Monsignor Mupendawatu parla dell’impegno della fondazione Il Buon Samaritano
Farmaci gratuiti e assistenza adeguata per i malati di Aids
Mario Ponzi
Alla fine del 2010 erano oltre trentaquattro milioni le persone affette nel mondo dal virus dell’Aids. Di queste soltanto il 5 per cento ricevono assistenza adeguata. Il progetto allo studio dell’Organizzazione mondiale della sanità è quello di ridurre entro il 2015 drasticamente il numero dei bambini contagiati.Proprio in questi giorni l’International Aids society (Ias) ha convocato a Roma i massimi esperti in tema di patogenesi, trattamento e prevenzione dell’Hiv-Aids per cercare di mettere a punto nuove strategie. Il problema rimane però quello dell’allargamento dell’assistenza al maggior numero dei Paesi colpiti dall’infezione. In prima linea in questa lotta senza frontiere c’è la fondazione Il Buon Samaritano, emanazione diretta del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Ne abbiamo parlato con monsignor Jean-Marie Mupendawatu, proprio ieri nominato segretario del dicastero vaticano dopo esserne stato officiale dal 1991 e sotto-segretario dal 2009.
Quando e perché è nata la fondazione?
È stato il beato Giovanni Paolo II a istituire la fondazione il 12 settembre 2004. Poi l’ha affidata al Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Le sue finalità si riassumono nel sostegno economico agli infermi più bisognosi, in particolare agli affetti da Hiv-Aids, che chiedono un gesto di amore solidale alla Chiesa. Nell’istituirla il Papa invitò «tutti gli uomini di buona volontà, in modo speciale quelli dei Paesi economicamente più avanzati, a volere contribuire», riproponendo quello che aveva già scritto nella lettera apostolica Novo Millennio ineunte: «È l’ora di una nuova “fantasia della carità” che si dispieghi non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito non come obolo umiliante, ma come fraterna condivisione». L’impegno della fondazione e di chi opera nel suo ambito si basa sulla consapevolezza che la cooperazione missionaria parte da Gesù, il Buon Samaritano per eccellenza; e come destinatario ha il malato, che ha il volto di Gesù stesso. L’organismo è nato dunque per fare del bene, come Cristo ha fatto, e per servire il Signore nell’«altro» sofferente.
Cosa fa in concreto?
Oggi la fondazione è impegnata nel fronteggiare l’emergenza dovuta alla diffusa e grave carenza di medicinali nei Paesi economicamente svantaggiati. Ciò è stato reso possibile da una partnership con il Catholic medical mission board (Cmmb), un’organizzazione non governativa statunitense con matrice religiosa impegnata da cento anni in favore delle popolazioni più povere. Nella pratica, si inviano gratuitamente prodotti farmaceutici a presidi sanitari, cioè a ospedali, centri di cura e dispensari della Chiesa cattolica attivi nel mondo, con particolare riguardo a quelli che si occupano della prevenzione e della cura dell’Hiv-Aids.
Chi finanzia la fondazione?
Si tratta soprattutto di donazioni. La cosa importante è che tutte le somme raccolte giungono integralmente a destinazione. Non dobbiamo affrontare spese logistiche e gestionali grazie dalla responsabilizzazione dei referenti e delle realtà ecclesiali presenti nei diversi territori: nunziature, conferenze episcopali, singole diocesi, e così via.
Chi decide in concreto come impegnare i fondi?
Le linee operative sono dettate da un consiglio di amministrazione, composto da sette membri presieduto dal presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Ci sono poi due delegati del dicastero e quattro vescovi provenienti da alcuni fra i Paesi maggiormente colpiti dall’Hiv-Aids, nominati d’intesa con la Segreteria di Stato.
In che cosa si differenzia da altri organismi similari?
La sua peculiarità deriva innanzitutto dal fatto di essere un’espressione concreta della sollecitudine della Chiesa per i malati. Nei suoi quasi sette anni di attività, ha già prestato assistenza a centinaia di migliaia di bisognosi in tutti i continenti, attraverso l’erogazione di sostegni economici. Non parliamo di cifre imponenti ma di un sostegno ben mirato e destinato soprattutto a progetti già attivi, principalmente nel settore dell’assistenza sanitaria.
Nel maggio scorso la fondazione ha organizzato il convegno di studio dedicato a «La centralità della persona nella prevenzione e nel trattamento delle malattie causate da Hiv-Aids». Anche questo tipo di attività rientra nella sua ottica?
Sì ed è un aspetto importante. La fondazione, insieme al contributo fattivo nell’area assistenziale e progettuale, vuole favorire la conoscenza e il dibattito intorno alle problematiche sanitarie di più stringente attualità, alle emergenze sanitarie, alle esigenze di particolari categorie di malati, a questioni etiche sulle quali la Chiesa sente l’urgenza di offrire un orientamento. Tutto ciò richiamando sempre alla centralità della persona e alla necessità irrinunciabile di difendere la vita, in ogni sua fase. Obiettivi che essa persegue sollecitando l’incontro fra operatori sanitari, istituzioni, enti di studio e ricerca, e associazioni, in occasione di conferenze, seminari e convegni.
Quali erano gli obiettivi del convegno?
