PAPA: NEI RAPPORTI INTERNAZIONALI PREVALGA LEALTA' E NON ASTUZIA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 10 giu.
"Lealta’, coerenza e profonda umanita’ sono le virtu’ fondamentali" che devono guidare l’attivita’ diplomatica, in particolare quella esercitata a nome della Santa Sede.
Lo afferma il Papa nel discorso agli allievi della Pontificia Accademia Ecclesiastica, l’organismo della Curia Romana che forma i futuri nunzi apostolici, ai quali Benedetto XVI rivolge un monito: non dovranno mai riporre le loro speranze di successo a favore della pace e della serena convivenza tra i popoli "nell’astuzia o in quegli atteggiamenti che rappresentano piuttosto degenerazioni della pratica diplomatica".
Un avvertimento che valeva ieri e vale anche oggi, perche’ anche se "le rapide trasformazioni della nostra epoca hanno riconfigurato in maniera profonda la figura e il ruolo dei rappresentanti diplomatici; la loro missione rimane tuttavia essenzialmente la stessa: quella di essere il tramite di una corretta comunicazione tra coloro che esercitano la funzione del governo e, di conseguenza, strumento di costruzione della comunione possibile tra i popoli e del consolidarsi tra di essi di rapporti pacifici e solidali".
I rappresentanti del Vaticano, in particolare, sono chiamati "a porre non solo il proprio lavoro e le proprie qualita’, ma in qualche modo l’intera persona al servizio di una Parola che non e’ sua". Come ogni sacerdote, anche il nunzio apostolico, rileva infatti il Pontefice, e’ "un uomo che ha gia’ scelto di vivere al servizio di una Parola che non e’ la sua" in quanto "servitore della Parola di Dio, investito di una missione che non puo’ essere svolta a tempo parziale, ma che gli richiede di essere, con l’intera vita, una risonanza del messaggio che gli e’ affidato, quello del Vangelo".
Secondo Ratzinger, "e’ proprio sulla base di questa identita’ sacerdotale, ben chiara e vissuta in modo profondo, che si viene a inserire, con certa naturalezza, il compito specifico di farsi portatore della parola del Papa, dell’orizzonte universale del suo ministero e della sua carita’ pastorale, nei confronti delle Chiese particolari e di fronte alle istituzioni nelle quali viene legittimamente esercitata la sovranita’ nell’ambito statale o delle organizzazioni internazionali".
"Le solennita’ del cerimoniale, gli onori tradizionalmente resi alla persona dell’inviato, che assumevano anche tratti religiosi, sono in realta’ - ricorda in proposito il Pontefice - un tributo reso a colui che rappresenta e al messaggio di cui si fa interprete.
Il rispetto verso l’inviato costituisce una delle forme piu’ alte di riconoscimento, da parte di un’autorita’ sovrana, del diritto a esistere, su di un piano di pari dignita’, di soggetti altri da se’".
Da parte degli Stati che allacciano relazioni con la Santa Sede, dunque, "accogliere un inviato come interlocutore, riceverne la parola, significa porre le basi della possibilita’ di una coesistenza pacifica. Si tratta di un ruolo delicato, che richiede, da parte dell’inviato, la capacita’ di porgere tale parola in maniera al tempo stesso fedele, il piu’ possibile rispettosa della sensibilita’ e dell’opinione altrui, ed efficace".
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