mercoledì 20 luglio 2011

Intervista all'arcivescovo Bartolucci, segretario della Congregazione delle Cause dei Santi. Cautela e rigore nelle procedure per il riconoscimento della santità (Gori)

Intervista all'arcivescovo Bartolucci, segretario della Congregazione delle Cause dei Santi

Cautela e rigore nelle procedure per il riconoscimento della santità

di Nicola Gori

Il cammino che conduce alla santità è difficile. Ma non è da meno quello che porta al suo riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa. Per essere iscritti nell'albo dei santi, requisiti e procedure sono infinitamente più rigorosi e severi di quelli dei tradizionali ordini professionali. Se di corporazione si tratta, di certo è una delle più democratiche che esistano: ne fanno parte re, aristocratici, borghesi, proletari, contadini, senza distinzione di razza, cultura, luogo o epoca. Il «certificato» di santità lo rilascia solo la Chiesa attraverso la parola del Pontefice, il quale si affida alle conclusioni della Congregazione delle Cause dei Santi. È proprio in questo dicastero che la vita, le opere e gli scritti del candidato agli onori degli altari vengono sottoposti a un meticoloso esame. Il giudizio è attento e scrupoloso, perché non vi siano dubbi sulla santità degli esaminati. In questa intervista al nostro giornale l'arcivescovo Marcello Bartolucci, segretario della Congregazione -- dove lavora fin dal 1977 -- ci spiega in sintesi i meccanismi e le procedure dell'iter delle cause.

L'inizio del suo servizio presso la Congregazione delle Cause dei Santi risale a quasi trentacinque anni fa. Ha assistito a una certa evoluzione delle procedure per l'esame delle cause canoniche?

Le norme giuridiche che regolano le cause dei santi si sono continuamente evolute nel corso dei secoli. È, comunque, storicamente certo: fin dai primi secoli della Chiesa, i vescovi si sono dotati di rigorose procedure per il riconoscimento ufficiale della santità canonizzabile e per la concessione del culto liturgico. Una trasformazione particolarmente importante della procedura si verificò attorno all'anno Mille, quando si passò dalle canonizzazioni vescovili alle canonizzazioni papali. Un altro periodo importante per la nostra legislazione fu il XVII secolo, che vide la grande opera legislativa di Urbano VIII e l'affermarsi dell'istituto della beatificazione, prima sconosciuto. Memorabile è l'apporto del Codice di Diritto Canonico del 1917, che ha segnato la prima sistemazione organica della complessa e frammentaria legislazione delle Cause dei Santi. Quando sono entrato al servizio della Congregazione, nel 1977, le norme canoniche in vigore erano ancora quelle del Codice del 1917, rivedute e integrate, però, dai provvedimenti di Pio XI per le cause antiche, di Pio XII per l'esame dei presunti miracoli e di Paolo VI, che snellì vistosamente la fase diocesana e romana delle cause e riformò l'organizzazione interna della Congregazione. Nel 1983 si è avuta, poi, la riforma di Giovanni Paolo II, che è in pieno vigore. Anche Benedetto XVI ha voluto dare il suo contributo con tre provvedimenti: evidenziando maggiormente la differenza teologica e liturgica tra la beatificazione e la canonizzazione; elevando il numero dei periti della consulta medica; concedendo alla Congregazione la facoltà di nominare sette relatori ad casum in aggiunta a quelli di ruolo.

I santi possono aiutare l'uomo contemporaneo a non cadere nelle insidie del relativismo e del pensiero debole?

Sicuramente. Anche i santi sono segnati dalla cultura, dalla spiritualità, dalla storia del loro tempo e del loro ambiente. Questo è l'aspetto effimero e caduco, che non può essere replicato in stagioni e luoghi diversi da quelli originari. Ma in ogni santo c'è una dimensione sovratemporale e di perenne attualità, perché l'essenza della santità è comunione con Dio e perfetta imitazione di Cristo. Ciò che resta dei santi è la loro conformazione a Cristo e l'originalità con cui hanno saputo rielaborare e riproporre, nel proprio tempo, il pensiero, la parola, il comportamento, lo stile di Cristo. La Chiesa è grata ai teologi che con la loro scienza hanno dilatato l'intelligenza della Rivelazione. Ma nel tesoro della Chiesa un posto ancor più nobile è occupato proprio dai santi, i quali hanno tradotto l'«intelligenza» in «esperienza», la cogitatio in amor, la scientia fidei in scientia caritatis. I migliori conoscitori di Cristo e i più acuti esegeti del Vangelo sono proprio i santi. Se Cristo è la suprema verità di Dio e dell'uomo, i santi, in quanto riflesso di Cristo, partecipano del suo splendore e del suo potere irradiante. I santi, in sostanza, sono compagni affidabili per chiunque è alla ricerca della verità «certa» e di un pensiero «forte», capace di superare il relativismo, di sopravvivere alle mode e di riempire lo spirito dell'uomo.

