Due anni fa la promulgazione dell'enciclica
Economia e finanza alla prova della «Caritas in veritate»
di Mario Toso
La Caritas in veritate ha messo in moto molte energie e a due anni dalla sua pubblicazione (29 giugno 2009) si può tracciare un primo bilancio sulle iniziative che ha suscitato nelle diverse aree del mondo.
Nell'attuazione dell'enciclica non si possono immaginare o stilare elenchi di «buone pratiche» da universalizzare indistintamente, dal momento che alcune realtà come ad esempio il terzo settore, il profit e non profit, le reti di sicurezza sociale, non esistono in vari Paesi o sono appena incipienti. Ciò ha indotto e obbligherà ancora a presentazioni e letture diversificate nei vari contesti continentali delle proposte contenute nell'enciclica. Per venire incontro alle difficoltà di comprensione relative al linguaggio e allo stile, la Federation of Asian Bishops Conference - Office of Human Development si è riproposta di redigere una versione semplificata del documento in modo da agevolare la lettura dei fedeli. Inoltre, sempre in relazione al continente asiatico, è stata avanzata l'idea di divulgarne i contenuti, opportunamente contestualizzati nella dimensione socio-economica locale, mediante esemplificazioni tratte dalle esperienze degli operatori e volontari delle Commissioni giustizia e pace. Suggerimenti e realizzazioni di sussidi divulgativi si sono moltiplicati un po' dappertutto, nella varie Chiese locali, ma non in misura sufficiente rispetto alla molteplicità dei movimenti, delle associazioni e delle organizzazioni, luoghi privilegiati della ricezione e sperimentazione. Lo stesso Pontificio Consiglio, per incoraggiare un tale processo divulgativo e attuativo, non ha esitato a predisporre, a mo' di esempio, alcuni video e siti, che sono stati presentati nel seminario internazionale, in occasione del 50° anniversario della Mater et magistra, che si è tenuto quest'anno a Roma dal 16 al 18 maggio.
Un esempio di «traduzione» delle istanze della Caritas in veritate in un contesto sociale locale, è senza dubbio rappresentato dal testo preparato dalla Conferenza dei vescovi di Francia appartenenti al Consiglio famiglia e società e recante il significativo titolo Crescere nella crisi. In esso l'enciclica è rivisitata con un metodo che si richiama al classico trinomio del vedere, giudicare, agire, per cui dopo aver illustrato i caratteri e gli insegnamenti della crisi finanziaria, nella seconda parte si approfondisce il concetto di sviluppo proposto da Benedetto XVI, mentre nella terza sezione si presentano i seguenti orientamenti operativi: sostenere le iniziative della società civile, sviluppare la responsabilità sociale delle imprese, incoraggiare i media a formare una coscienza critica, riabilitare la politica.
Proprio con riferimento alla grave crisi finanziaria iniziata nel 2008, ci si può domandare: a che punto siamo, a due anni dalla promulgazione della Caritas in veritate? Che cosa è stato messo in pratica sino a ora di quanto ha chiesto l'enciclica sociale?
A conti fatti, la riforma del sistema finanziario mondiale sta procedendo a piccoli passi, spesso incerti, evitando però di toccare il nocciolo del problema, senza entrare con decisione nei nodi più critici e importanti per l'umanizzazione della finanza.
In linea di massima sembra che sia cambiato l'impegno dei controlli sulle banche e sulla politica creditizia. Poco o nulla, invece, è mutato nella struttura del mercato. Le banche, infatti, mantengono ampie possibilità di manovra con i loro investimenti più rischiosi e i loro hedge fund. Il mercato dei «derivati», inoltre, è stato affrontato in maniera ambigua, perché una buona fetta di esso è rimasta in misura rilevante in mano a trattativa privata e, poi, la crescita di simili prodotti è tornata a salire freneticamente, all'insegna di una speculazione senza freni. Così, è cresciuto il ruolo del shadow banking system con inevitabile lievitazione degli elementi di rischio per la stabilità; non ci si è occupati con efficacia dei bonus e dei superbonus, i quali sono continuati a crescere; e, infine, non si è deciso molto per impedire in futuro il salvataggio di istituzioni quali, ad esempio, la Goldman Sachs.
