venerdì 1 luglio 2011

Il sacerdozio di Ratzinger nuovo volto della Chiesa. Paradossalmente, ma non tanto, proprio i momenti di crisi hanno finito per rivelarsi, per la trasparenza e la chiarezza messe in campo, come i momenti forti del Pontificato (Scelzo)

Il sacerdozio di Ratzinger nuovo volto della Chiesa

Angelo Scelzo

Non scelse un giorno qualunque quel giovane sacerdote che, insieme al fratello - di due anni più grande - il 29 giugno di sessanta anni fa si vide imporre, nella chiesa di Frisinga, le mani sul capo dal cardinale Michael Faulhaber, l’arcivescovo di Monaco. Certo non poteva, neppure alla lontana, immaginare che la solennità dei Santi Pietro e Paolo lo avrebbe riguardato così da vicino.
San Pietro è all’origine del papato e alla fine della lunghissima serie (la cronotassi dei sommi pontefici romani) c’è ora il nome di Benedetto XVI, Joseph Alois Ratzinger, nato nel giorno di sabato santo del 1927, nel piccolo villaggio di Marktl am Inn, distretto di Altotting, in Baviera. Nella cattedrale di Frisinga, nella solenne Messa per l’ordinazione, aveva accanto il fratello Georg. Anche oggi, sessant’anni dopo, nella Basilica di San Pietro, almeno in parte sarà ancora così.
Mons. Georg è arrivato dalla Germania, per essere vicino al fratello di vita e di sacerdozio, diventato papa. Neppure lui aveva mai potuto immaginare una ricorrenza di questo genere; lui che, semmai, attendeva - come gli aveva promesso - il fratello cardinale che rientrava nella sua terra dopo gli anni trascorsi alla guida del Sant’Uffizio.
Il viaggio di ritorno era pronto, ma Giovanni Paolo II, con le forze che progressivamente venivano a mancare, aveva chiesto al suo amico teologo di restare. E al Papa si obbedisce. Com’è poi andata può solo far pensare allo sguardo lungo di Wojtyla. Ma questa solennità di San Pietro non sarà, per il papa, davvero uguale a nessun’altra, anche per un diverso, e non minore, motivo: la consegna del Pallio al nuovo arcivescovo di Milano, nominato appena ieri. Nessuna sorpresa quanto al nome, Angelo Scola, già largamente annunciato. Ma poche altre nomine, come quella del patriarca di Venezia sulla cattedra di Sant’Ambrogio, oltre a essere significative per sé, lo sono, o lo diventano, anche per tutto il pontificato. Si parla di Milano, la diocesi più grande al mondo, ma anche delle storie particolarmente rilevanti dei nomi in campo: un teologo che ha condiviso con l’ex prefetto del Sant’Uffizio posizioni che hanno segnato la chiesa del dopo-Concilio, e il pastore che va a sostituire, Dionigi Tettamanzi, espressione forte di quella carità sociale che la diocesi ha celebrato solennemente sull’altare delle beatificazioni proprio domenica scorsa. Sarebbe semplicistico parlare di un cambio di registro nella vita ecclesiale della diocesi, e magari spingere al limite le diversità per ipotizzare cambi di atteggiamento anche nei confronti della complessa realtà sociale che la città si trova a vivere; e che è segnata da una serie di importanti, se non decisivi, appuntamenti sia di natura ecclesiale che sociale: l’incontro mondiale delle famiglie, con la visita del Papa, già l’anno prossimo, i 1700 anni dell’Editto di Costantino e, infine, l’Expo del 2015. Scola, sacerdote milanese, benché ordinato fuori diocesi, è da sempre dentro in più modi alla realtà milanese; ha vissuto l’esperienza di Comunione e Liberazione e sa bene quanto il movimento sia radicato nella realtà che ora si appresta ad accoglierlo come pastore. Ma lo sapeva bene anche il Papa, al quale non può che stare a cuore, in primissimo luogo, il benessere spirituale di una così grande e importante diocesi. La ricorrenza dei 60 anni di sacerdozio del Papa, e seppure in misura diversa, la nomina dell’arcivescovo di Milano, rendono tutta speciale questa ricorrenza di San Pietro, tale da apparire come un punto di svolta. In questo settimo anno di pontificato, sembrano infatti emergere, in maniera sempre più chiara, i segni di un tempo nuovo per tutta la chiesa; nuovo e forse inaspettato tenendo conto che l’elezione dell’ex prefetto della Dottrina della fede, dopo il lunghissimo pontificato di Giovanni Paolo II, era andata ad affollare il catalogo, spesso risultato inattendibile, dei regni di transizione.
La realtà, tutta diversa, è che la Chiesa di Papa Ratzinger si è trovata - e si trova - ad affrontare scenari non solo inediti, ma forse mai neppure contemplati in passato.
Sull’onda della globalizzazione e delle nuove tecnologie che hanno messo le ali alla comunicazione, il mondo ha cambiato faccia, ha adeguato modelli e culture, sperimentato nuovi stili di vita, e visto dilatare la sua fame di presente; se accade poi che guardi al passato, è quasi sempre per regolare conti in sospeso.
Alla Chiesa non tocca più nessun tipo di sconto (e forse al suo interno non tutti appaiono rassegnati a questa nuova condizione).
Anche l’abbecedario della fede che era nelle biblioteche naturali di ogni casa, è stato in larga parte soppresso. Si può parlare di secolarizzazione e, come spesso Papa Benedetto fa, di relativismo, ma tutto converge verso l’accentuazione di una fase di post-cristianità alla quale la Chiesa è chiamata a dare risposte non occasionali.
Questi anni di pontificato di Benedetto XVI sono stati in se stessi una risposta, dal momento che hanno mostrato il volto di una comunità tesa all’essenziale, impegnata ad annunciare che Cristo non è fuori da nessun tempo e non è estraneo a nessuna cultura.
Paradossalmente, ma non tanto, proprio i momenti di crisi - basti pensare al dramma dei sacerdoti pedofili- hanno finito per rivelarsi, per la trasparenza e la chiarezza messe in campo, come i momenti forti del pontificato. La guida di Ratzinger è riuscita, in sostanza, ad offrire - anche ad una società sempre più indifferente - le motivazioni più credibili e convincenti di una Chiesa capace di essere «nel» mondo senza però essere «del» mondo.
Non era - non è - una via agevole, ma nel profilo di questo magistero si può scorgere senza fatica non solo una costante lievitazione di consensi personali, ma la percezione, più generale, di trovarsi di fronte al magistero giusto nel momento giusto.
Nessuna transizione, quindi, per tempi che forse non ammettono neppure più una qualche forma di passaggio indistinto. È tempo di testimonianze personali e dirette. E i 60 anni di sacerdozio del Papa, che aveva accanto il fratello, rappresentano, in questo senso, più che un segno.

© Copyright Il Mattino, 29 giugno 2011

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