Che senso ha parlare di teologia dei santi?

Dio è la santità. La sua essenza è la santità. Gesù è «il Santo di Dio». La Chiesa è santa, perché il suo capo è santo, perché è abitata dallo Spirito Santo, perché ha i mezzi della santificazione, perché i suoi figli sono santi, ovviamente a diversi livelli di perfezione. Il discorso sulla santità appartiene alla teologia. Questo discorso può essere discendente, da Dio a noi; oppure può essere ascendente, dai santi al cuore della Trinità. In entrambi i casi, i santi sono soggetto e oggetto della teologia. Come soggetti insegnano con il loro vissuto e talvolta anche con i loro scritti. Ma possono diventare anche oggetto di ricerca da parte degli studiosi delle cose di Dio. Quando la Chiesa e i teologi studiano e contemplano i santi e ne propongono la venerazione e l'imitazione, non fanno altro che indicare percorsi sicuri per arrivare alla verità di Dio e penetrare nel mistero della Chiesa, che è santa e santificatrice. Non è esagerato affermare che i santi sono un vero «luogo teologico», così come pensavano, tra gli altri, san Giovanni d'Ávila e Melchior Cano nel XVI secolo. Questo è anche il pensiero di Benedetto XVI, che più volte ha additato i santi come coloro che sono penetrati esistenzialmente nel mistero di Dio, a differenza di alcuni grandi teologi accademici ai quali l'essenziale può anche rimanere nascosto. Il dottorato conferito da Giovanni Paolo II alla piccola Teresa di Lisieux è la conferma che i santi, indipendentemente dalla loro cultura, sono maestri nelle cose di Dio. Dicendo questo, penso in prima istanza, ai santi canonizzati, ma non escludo i santi che stanno ancora tra noi, i quali con la loro esistenza impregnata di Dio, sono realmente luce del mondo. Molte conversioni al Vangelo sono avvenute e avvengono grazie alla testimonianza, spesso silenziosa, di cristiani ferventi nella fede, nella carità, nella contemplazione, nel servizio. È importante, pertanto, avere un rapporto vivo, familiare, immediato, con i santi di ieri e di oggi. Ci insegnano la teologia vera e ci indicano come diventare noi stessi teologi.

Spesso alcune congregazioni religiose o diocesi non hanno i mezzi economici sufficienti per portare avanti una causa di canonizzazione. Esiste uno strumento che viene incontro a queste necessità?

Le cause dei santi possono essere promosse e sostenute economicamente da diversi enti: per esempio dalle congregazioni religiose, oppure dalle diocesi, dalle parrocchie, dalle associazioni, o dai singoli fedeli. Ovviamente non tutti hanno le stesse risorse economiche. E allora? La scarsità di risorse è un falso problema e non dovrebbe influire sul loro cammino. Infatti, le cause di quei servi di Dio che sono accompagnati da una solida e vasta fama di santità e di miracoli avranno sempre i mezzi necessari per arrivare al traguardo. I fedeli sono lieti di collaborare a un'impresa così nobile. Al contrario, le cause «povere», spesso non hanno i mezzi perché è scarsa la conoscenza e tiepida la devozione per i rispettivi servi di Dio. C'è anche il caso, raro, di comunità fortemente interessate alla promozione dei loro servi di Dio, ma che oggettivamente sono scarse di risorse. La Congregazione delle Cause dei Santi è sensibile a queste situazioni e interviene concretamente.

Quali sono le garanzie che le procedure canoniche offrono per accertare la sicurezza della santità dei candidati?

La santità che noi ricerchiamo attraverso le cause di beatificazione e canonizzazione è quella che scaturisce dalla grazia e che si concretizza nella perfezione della carità e delle altre virtù cristiane. Le garanzie canoniche ci sono e vengono date anzitutto dalla scrupolosità delle indagini istruttorie; in seguito, dai ripetuti e approfonditi giudizi collegiali; infine, dalla decisione del Papa che fa parte del suo magistero ordinario. Questo è il pensiero anche di san Tommaso d'Aquino e di Benedetto XIV, il Magister delle cause dei santi, il quale usa un'espressione di particolare intensità quando afferma che il Papa nelle canonizzazioni «assume per sé una potestà divina». Del resto la stessa procedura storico-giuridica ci dà la certezza circa la serietà delle indagini e l'affidabilità dei giudizi. C'è anzitutto il discernimento fatto dal popolo di Dio, dal postulatore e dal vescovo diocesano. Vengono poi gli studi meticolosi del relatore della causa, che scandaglia le virtù o il martirio. Seguono i giudizi di merito dei teologi e, in un secondo momento, dei cardinali e vescovi. I presunti miracoli hanno un esame in più, dovendo superare il vaglio di molti periti, medici o tecnici, i quali hanno il compito di assicurarci se il fatto in discussione sia scientificamente inspiegabile.