In definitiva, nonostante alcuni provvedimenti, a due anni dalla promulgazione della Caritas in veritate si può concludere che non sembra sia stata fatta ancora una profonda e seria riforma della finanza e tanto meno del sistema monetario internazionale, cosa quest'ultima che terrà impegnato il prossimo g20 di novembre 2011.
Che fare?
In generale bisognerebbe adeguare le istituzioni politiche, rimaste prevalentemente locali, a quelle economiche e finanziarie, che sono diventate globali. Occorrerebbe ripristinare il «primato» della politica sull'economia. È necessario che il mercato torni a essere soggetto a regole che esso non può darsi da solo, ma che deve ricevere dalla legislazione, dalle autorità di controllo.
Nell'enciclica si legge: «La finanza, nelle necessariamente rinnovate strutture e modalità di funzionamento dopo il suo cattivo utilizzo che ha danneggiato l'economia reale, ritorni ad essere uno strumento finalizzato alla miglior produzione di ricchezza e allo sviluppo» (n. 65). Ebbene, a proposito di una finanza a servizio dell'economia reale c'è da registrare che il rapporto tra il credito e le piccole e le medie imprese non è proprio ottimale. Tutt'altro. Anche in Inghilterra, solo qualche tempo fa, ci si è lamentati che le banche non erogano, come dovrebbero, credito alle imprese, specie a quelle in difficoltà non per colpa loro, ma di una congiuntura che le trascende.
L'accoglimento e l'attuazione della Caritas in veritate nel mondo del lavoro non è meno importante. Nonostante le ultime fotografie sulla situazione mondiale da parte del Fondo monetario internazionale rilevino un certo consolidamento della ripresa economica, resta elevato l'allarme disoccupazione, con 205 milioni di persone che non hanno un lavoro.
Perché, secondo l'enciclica, occorre tenere ferma la barra sull'obiettivo prioritario del lavoro e del suo mantenimento per tutti? Perché occorre avere una particolare attenzione per il lavoro dei giovani?
Innanzitutto per motivi di dignità, di giustizia e di futuro della stessa economia. Ma quali politiche? È sufficiente l'enfatizzazione delle politiche di risanamento, senza darsi contemporaneamente preoccupazione delle politiche attive del lavoro, del rilancio delle politiche industriali e della green economy?
La via più ragionevole può essere rappresentata da una serie di pratiche virtuose: rigore dei bilanci; cambio della mentalità che ritiene che la spesa pubblica è una variabile indipendente dal prodotto interno lordo (non si può continuare a indebitare in maniera sconsiderata le generazioni future, perché oggi si desidera vivere al di sopra delle proprie possibilità); nuove regole per la finanza, che impediscano di mettere in circolo una ricchezza illusoria; tagli degli enti inutili, degli sprechi; lotta all'evasione fiscale e all'uso indebito dei soldi pubblici; snellimento delle pratiche procedurali; ma anche politiche di finanziamento della ricerca, dell'innovazione, dell'istruzione, che rappresentano un reale investimento per il futuro e sono promessa di maggior produttività e competitività.
«Lo sviluppo è impossibile -- si legge nel documento -- senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivono fortemente nelle loro coscienze l'appello del bene comune» ( n. 27). La rettitudine è sostanziata da preparazione professionale e da coerenza morale. Orbene, rispetto alla preparazione di operatori economici e uomini politici retti, obiettivo su cui lo stesso Benedetto XVI si è più volte pronunciato, che cosa è stato messo in cantiere? Forse, qualcosa si sta muovendo. Ma non bisogna dimenticare che la preparazione di nuovi rappresentanti, più volte auspicata dal Pontefice, esige anche una seria analisi della situazione, in particolare della crisi multidimensionale della democrazia occidentale.
(©L'Osservatore Romano 27-28 giugno 2011)
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