Omelia del cardinale prefetto della Congregazione per il Clero nella festa di san Benedetto
L'Europa e le sue fondamenta
Il cardinale prefetto della Congregazione per il Clero ha presieduto, nella mattina di lunedì 21, presso l'abbazia di Montecassino, una messa in onore di san Benedetto, patrono d'Europa. Al rito, concelebrato dall'abate, dom Pietro Vittorelli, hanno preso parte il decano dell'abbazia anglicana di Westminster, John Hall, insieme a numerose autorità civili italiane, tra cui il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianni Letta, e il ministro Altero Matteoli. Pubblichiamo ampi stralci dell'omelia tenuta dal porporato.
di Mauro Piacenza
L'apporto che questo uomo, Benedetto, ha dato alla costruzione religiosa, culturale e civile dell'Europa è senza paragoni. Dovremmo giungere ad affermare, anche dal punto di vista della corretta critica storica, che nessuno ha fatto per l'Europa più di san Benedetto da Norcia e, per conseguenza, la sua persona, il suo stile, il suo pensiero, dovrebbero essere punti di riferimento imprescindibili per chiunque voglia parlare, occuparsi, lavorare e spendersi realmente per la buona causa dell'Europa. La verità di un servizio di guida e di governo di un popolo si misura esattamente su quanto esso sia capace di impedire le cadute del popolo stesso; cadute economiche, certo, ma soprattutto cadute culturali e morali, che sfigurano il volto del popolo e, al suo interno, corrompono gli individui.
L'idea che l'indebolimento culturale del popolo e della sua coscienza, strumentalmente ottenuto attraverso la corruzione dei costumi, sia uno strumento di potere e di controllo, è tanto falsa quanto pericolosa. Essa espone il popolo ai rischi più grandi e mente ai governanti sul reale significato del potere e del servizio, al quale essi sono chiamati.
La dignità della persona umana e i suoi irriducibili diritti, che lo Stato non costituisce ma è tenuto a riconoscere, derivano dall'altissima concezione che, dell'uomo, ha il cristianesimo, e di tale concezione san Benedetto è stato fedele discepolo e, perciò, impareggiabile maestro.
Nella vita di san Benedetto, il passaggio da Subiaco a Montecassino, nel 529, rappresenta una fase nuova della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica: egli passa da una profonda intimità con Dio, che lo ha radicalmente trasformato, alla coscienza che tale intimità, tradotta nell'esperienza monastica, domanda visibilità e riconoscibilità, perché a essa tutti possano guardare e da essa imparare. È l'inizio del ruolo pubblico del cristianesimo, così come andrebbe sempre correttamente inteso: mai confuso con il potere civile, come avveniva nell'epoca pagana, e mai segregato o confinato fuori dal vivere sociale, come talvolta si vorrebbe oggi.
Un solo esempio può descriverne il valore: il santo di Norcia sostiene che colui che detiene il potere, per essere in grado di decidere responsabilmente, deve saper ascoltare il consiglio dei fratelli, perché «spesso Dio rivela al più giovane la soluzione migliore» (Regola, III, 3). Un uomo di responsabilità pubblica deve sempre saper ascoltare e imparare da quanto ascolta. Deve saper ascoltare la storia, ascoltare gli uomini, ascoltare profondamente se stesso e, se credente, ascoltare costantemente la voce di Dio, che parla nella coscienza, nella rivelazione e nel magistero della Chiesa.
L'Europa è al centro di questa drammatica sfida: o riscopre la propria identità, necessariamente cristiana, o rischia semplicemente di non esistere più come Europa. La recente sentenza appena emessa -- (18 marzo 2011) dalla Corte di Strasburgo sulla esposizione obbligatoria del crocifisso nelle scuole pubbliche ha riconosciuto che tale esposizione, lungi dal costituire un «indottrinamento», manifesta l'identità culturale e nazionale dei Paesi di tradizione cristiana. Il crocifisso, che è il principio vivificante della immensa opera benedettina, è stato riconosciuto non solo come un principio unificatore dell'Italia, proprio nella coincidenza del 150° anniversario della sua unità politica, ma anche come un principio identitario al quale possono guardare i Paesi europei!
Ci ricorda il Santo Padre Benedetto XVI: «Per creare un'unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale, che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l'Europa» (Udienza generale, 9 aprile 2008). Se anche non si volessero riconoscere il ruolo fondamentale del cristianesimo e le conseguenti radici cristiane dell'Europa, per reale convincimento etico-religioso, lo si dovrebbe fare esercitando quella moralità nella conoscenza, che spinge ad amare la verità più di se stessi, riconoscendo la realtà del dato storico e la valenza culturale di un'identità etico-religiosa, senza la quale il vecchio continente rischierebbe realmente di perdersi.
Il contributo della cultura, della politica e della diplomazia italiane può e deve essere determinante per questa riscoperta e per la sua conseguente assunzione di responsabilità. Ne va del nostro futuro, del futuro dell'Europa, della possibilità, per le nuove generazioni, di vivere ancora nella libertà e in un contesto culturale, nel quale l'uomo non divenga mai mezzo, ma sia e resti sempre fine. In tale senso dobbiamo rallegrarci per la sentenza di Strasburgo.
Questa appartenenza a Cristo, questa radice ultima di tutti i valori positivi di unità e di pace, di sviluppo e di progresso, che le nazioni d'Europa avvertono come proprio patrimonio, domanda di essere riconosciuta, riscoperta e ricollocata alla radice dell'Europa. La sfida del multiculturalismo, che non di rado diviene anche multireligiosità, domanda di approfondire e dilatare le capacità di autentico dialogo. Dia-logo, appunto, «parola tra due»!
Ma con chi dialogheranno le altre culture, se l'Europa non avrà una propria identità? La mancanza di identità ha come drammatica conseguenza l'impossibilità del dialogo! Al contrario, la serena e continuamente purificata riscoperta della propria identità costituisce il presupposto più sicuro per approfondire continuamente quell'indispensabile dialogo, che permette alle differenti culture di convivere pacificamente nel rispetto più profondo della dignità di tutti gli uomini e, con essa, dell'autentica libertà religiosa.
La stessa democrazia, per poter vivere e funzionare, ha bisogno di una solida piattaforma di valori condivisi, senza la quale è semplicemente impossibile che i sistemi sociali funzionino. In Europa tale piattaforma di valori condivisi è indiscutibilmente fornita dal cristianesimo, sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista sociale. Non riscoprire le radici cristiane dell'Europa e addirittura ostacolarne in ogni modo la potente rifioritura, coincide, in realtà, con il mettere in pericolo la stessa democrazia, la quale, privata di una piattaforma di valori condivisi, può essere esposta ad ogni forma di aberrante degenerazione.
La Chiesa non cesserà mai, nell'ordine che le è proprio, di ricordare agli uomini, alle nazioni, agli Stati e ai loro governanti, l'urgenza e perfino la necessità della riscoperta di un reale umanesimo plenario. L'uomo non può e non deve, in alcun caso, essere strumentalizzato, per fini economici, politici o di potere. Egli è un fine, non un mezzo, e, dunque, l'economia, il diritto e la politica devono essere concepiti come indispensabili strumenti al servizio dell'uomo, del suo vero bene, del suo reale progresso, che coincide sempre con il bene comune. Di questo vero bene e reale progresso, è elemento indispensabile e condizione non negoziabile l'assoluto, integrale e moralmente vincolante rispetto della vita. Mai si era vista, in Europa, una così profonda degenerazione giuridica in tale fondamentale ambito.
(©L'Osservatore Romano 21-22 marzo 2011)
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