Benedetto XVI torna da Stepinac, il vescovo croato che salvò ebrei e serbi
di Paolo Rodari
Il 3 ottobre 1998 Giovanni Paolo II fu molto coraggioso.
Nel centenario della nascita di Alojzije Viktor Stepinac si recò sulla sua tomba nella cattedrale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria e di santo Stefano a Zagabria (era il secondo viaggio di Wojtyla in Croazia) e lo proclamò beato. Le polemiche furono feroci: per una parte del paese Stepinac, arcivescovo di Zagabria dal 1937 al 1960, era stato un collaborazionista del regime ustascia di Ante Pavelic. Secondo questi critici, egli tacque e in qualche modo acconsentì allo sterminio di migliaia di serbi ortodossi, ebrei, rom e zingari. Le cose non stavano così per il Papa polacco. Per lui Stepinac fu un martire: tentò in tutti i modi di fermare il massacro. Quando Pavelic fuggì egli venne imprigionato e, secondo le carte del processo di beatificazione custodite in Vaticano, fu avvelenato mentre si trovava in domicilio coatto presso la sua parrocchia di origine, a Krasic.
Dopodomani Papa Benedetto XVI non sarà da meno del suo predecessore. Il secondo e ultimo giorno della sua breve permanenza in Croazia (l’occasione è la giornata nazionale delle famiglie cattoliche croate) pregherà sulla tomba di Stepinac e non darà ascolto alle polemiche ancora oggi vive: la persona di Stepinac come quella di Pio XII, il Papa che lo creò cardinale al termine della Seconda guerra mondiale, vive ancora per molti nella leggenda che lo dipinge come “fascista”, “antisemita”, collaborazionista del regime.
“Carne umana”. Tra il 1941 e il 1945 questo cartello era appeso in tutte le macellerie di Zagabria e delle città croate. Carne di ebrei, serbi ortodossi e comunisti uccisi dagli ustascia di Pavelic, colui che divenne “duce della Croazia” grazie all’appoggio di Hitler e di Mussolini nell’aprile del 1941. La chiesa cattolica cosa fece? Come si mossero i krizari dell’Azione cattolica, i francescani e i vescovi del paese? Cosa opposero ai massacri l’arcivescovo di Sarajevo Ivan Saric, il capo dell’Azione cattolica Ivo Guberina, il gesuita a capo della polizia di Doboj Dragutin Kamber, la guida dei francescani Radoslav Glavas? Cosa fece chi teneva le fila di tutto, ovvero colui che da Zagabria a Roma aveva in mano i rapporti tra la chiesa cattolica e il Vaticano, appunto il futuro principe della chiesa Alojzije Stepinac?
Stepinac da subito si mosse per scongiurare i massacri. Il 14 maggio 1941, dopo che morirono 260 serbi a Glina, scrisse a Pavelic queste parole: “So bene che i serbi hanno commesso gravi misfatti. Ma è mio dovere di vescovo alzare la mia voce e dichiarare che questo non è lecito. Vi prego, dunque, di prendere le misure più urgenti in tutto il territorio dello stato indipendente affinché non sia ucciso nemmeno un serbo”. A questa lettera ne seguirono altre. Non ebbero risultati concreti e così Stepinac fece quanto Pio XII fece a Roma: nascose gli “sgraditi” al regime e salvò centinaia di vite, moltissimi gli ebrei.
Scrive lo studioso americano Stevan K. Pavlowitch in “Unconventional perceptions of Yugoslavia 1940-1945” che un emissario del governo jugoslavo in esilio, il tenente Rapotec, che nella prima metà del 1942 compì una missione segreta in Croazia, chiese a Stepinac perché non avesse da subito rotto con il regime ustascia. Questi rispose: “Se lo avessi fatto non avrei più potuto salvare alcun serbo, ebreo e oppositore che si trovava nei campi di concentramento”. Scrisse nel 1998 l’allora cardinale Ratzinger: “Il cardinale Stepinac non ha fatto politica. Ha rispettato lo stato quando e in quanto fu realmente stato. Seguì la linea formulata da sant’Ambrogio, il quale dice: ‘Ho sempre prestato la deferenza voluta e corretta agli imperatori, ma le cose di Dio non sono cose mie, non sono cose dell’imperatore, sono cose di Dio e devo rispettare e difendere quanto è di Dio’”.
Pubblicato sul Foglio venerdì 3 giugno 2011
© Copyright Il Foglio, 3 giugno 2011 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.
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