mercoledì 1 giugno 2011

A colloquio con l'arcivescovo João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Ascolto e dialogo (Gori)

A colloquio con l'arcivescovo João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica

Ascolto e dialogo

di Nicola Gori

Priorità all'ascolto e al dialogo nei rapporti interpersonali e istituzionali. Fiducia reciproca e massimo rispetto per la vita consacrata, componente essenziale della Chiesa. A dettare le nuove linee di azione della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica per il prossimo futuro è l'arcivescovo João Braz de Aviz -- nominato prefetto del dicastero il 4 gennaio di quest'anno -- che in occasione dell'assemblea dell'Unione superiori generali (Usg) svoltasi dal 25 al 27 maggio a Roma, ha risposto ad alcune nostre domande.

È importante tenere in considerazione anche oggi la vita consacrata?

Non saprei immaginarmi la storia della Chiesa senza la vita consacrata. Essa le appartiene. È presente a cominciare dai primi secoli, con la nascita degli eremiti e dei monasteri, fino al sorgere degli ordini e delle congregazioni. Ogni epoca è costellata da santi rimasti segnati da una pagina del Vangelo che hanno poi voluto mettere in pratica. Questo è meraviglioso, perché dai primordi della Chiesa fino a oggi i fondatori hanno offerto un punto di riferimento per quanti vogliono seguirli: la parola del Vangelo vissuta. Dobbiamo anche riconoscere gli impulsi della grazia di Dio che permettono ai fondatori e ai loro discepoli di portare avanti un aspetto del messaggio evangelico. Seguire la povertà, l'obbedienza, la castità non è frutto semplicemente di un comandamento, ma di una chiamata la cui risposta è data in libertà. Questo è il senso profondo che la vita consacrata ci offre: la certezza di un Vangelo vissuto.

Si potrebbe fare a meno nella Chiesa della vita consacrata?

Credo proprio di no. Dio continua a suscitare anche oggi, come ha fatto nel passato, questa forma di vita nella Chiesa. Essa è espressione di una chiamata diversificata. Attualmente ci sono circa 2000 tra ordini e congregazioni religiose, la maggior parte femminili. Un numero in crescita. Siamo in un'epoca nella quale si avverte il bisogno di approfondire questa forma di vita, che per la Chiesa è un dono immenso. Non riesco assolutamente a vedere come la comunità ecclesiale non possa avere più bisogno di questi carismi, anche recenti. Tutti sono importanti, perché sono espressione della vitalità della Chiesa, ma devono essere autentici. Dobbiamo avere il coraggio da una parte di guardare ai fondatori come modelli di fedeltà alla regola, dall'altra di fare attenzione alla cultura attuale, perché Dio parla alle persone con i segni dei tempi. C'è sempre qualcosa che va adattato al momento presente all'interno delle congregazioni e i capitoli, che con l'aiuto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, vengono celebrati cercano di portare avanti questo adattamento. Occorre, però, che sia ben fatto tenendo conto della testimonianza evangelica.

La recente assemblea dell'Unione superiori generali è riuscita a comunicare al resto della Chiesa chi sono oggi i religiosi e le religiose?

Da poco tempo sono prefetto e quindi debbo ancora entrare nel pieno della mia missione. Ringrazio Dio che da 50 anni, dopo la celebrazione del concilio Vaticano II, è cominciato un movimento di unità tra i superiori, le superiore e le congregazioni. Credo che l'impegno delle Unioni dei superiori e delle superiore generali (Uisg) nel portare avanti questo processo sia uno dei fattori più importanti per la vita religiosa. Nella nostra epoca globalizzata, dove i mezzi di comunicazione e i mezzi di trasporto sono così rapidi, in una società in cui si esaspera l'individualismo e si va in direzione contraria, questa tendenza all'unità è un movimento dello spirito.

Che cosa maggiormente l'ha colpita della recente assemblea, la prima a cui lei ha preso parte?

Mi ha colpito che l'Usg si raduna due volte all'anno. Ho visto che i partecipanti sono tanti: questa volta erano 125 superiori generali, quindi sono 125 famiglie religiose riunite. Questa è una bella cosa. D'altra parte se si trovano insieme spesso, possono vedere le cose da un punto di vista comune, cercando di approfondire quello che è l'essenziale della vita religiosa. In questi giorni sto leggendo le relazioni che hanno fatto all'assemblea per conoscere in che direzione vanno. Da quello che ho letto, mi sembra ci sia un desiderio profondo di intesa, di aiuto, di vedere le cose insieme.

Cambia qualcosa nel rapporto tra Santa Sede, vita consacrata e l'Unione superiori generali?

