Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:
ATTUALITÀ - Mondo Voc ottobre 2011
Vocazioni alla politica, quattro politici cattolici rappresentativi e un prete
di Salvatore Izzo
"Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce sarebbe bellissimo".
Aldo Moro, statista e politico cattolico ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978 dopo 55 giorni di prigionia seguiti al rapimento e alla strage di via Fani, consegna questo desiderio all'ultima struggente lettera indirizzata dal "carcere del popolo" alla moglie Eleonora. "Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Ci rivedremo. Ci ritroveremo. Ci riameremo". Una straordinaria testimonianza di fede che le polemiche che divisero allora il mondo politico e il senso di colpa, i rimorsi di un intero Paese, hanno in qualche modo oscurato, attirando su altri aspetti di quel dramma l'attenzione dell'opinione pubblica.
Eppure quelle parole di Moro - come affermato da monsignor Raffaele Nogaro, il vescovo emerito di Caserta che nel 2008, a 20 anni dall'uccisione, ha pubblicamente chiesto l'avvio della causa di beatificazione del presidente della Dc - suonano come una vera preghiera. E richiamano alla memoria l'invocazione di un altro martire, il teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer ucciso dai nazisti nel campo di concentramento di Flossenburg, il 9 aprile 1945: "È buio dentro di me, ma presso di Te c'è la luce; sono solo, ma Tu non mi abbandoni; sono impaurito, ma presso di Te c'è l'aiuto; sono inquieto, ma presso di Te c'è la pace; in me c'è amarezza, ma presso di Te c'è la pazienza; io non comprendo le Tue vie, ma la mia via Tu la conosci".
In una lettera alla moglie, scritta il 14 settembre 1935 quando in fuga dalla persecuzione fascista credeva di dover morire, un altro grande politico cattolico italiano, Alcide De Gasperi, confida sentimenti analoghi a quelli di Moro per la sua famiglia: "se la Provvidenza vorrà chiudere la mia vita terrena, prima che io abbia assolto il mio compito di padre, affido alla suprema paternità di Dio le mie bambine e confido con assoluta certezza che il Signore ti aiuterà giorno per giorno a farle crescere buone e brave. Non posso lasciar loro mezzi di fortuna, perché alla fortuna ho dovuto rinunziare per tener fede ai miei ideali. Muoio con la coscienza d’aver combattuto la buona battaglia e colla sicurezza che un giorno i nostri ideali trionferanno". Sopravvisse a quella prova e poté guidare il nostro Paese nella rinascita dopo la tragedia della guerra, garantendo libertà e democrazia e un ruolo nella comunità internazionale, ma il suo cuore semplice di credente rimase lo stesso: racconta la figlia Maria Romana, in uno dei libri sulla vita del padre, che Lucia, l'altra figlia, che si era fatta suora, gli mandava dei bigliettini di meditazioni, tratte dalla Bibbia o da libri di santi, che egli leggeva prima di una difficile seduta parlamentare o una riunione del Consiglio dei Ministri, per trarne un conforto spirituale o l’ispirazione per le difficili decisioni che si trovava a dover assumere, prese sempre con grande coerenza e onestà intellettuale. Senza lasciarsi intimidire da nessuno, come quando prima si oppose alla deriva di destra dei Comitati Civici di Luigi Gedda, che pure godevano dell'appoggio di Pio XII, e poi allontanò dal Governo del Paese gli esponenti di partiti vicini al comunismo sovietico, perché la loro partecipazione avrebbe relegato l'Italia in una posizione di isolamento internazionale. A Trento la fase diocesana del processo di beatificazione di Alcide De Gasperi è stata aperta nel 1993.
Eletto nel 1946 all'Assemblea Costituente per la Democrazia Cristiana e nel '48 confermato deputato al Parlamento, Enrico Medi è ricordato soprattutto come scienziato e divulgatore televisivo. Sensibile ai poveri, ai disagiati, agli indigenti, durante la guerra di occupazione nazista si offrì in ostaggio per liberare due persone che stavano per essere fucilate. Anche per lui è in corso la causa di beatificazione, presso la diocesi di Senigallia, perché fu un vero apostolo dell'Eucarestia: suscitava fortissima emozione ascoltarlo mentre parlava di questo dono, lasciando traboccare dal suo cuore parole che conquistavano le folle di tante città d'Italia. Aveva ottenuto di poter conservare il Santissimo Sacramento nella sua casa, in una cappella che curava con interesse particolare e che aveva dedicato alla Sacra Famiglia. In quella stanza il professor Medi iniziava e chiudeva la giornata, soffermandosi in preghiera e in lunghe meditazioni.
Anche la vita di Giorgio La Pira, il sindaco santo di Firenze (nato però a Pozzallo, in provincia di Ragusa, nel 1904), offre aspetti di grande fascino. È un uomo che ha saputo parlare con i grandi della terra, è stato amico di Papi e cardinali, aveva corrispondenze con re e capi di stato; ha dato un contributo determinante alla stesura della Costituzione italiana, ed è stato il primo politico occidentale a varcare la "cortina di ferro", in piena guerra fredda, invitato dal sindaco di Mosca e poi in missione di pace ad Hanoi, dove nel 1965 fu ricevuto dal leader nordvietnamita Ho Chi Minh. Da quell'incontro aveva riportato l'impressione che il Vietnam "fosse disposto a negoziare con gli americani senza esigere il ritiro preventivo delle truppe". Informò Amintore Fanfani, allora presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, e questi ritenne di fare giungere il messaggio al presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson. Del resto, Fanfani - leader della Dc per una lunga stagione e poi premier, ministro degli esteri e per più legislature presidente del Senato - avrebbe fatto qualunque cosa La Pira gli avesse chiesto, perché lo venerava già in vita come un santo: un suo cappello, dimenticato durante una visita, era conservato con reverenza e devozione in casa e, per invocare la guarigione dal Signore, veniva posto sul petto di quanti in famiglia erano ammalati. Alle esequie in Duomo, il 7 novembre 1977, l'allora cardinale di Firenze Giovanni Benelli affermò che "tutto si può capire di La Pira con la fede, niente si può capire di lui senza la fede". Giovanni Paolo II lo ha definito una "figura esemplare di laico cristiano", additandolo a esempio per tutti i sindaci d'Italia. La causa diocesana per la causa di beatificazione introdotta dal cardinale Silvano Piovanelli nel 1986 si è conclusa il 4 aprile 2005.
Quattro grandi laici e parlamentari cattolici, dunque, il cui impegno politico scaturisce dall'intuizione coraggiosa di un sacerdote, anche lui siciliano, il fondatore del Partito Popolare Italiano, don Luigi Sturzo. Per Mussolini un "sinistro prete", un pericoloso concorrente, da esiliare. "Un animo profondamente credente e uno spirito sacerdotale all’origine di un pensiero straordinariamente ricco e di un’azione culturale, sociale e politica d’imponente fecondità", lo ha definito invece lo scorso 5 ottobre monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, per il quale "il messaggio essenziale che il servo di Dio Luigi Sturzo ha lasciato per noi credenti è, senza dubbio, che la dedizione nei confronti del prossimo nella forma dell’attenzione responsabile alle dinamiche sociali e della carità politica è dimensione ineliminabile della vocazione cristiana".
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