L'istruzione Sanctorum Mater del 2007 è riuscita a favorire maggiore cautela e accuratezza nel portare avanti le cause dei santi a livello diocesano?

L'esperienza mi assicura che da sempre la Congregazione procede con la necessaria «cautela e accuratezza». Altrettanto esige dai tribunali diocesani. Quando permangono incertezze e lacune, il dicastero chiede ulteriori indagini. L'esame della validità giuridica delle inchieste e il lavoro dei relatori sono molto attenti alla qualità delle prove, affinché nulla sia omesso di quanto è a favore o contro la causa. È certo, infatti, che la completa, esauriente raccolta delle prove testimoniali e documentali è la migliore garanzia per il buon esito delle cause. La Sanctorum Mater, pur non essendo un testo legislativo, ha certamente reso più agevole l'applicazione della costituzione apostolica Divinus perfectionis Magister e delle Normae saervandae del 1983.

La beatificazione di Giovanni Paolo II ha rilanciato la figura e il messaggio del Pontefice polacco. Qual è l'aspetto più attuale della sua santità?

Il beato Giovanni Paolo II è stato al centro dell'attenzione della Chiesa e del mondo sia da vivo che da morto. Il suo lungo pontificato, eccezionalmente ricco di eventi, di magistero, di gesti profetici, è scolpito nei ricordi dei cattolici e dei non cattolici. L'eredità spirituale di questo Papa è grande e credo che occorrano ancora molti e molti anni per coglierla e valorizzarla nella sua interezza. Penso che il tempo gioverà alla memoria di Giovanni Paolo II. Tutti lo abbiamo conosciuto e ognuno si è fatta un'idea personale su di lui. Per quanto mi riguarda, ciò che mi sorprende di più è la sua umanità totalmente permeata dalla fede. Dio era veramente al vertice dei suoi pensieri e dei suoi programmi. La tensione continua verso Dio, però, non lo sottrasse alla storia, ai suoi contemporanei e a se stesso. Fu pienamente uomo della terra e pienamente uomo di Dio e della Chiesa. Penso che qui stia la forza e l'attualità di questo Pontefice, che seppe fare in se stesso una sintesi stupenda, un'armonia di grande equilibrio e virtù tra il corpo e lo spirito, tra la terra e il cielo, tra il servizio e la contemplazione. E l'altro aspetto non meno significativo è la sua completa dedizione alla missione di pastore universale della Chiesa. Come uomo e come Papa visse il Totus tuus fino all'eroismo. In un'epoca di instabilità e insicurezza, Giovanni Paolo II ha molto da insegnare.

La grande devozione popolare nei confronti di Karol Wojtyła non ha -- sia pure indirettamente -- creato aspettative che hanno accelerato i tempi della causa a scapito dell'accuratezza delle procedure?

Giovanni Paolo II è stato circondato, in vita e dopo morte, da una devozione e da una fama di santità senza precedenti, almeno in tempi recenti. Egli ha camminato verso il mondo e il mondo ha camminato verso di lui. Questo fenomeno ecclesiale ha giovato alla causa, perché ne ha accelerato l'inizio e il cammino, senza danno, però delle procedure e dei consueti esami di merito. Come tutte le cause, anche quella di Papa Wojtyła ha dovuto sostenere e superare tutti gli esami prescritti dalla vigente normativa. L'acclamazione popolare «santo subito» non ha ottenuto nessuno sconto sulla serietà delle indagini e dei giudizi di merito. La Congregazione non si è mai lasciata impressionare né dalle voci favorevoli, né da quelle contrarie, e neppure dalle presunte scadenze giornalistiche indicate per la beatificazione. Con la consueta riservatezza e prudenza si è fatto tutto quanto era possibile, nel rispetto totale delle competenze scientifiche e teologiche di ciascuno. E si è arrivati al riconoscimento del miracolo con tranquillità di coscienza e con la certezza che quanto veniva deciso era conforme alla verità oggettiva.

(©L'Osservatore Romano 20 luglio 2011)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Cautela e rigore. Eggià!
:-)))))))))))
Alessia

Anonimo ha detto...

Passiamo oltre, Raffa
Tutto sommato i "nostri" non hanno tutti i torti, però che pazienza ...
Somalia, gli imbarazzi
e i silenzi «laici»
http://www.avvenire.it/Mondo/Somalia+gli+imbarazzi+e+i+silenzi+laici_201107200640584700000.htm
Alessia

Anonimo ha detto...

eh sì sai che rigore

Anonimo ha detto...

Cutela,rigore e direi... onesta!
Perché mons. Bartolucci ha sentito il bisogno di chiarire?
Secondo l'antico adagio giuridico romano:
Excusatio non petita manifesta accusatio!
C'è del marcio in... Danimarca?