Al centro dell’Europa
Il messaggio e l’auspicio di Benedetto XVI
Mauro Ungaro - Esperto in politica balcanica
“Il processo dell’entrare in Europa è un processo reciproco di dare e di ricevere”.
È stato un viaggio nel passato ma soprattutto nel futuro dell’Europa del terzo millennio quello che Benedetto XVI ha compiuto nel fine settimana in Croazia. E parlando da Zagabria, il papa si è rivolto non solo ai croati ma a tutti gli abitanti dell’exYugoslavia e dell’Europa dei 27. E per esprimere ancora maggiormente il senso di questa sua Visita, ha voluto usare all’Angelus di domenica tutte le lingue delle genti della ex Yugoslavia.
Alla fine del mese di giugno 1991, Zagabria e Lubiana dichiaravano la propria indipendenza. Era l’inizio “visibile” del disfacimento della Yugoslavia, lo Stato mosaico di popoli, lingue e culture incapace di sopravvivere alla morte del suo artefice, il maresciallo Tito: gli anni seguenti videro scritte alcune fra le pagine più dolorose e tragiche della storia europea dell’ultimo secolo, con conseguenze che ancora oggi continuano a farsi sentire.
La Croazia non è stata risparmiata dalla violenza delle guerre fratricide che alla fine degli anni Novanta hanno interessato tutta l’area; oggi cerca, con fatica, di vivere percorsi di riconciliazione che passano anche attraverso l’adesione all’Ue.
Un’adesione che non deve essere, però, vista come una concessione da parte degli altri Stati ma come il naturale compimento di un cammino per cui l’Europa riacquisterà una propria parte naturale. Nell’evidenziare questo legame, il Papa è stato netto quando ha rilevato, rivolgendosi ai Croati che “fin dalle origini la vostra Nazione appartiene all’Europa e ad essa offre, in modo peculiare, il contributo di quei valori spirituali e morali che hanno plasmato per secoli la vita quotidiana e l’identità personale e nazionale dei suoi figli”.
Ma Benedetto XVI è andato oltre, sottolineando – in questo sinallagma di dare e ricevere - l’apporto unico e singolare che la Croazia stando al centro dell’Europa e della sua cultura può portare all’Europa del terzo millennio. Un apporto “che costituisca motivo di riflessione per tutti gli altri popoli del Continente aiutando ciascuno di essi e l’intera compagine a conservare e a ravvivare l’inestimabile patrimonio comune di valori umani e cristiani. Possa questa casa Nazione, forte della sua ricca tradizione, contribuire a far sì che l’Unione Europea valorizzi appieno tale ricchezza spirituale e culturale”.
Un compito impegnativo soprattutto perché giocato in un’Europa dove sempre più la “cultura contemporanea è caratterizzata dalla differenziazione sociale, dalla poca stabilità e segnata da un individualismo che favorisce una visione della vita senza obblighi e la ricerca continua di ‘spazi del privato’”.
L’Europa non può dimenticare che la sua identità “è un’identità propria nella ricchezza delle diverse culture che convergono nella fede e nei grandi valori cristiani”. E a testimoniare concretamente per primi questi valori il Santo Padre ha voluto chiamare la famiglia (“che è sempre stata la prima via di trasmissione della fede ed anche oggi conserva grandi possibilità per l’evangelizzazione in molteplici ambiti”) ed i giovani (“sollecitati a non cedere “alla tentazione di riporre fiducia assoluta nell’avere, nelle cose materiali, rinunciando a scorgere la verità che va oltre”).
Messaggi ancora più forti in quanto lanciati dal cuore di uno Stato che si sente a piena ragione prima di tutto Mitteleuropeo. Perché lo sforzo comune deve essere volto innanzitutto alla costruzione dell’Europa dei popoli: nella consapevolezza che quella dei mercati ne sarà la logica conseguenza.
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