico di Cristo Servo”, perciò quanti vengono ordinati diaconi “sono letteralmente presi a servizio”. Un atto che presuppone una chiamata, una vocazione, appunto: “Tutta la disponibilità personale non basta per produrre questa elezione: un altro deve chiamarti, deve prenderti a servizio”.

Diaconi permanenti e candidati al sacerdozio. Il cardinale si è quindi rivoto specificatamente ai diaconi permanenti e a quelli candidati al presbiterato. Ai primi ha ricordato che “se la natura del ministero ricevuto trasforma tutta la vita del diacono, per coloro che si trovano nello stato matrimoniale, la vita coniugale e la vita familiare domandano di essere riplasmate nei dovuti modi”. A nome della Chiesa ha dunque espresso “gratitudine alle mogli e ai figli che hanno accolto la vocazione diaconale del marito e padre con magnanimità. S’impegnano ad assecondarla anche con sacrificio perché essa diventi ora parte essenziale della loro vita come vocazione”. Parlando ai futuri preti, invece, ha fatto riferimento alla “veneranda tradizione del celibato”. “La Chiesa latina – ha affermato – sceglie da tempo immemorabile i suoi presbiteri tra coloro che, per grazia, hanno ricevuto il dono del celibato. In questo modo, fin dal diaconato, i ministri ordinati rivivono alla lettera, nella loro carne, la stessa forma di vita che fu di Gesù. Mi preme sottolineare con forza che la grazia del celibato, assunta liberamente e responsabilmente custodita e fatta crescere, costituisce, per coloro che sono chiamati e che liberamente e definitivamente vi aderiscono, la modalità concreta per compiere un’esperienza integrale di vero amore, senza mutilazione di sorta”. Pertanto, ha concluso, “la via del celibato, che obiettivamente nella Chiesa latina si colloca nell’orizzonte della chiamata verginale, è singolare ma pieno compimento dell’amore cui ogni uomo aspira”.

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