Il percorso espositivo
di Sandro Barbagallo
Dopo articoli con indiscrezioni, anticipazioni e lettere aperte, è arrivato il gran giorno in cui sessanta artisti si sono stretti intorno a Benedetto XVI, non solo per festeggiare una fausta ricorrenza, ma anche per porgergli, come umile omaggio, un frammento del proprio quotidiano lavoro. Tale omaggio, ispirato al tema «Lo splendore della Verità, la bellezza della Carità», è stato da ogni artista concepito con i mezzi che gli sono propri, la pittura o la fotografia, l'architettura o la scultura, la poesia o la musica, l'oreficeria e persino il cinema.
Qualcuno ha equivocato sulle intenzioni di questa mostra, che mai ha voluto essere di arte sacra o religiosa, ma semplicemente una rassegna di artisti disposti ad accogliere nel proprio lavoro il senso di una spiritualità, troppo spesso ignorata dall'arte contemporanea.
L'atrio dell'Aula Paolo VI è stato trasfigurato da un allestimento, pensato da Roberto Pulitani e realizzato da Giacomo de Santis, che risolve con una soluzione geniale il dialogo tra le linee architettoniche di Nervi e i pannelli espositivi. La scelta di colori pastello, uno per ogni disciplina, diventa una sorta di suggerimento didattico subliminale che accompagna in modo carezzevole lo sguardo del visitatore. La costruzione a onda dei moduli permette inoltre al pubblico di scoprire le opere a una a una senza interferenze.
Abbiamo notato che molti autori, quasi fossero intimiditi dal tema e dalla destinazione, si sono autocensurati diventando irriconoscibili. Esemplari i casi di Guido Strazza e Piero Guccione. Una rivelazione è stata invece la bianca scultura Resurreción del messicano Gustavo Aceves. Una sorta di sudario che sembra di marmo, ma che invece è in corian traslucido, da cui affiora, appena accennato, il piede trafitto di Gesù. Altrettanto interessante è Then, the Flashes of Spirit del ghanese El Anatsui, che s'impone per la tecnica inusuale che utilizza materiali di recupero senza dimenticare le radici storiche della propria origine africana.
Molto poetica la foto -- di Mimmo Jodice -- di una solitaria sedia fissata di fronte al mare infinito, col titolo Perdersi a guardare.
Tra le opere dipinte appositamente per questa mostra c'è quella di Carlo Nangeroni che usa un riuscitissimo inserto architettonico nel tessuto astratto geometrico dei suoi tipici moduli, creando un effetto ascensione molto spirituale. Concorda perfettamente con i plastici degli architetti Oscar Niemeyer, Santiago Calatrava e Paolo Portoghesi, tutti caratterizzati da una medesima forte ascensionalità.
Tra le opere più figurative abbiamo notato il grande acquerello evocativo di Pedro Cano, la natura morta metafisica di Pierluigi Isola, e l'opera solenne e misteriosa di Natalia Tsarkova.
Legate all'informale di segno sono invece la severa e ascetica Saltflat dell'americana Max Cole, che contrasta con Il fuoco sacro di Simona Weller, dai toni accesi e violenti. Sorprendente in questa tendenza appare l'opera Dettaglio del Mondo di Tullio Pericoli, che conoscevamo più come illustratore, e la preziosa presenza di Achille Perilli con il quadro Le désir d'illumination.
Notevoli poi i contributi di Agostino Bonalumi, Sidival Fila, Arnaldo Pomodoro, Oliviero Rainaldi, Gianni Berengo Gardin, Omar Galliani e Mario Ceroli che, con il suo Angelo sterminatore, dimostra di sapersi sempre rinnovare a differenza di molti suoi compagni di strada, come Jannis Kounellis che, forse proprio per questo, definisce la propria installazione Senza titolo. Mentre Mimmo Paladino, con la sua Sorgente, continua a stupirci.
Straordinario, per la sua capacità di incidere nel cuore e nell'immaginario del pubblico, il cortometraggio girato appositamente da Pupi Avati per l'occasione.
Per tutti gli artisti una grande emozione nell'incontro con Benedetto XVI. Siamo certi che questo giorno resterà come una traccia indelebile nell'animo di ognuno.
(©L'Osservatore Romano 4-5 luglio 2011)
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