In primo luogo ha costituito un’articolazione attuativa della conferenza internazionale che il dicastero, ispirandosi alla più recente enciclica di Benedetto XVI, ha organizzato nel novembre dello scorso anno sul tema «Caritas in veritate. Per una cura della salute equa ed umana». D’altra parte, è stata occasione per fare il punto sulla drammatica situazione nella quale versano coloro che hanno contratto il virus dell’Hiv in molte aree del pianeta e per riproporla all’attenzione della comunità internazionale. Importante è stato soprattutto ribadire che una delle regioni in cui la situazione rimane altamente drammatica è certamente l’Africa subsahariana, dove vi sono zone nelle quali solamente il 5 per cento dei contagiati riceve assistenza e cure adeguate.
Nel suo intervento in quel convegno lei ha auspicato un «salto di qualità» nelle attività della fondazione. Può spiegarci meglio cosa intendeva dire?
Per meglio adempiere al mandato della fondazione Il Buon Samaritano credo sia necessario promuovere ulteriormente la sinergia già esistente fra la Chiesa, nelle sue diverse articolazioni, e il mondo della sanità e delle aziende produttrici di medicinali. A tal fine abbiamo messo a punto un «Modello di azione integrato» che, nel rispetto e nella valorizzazioni dei diversi ruoli e competenze, ha importanti obiettivi.
Quali sono?
In attesa di poter organizzare un auspicabile tavolo di lavoro congiunto al quale dovrebbero partecipare tutte le realtà di settore — ecclesiali e non — in grado di contribuirvi, credo che in primo luogo si debba riuscire ad assicurare, anche tramite l’impegno dei Governi locali, la distribuzione gratuita di farmaci antiretrovirali agli infettati. Consentendo così di raddoppiare — secondo quanto riferito anche dal Joint United Nations programme on Hiv/Aids (Unaids) — la speranza di vita delle persone affette da Hiv, che passerebbe da 11 a 22 anni. In questo senso ritengo fondamentale promuovere la formazione del personale medico e infermieristico anche dirigenziale. Sarebbe anche necessario trasferire presso le popolazioni locali più conoscenze e competenze possibili, attraverso percorsi di formazione tesi a creare figure professionali in grado di operare in contesti sanitari strutturalmente carenti come quelli della maggior parte dei Paesi economicamente svantaggiati. Di enorme valenza strategica potrebbe essere poi la diffusione capillare dei laboratori di analisi, diagnosi e trattamento. L’ideale, dunque, sarebbe realizzare una rete efficiente, nonostante le difficoltà, in molte aree, legate alla mancanza di infrastrutture essenziali, quali per esempio vie di trasporto e comunicazione effettivamente percorribili. D’altro canto, è basilare migliorare costantemente la prevenzione al contagio da Hiv-Aids, soprattutto per quanto riguarda la trasmissione del virus da madre a figlio e, più in generale, tra i componenti di uno stesso nucleo familiare. Si tratta, in sostanza, di estendere e promuovere il più possibile — in primo luogo attraverso le scuole cattoliche — un’educazione in grado di far comprendere i valori della vita, della famiglia e della sessualità responsabile. Non potrà infine mancare un sostegno socioeconomico, quale la diffusione di progetti di sviluppo rurale e di microcredito appositamente studiati e in grado di consentire alle famiglie e alle comunità di autosostentarsi e risolvere le problematiche e le aggravanti legate alla povertà e all’esclusione.
La sua nomina a segretario è il coronamento di un impegno iniziato nel 1991. Con quali motivazioni e quali obiettivi?
In effetti lavoro da oltre un ventennio al Pontificio Consiglio per la Salute, il dicastero pontificio che manifesta la sollecitudine della Chiesa per gli infermi, aiutando coloro che scelgono il servizio verso i malati e sofferenti. Guardando alla storia dei venticinque anni trascorsi dalla sua istituzione, devo dire che non solo presso le comunità cristiane locali, ma anche presso le collettività politiche nazionali e internazionali, la Chiesa si è affermata con il suo magistero autorevole sulla vita e la salute al servizio dell’uomo malato, in tutte le parti del mondo. Tanto che il suo operato assistenziale a favore degli infermi, realizzato attraverso i suoi 120.000 ospedali e centri di salute, viene riconosciuto da tutti come un contributo importante nel settore. E fa della Chiesa uno dei maggiori protagonisti e dispensatori delle cure sanitarie nel mondo. Cure che riguardano l’uomo nella sua interezza psicofisica, morale e spirituale.
Quali sono i progetti futuri del dicastero ai quali si dedicherà nel suo nuovo ruolo di segretario?
Per il futuro il Pontificio Consiglio potenzierà la sua attività con il concorso delle istituzioni e delle associazioni e organizzazioni cattoliche del settore, affinché gli operatori sanitari possano ricevere quella formazione morale, quella assistenza spirituale di cui hanno bisogno nel loro lavoro. Va in questa direzione la Carta degli operatori sanitari pubblicata dal dicastero, un sussidio per chi opera nel settore, che è in corso di revisione e aggiornamento. L’anno prossimo sarà ultimata. Ma non è tutto. Oggi i vescovi di tutto il mondo si trovano ad affrontare sul piano legislativo progetti di legge non sempre condivisibili sul piano morale e pastorale, che non sono in linea con il magistero della Chiesa riguardo alla vita, alla salute e alla famiglia. Tra i compiti del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari c’è dunque anche quello di seguire costantemente le novità in campo legislativo e scientifico che riguardano la salute, perché se ne tenga conto nell’opera pastorale della Chiesa. Nei prossimi mesi insieme ai membri, consultori e officiali del dicastero, saremo impegnati anche in questa direzione.
(©L'Osservatore Romano 16 luglio 2011)
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