Penso che gli organismi di governo e animazione debbano trovare sempre di più una fiducia reciproca. A volte, la nostra storia è punteggiata da tensioni e da difficoltà che gettano un po' di ombre nei rapporti. Questo è normale. Non c'è nessuna realtà di contatto tra persone e strutture che non incontri tale difficoltà. Se, però, alla base c'è la fiducia reciproca, tutto si supera. È questo quello che dobbiamo riscoprire anche noi nella Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica.

Quanto conta nei rapporti la fiducia?

È una cosa essenziale. Se l'altro è aperto al dialogo e se anche io lo sono, possiamo progredire in mezzo alle difficoltà, non il contrario. Ci sono state delle tensioni che dobbiamo ancora superare del tutto, però non è arduo farlo se pensiamo che l'unità e la comunione sono una meta che Gesù ha voluto e che noi dobbiamo raggiungere. L'isolamento, il camminare da soli non va bene. Notiamo che la Congregazione è rimasta un po' lontana dai religiosi negli ultimi tempi. Adesso, con l'arcivescovo Joseph William Tobin, segretario del dicastero, e gli altri collaboratori abbiamo deciso che uno degli obiettivi che cerchiamo di raggiungere è avvicinare con semplicità le persone. Sono andato a visitare l'Unione superiori generali, l'Unione internazionale superiore generali e anche altre associazioni di consacrati per creare un rapporto di fraternità e di amore. Solo dopo aver instaurato un dialogo entriamo nelle questioni e cerchiamo di chiarire se ci sono problemi. Questo mi sembra produca molto più frutti che avere semplicemente un atteggiamento prevenuto.

Qual è la cosa più importante che i religiosi oggi dovrebbero considerare?

In questo momento credo occorra fare della vita religiosa un'esperienza profonda di Dio. Non vedo altra alternativa, perché la nostra vita non è nata per fare tante opere, ma per stare con Gesù. È la prima cosa essenziale. Occorre poi avere la certezza che chi ci ha scelto è stato Lui e non noi. Ognuno è stato chiamato per vie diverse, ma tutti i carismi piccoli o grandi sono strade offerteci dalla volontà di Dio. Riprendiamo questa strada come un dono. Non siamo fatti per mantenere le strutture, per proteggere i nostri soldi, o per diventare più grandi degli altri. Siamo chiamati a seguire Gesù in un cammino che la Chiesa ha riconosciuto. Abbiamo bisogno di andare avanti con libertà interiore. Questo mi sembra importante. L'altra cosa fondamentale è di non isolarsi. Se ciascuno guarda solo al proprio carisma, se non si unisce alla Chiesa e non si inserisce nella vita, avrà più difficoltà a vivere il proprio carisma. Penso poi che non solo i religiosi debbano cercare il cammino di evangelizzazione, ma anche noi vescovi e superiori nella Chiesa dobbiamo avere un'idea più positiva dei religiosi. Uno dei problemi, infatti, è il dialogo tra il carisma e il ministero e dobbiamo far sì che questo rapporto sia sempre più costruttivo. Il religioso è importante per la Chiesa, il vescovo è fondamentale per il religioso. Questo rapporto deve essere favorito. A volte, non si tratta tanto di risolvere questioni dottrinali o di diritto, ma di curare dei rapporti, di avvicinarsi e di dar valore all'altro, di vedere con calma le cose, di saper ascoltare. Dico questo dopo tre mesi che sono nella Congregazione, perché ho visto che la nostra missione qui è di ascoltare. Dove c'è una piaga, una rottura e noi ascoltiamo con amore cercando di capire qual è il pensiero, il risultato in termini di soluzione dei conflitti è maggiore.

(©L'Osservatore Romano 1 giugno 2011)

1 commento:

Anonimo ha detto...

"Cambia qualcosa nel rapporto tra Santa Sede, vita consacrata e l'Unione superiori generali?

Penso che gli organismi di governo e animazione debbano trovare sempre di più una fiducia reciproca. A volte, la nostra storia è punteggiata da tensioni e da difficoltà che gettano un po' di ombre nei rapporti."

Dove si trova la parola obbedienza al Successore di Pietro? Sembra di sentir parlare un politico italiano: questa è la Chiesa, nessuno vi ha costretto a entrare in seminario o in convento, avete fatto un voto di obbedienza al vescovo e al Successore di Pietro, non è un insieme di istituzioni di pari grado.
"Il religioso è importante per la Chiesa, il vescovo è fondamentale per il religioso"
E il Papa?
Fa piacere che sia stato scelto per questa congregazione un altro parolaio del dialogo: visto la situazione attuale ci vorrebbe molta preghiera.

Povera Sudamerica, se questo è il meglio che sa offrire e poveri noi, se il prossimo Papa dovesse essere sudamericano di tale fatta.

Jacu