giovedì 17 marzo 2011

Unità d'Italia: campane a festa (Marco Tarquinio)

CIÒ CHE È STATO, CIÒ CHE VA FATTO

CAMPANE A FESTA

MARCO TARQUINIO

Noi italiani non siamo sempre bravi a vivere i giorni di festa.
E spesso, come anche stavolta le cronache politiche confermano, riusciamo ad addobbarli di polemiche insensate. Ma oggi, 17 marzo 2011, 150° anniversario dell’unità politica d’Italia, vale la pena di essere bravi e felici. Oggi è davvero un giorno speciale, e dovremo saper fare un allegro eppure serissimo sforzo per viverlo bene. Perché oggi ci è offerta l’occasione per celebrare e 'capire' con la giusta solennità la nazione e il paese che siamo e che vogliamo essere, e per rifare nostri tre concetti fondamentali: unità, radici, futuro.
Ieri, destinandoci un prezioso regalo di compleanno, anche Benedetto XVI ci ha aiutato a mettere nella testa e nel cuore questa festa. Ha sciolto idealmente, il Papa, le campane della Chiesa universale per noi, figli di una terra e di una storia toccati con straordinaria intensità e fedeltà dal cattolicesimo e segnati dalla millenaria presenza dei Vicari di Cristo.
È un gesto d’amore che riassume quelli compiuti nel passato e ancora e sempre – in ogni momento e in ogni angolo della Penisola – da un popolo che è italiano e cristiano. Ci ha ricordato chi siamo e che cosa abbiamo saputo costruire, Papa Benedetto. Quale straordinaria unità prima dell’unità noi italiani abbiamo fatto e custodito nel bellissimo e coinvolgente segno (segno di mani e opere e volti) dell’umanesimo cristiano, e quali aspri conflitti politici grazie a essa abbiamo potuto e saputo conciliare arrivando, infine, a rispecchiare negli esemplari rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica quella serena e potente solidarietà («una profonda amicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale») che è sempre stata propria della nostra società, persino nelle fasi più difficili del cammino comune. Non finiremo mai di riflettere su questo punto, e di sottolinearlo. E se la riflessione si farà davvero ampia e condivisa, e se la sottolineatura diventerà forte e convinta, sarà un gran bene per l’Italia. La consapevolezza delle radici è, infatti, la prima condizione di un’unità non formale, è motivo di esistenza ed è sostanza della speranza.
Oggi è, dunque, un giorno di festa da vivere con pienezza. Alzando e approfondendo lo sguardo. All’interno del giornale abbiamo deciso di proporre questa sfida ai nostri lettori facendo correre assieme, pagina dopo pagina, due fiumi di eventi. In alto, in cento piccoli e ben cesellati 'quadri', quello degli eventi che hanno segnato il secolo e mezzo che abbiamo alle spalle. Sotto, il consueto incalzare della cronaca quotidiana. È un modo per ribadire che ogni «unità » – l’unità politica di un paese o anche solo l’unità del racconto della nostra terra e del mondo intero – non è mai il fatto di un momento, un conseguimento puntuale e definitivo, ma è un processo che si sviluppa e che continua. Tra luci e ombre. E – se abbiamo abbastanza carità, abbastanza speranza e abbastanza fede – perché le luci arrivino a sovrastare sempre di più le ombre. Per sentirsi davvero uniti, bisogna avere il senso di far parte di un popolo e di una storia. È davvero così banale, oggi, dirlo? C’è chi lo pensa e chi lo proclama. Noi no. Perché viviamo un tempo duro, nel quale si dice troppo poco ciò che pure andrebbe detto, ridetto e ripetuto, trasmettendo il senso e la bellezza di ciò che davvero vale. Perché fioccano, invece, le incresciose controtestimonianze di chi crede di poter negare e strappare le nostre radici profonde o magari pensa di trasformare la ricca e articolata «identità» degli italiani in invettive che dividono. No, l’identità – quella vera, sostanza di secoli, di fede, di cultura e di vita – è ciò che ci permette di essere uniti. E ciò che ci dà la forza, e quasi ci impone, di progettare il futuro.
Sarà, insomma, giusto e bello se sapremo vivere questo 17 marzo come una festa grande, come una festa di tutti. E farne memoria come di un 'giorno dei giorni'. Dei giorni che sono stati e dei giorni che ancora verranno. Ma la memoria ha bisogno di segni. E visto che nessuna memorabile opera è stata progettata per ricordare questo anniversario, ci permettiamo di proporre (anzi di riproporre) un’alternativa. Si faccia del 2011 l’anno della grande riforma del fisco italiano, e finalmente lo si orienti – come promesso – al rispetto e al sostegno delle famiglie rimuovendo un’incredibile e a tutt’oggi strutturale ostilità verso chi si sposa e mette al mondo figli. L’Italia ha bisogno della sua gente, ridiamogliela anche con questo mezzo. Se una buona volta accadrà, avrà più senso sciogliere le campane a festa. Per gli anni passati e per quelli che abbiamo davanti.

© Copyright Avvenire, 17 marzo 2011

1 commento:

Andrea ha detto...

Quindi chi ricorda le centinaia di migliaia di "Regnicoli" (abitanti del Regno di Napoli, con il solo torto di non essere buoni "citoyens") uccisi dai Piemontesi sarebbe un guastafeste, una voce stonata rispetto alle "campane a festa" !

Che cosa fu proclamato a Torino (capitale del Regno Sabaudo, cioè di un Ducato alpino divenuto "Regno" nel '700)? Un organismo consistente nell'annessione al Piemonte della Lombardia e di molti territori peninsulari e insulari, chiuso a tenaglia intorno a ciò che rimane degli Stati del Papa, in attesa di poterli occupare e di "liberare" Roma.