Omelia del vescovo di Graz-Seckau
Nei panni di Pietro
Gratitudine e preghiera per i sessant'anni di sacerdozio di Benedetto XVI
Pubblichiamo il testo dell'omelia che il vescovo di Graz-Seckau ha tenuto il 29 giugno scorso, solennità dei santi Pietro e Paolo, durante la messa celebrata in occasione dei sessant'anni di sacerdozio di Papa Benedetto XVI.
di Egon Kapellari
Oggi ricordiamo gli apostoli Pietro e Paolo, le cui strade, quasi sempre divise e a volte anche in contrasto l'una con l'altra, trovarono a Roma la loro destinazione finale. In un libro dal titolo E poi la morte, ho dedicato un capitolo alla vita e alla morte di ciascuna di queste due figure fondamentali del cristianesimo. Ve ne leggo alcuni passaggi, per poter poi vedere su questo sfondo anche il nostro Pietro di oggi, Papa Benedetto XVI, ordinato sacerdote sessant'anni fa.
Il capitolo dedicato a Pietro ha per titolo «Crocifisso a testa in giù», quello su Paolo «Una spada e tre sorgenti».
Cominciamo da Pietro: «La tradizione che Pietro sia morto a Roma è ritenuta certa. E altrettanto certo è che egli fu vittima delle prime persecuzioni di cristiani nella città. Il 18 luglio dell'anno 64, nella capitale dell'impero romano scoppiò un incendio devastante, che si protrasse per sei giorni. Non è chiaro se fu lo stesso Nerone ad appiccare l'incendio oppure se egli ne fu solamente incolpato e cercò per questo di reindirizzare i sospetti sui cristiani. Essi furono uccisi nei modi più atroci. Molti venivano crocifissi e dati alle fiamme assieme alle loro croci nell'oscurità: quelle fiaccole viventi si trasformavano così in un terribile spettacolo a uso e consumo del popolo. Le uccisioni avvenivano prima di tutto nel circo di Nerone, vicino all'attuale Vaticano. Dobbiamo presumere che anche Pietro fu crocifisso nello stesso luogo. Così si avverò la profezia fatta da Cristo al capo degli apostoli, riportata nel capitolo conclusivo del Vangelo secondo Giovanni. Di buon mattino, Cristo risorto parla a Pietro sul grande lago di Galilea, dove anni prima l'ha chiamato a lasciare le reti per diventare un apostolo. “In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. L'evangelista prosegue spiegando che Gesù con queste parole vuole indicare con quale morte Pietro glorificherà Dio: il discorso delle mani tese prefigura la crocifissione di Pietro. Prima di preannunciarne il martirio, Cristo chiede per tre volte all'apostolo se lo ami. In questo modo, gli ricorda il momento di debolezza vissuto durante la Passione del Signore, quando per tre volte Pietro ha negato ogni legame con Cristo, per sottrarsi alle sue stesse sofferenze. Ciò che accade ora assomiglia a una confessione: Pietro si pente, Cristo lo assolve da quel vecchio peccato e lo avvia al futuro ufficio pastorale, con le parole: “Pasci le mie pecorelle”. Così si avvera un'altra profezia fatta a Pietro anni prima, nei pressi della città di Cesarea di Filippo. Alla professione dell'apostolo “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, Gesù aveva risposto: “Io ti dico, tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli”. A guardare Pietro, per come ci è presentato nell'insieme del Nuovo Testamento, il suo nome appare eccessivo e inadeguato: Pietro è incostante, talvolta entusiasta, ma poi di nuovo timoroso. I Vangeli riportano le sue mancanze senza indulgenze, eppure egli viene nominato “capo degli apostoli” e questo incarico non sarà mai ritirato. Ma le vie del Signore possono anche essere tortuose: alla fine, il pescatore della Galilea divenuto pescatore di uomini, sarà il diretto successore di Cristo fino alla morte e si trasformerà davvero nella “pietra” sulla quale sorgerà l'edificio della Chiesa cristiana mondiale, parte essenziale delle sue fondamenta».
Questo il testo su Simon Pietro, pescatore di pesci e di uomini. Nel capitolo su Paolo si legge: «Ci siamo ampiamente abituati a tenere poco conto delle leggende. Eppure molte di esse celano preziosa verità. Una di queste leggende racconta della morte dell'apostolo Paolo, che fu giustiziato a Roma come testimone della fede cristiana, sotto il regno dell'imperatore Nerone. Paolo fu ucciso con la spada. Una morte per crocifissione, com'era toccata all'apostolo Pietro, non poteva essere inflitta a Paolo, perché era un cittadino romano. Nel suo fanatismo per la fede ebraica, il fariseo Saulo perseguitava la giovane comunità cristiana, fino a quando Cristo risorto gli apparve in una visione e gli chiese: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Così Saulo, nemico dei cristiani, diventò Paolo, apostolo di Gesù Cristo. Da quel momento, con eccezionale dinamismo, attraversò con i suoi viaggi Grecia e Asia Minore, predicò e fondò comunità cristiane, con cui restava in contatto attraverso le sue lettere. In questo periodo, fece anche un viaggio a Gerusalemme, dove incontrò gli apostoli che Gesù aveva chiamato anni prima in Galilea, in particolare Pietro e Giacomo. Nella convinzione che il Vangelo di Cristo non potesse restare a esclusivo vantaggio degli ebrei, predicò anche e soprattutto ai pagani. E per questo fu perseguitato dagli ebrei, che lo ritenevano un pericoloso eretico. La sua seconda visita a Gerusalemme scatenò un grande tumulto. Paolo sarebbe stato linciato, se non fossero intervenuti i soldati romani di guardia al tempio, che lo portarono alla residenza del governatore romano Felice a Cesarea, dove trascorse due anni in un regime di detenzione leggera. Il successore di Felice, Festo, dovette anch'egli misurarsi con le acerbe accuse mosse a Paolo dagli Ebrei di Gerusalemme. Paolo, appellatosi al giudizio dell'imperatore, si mise in viaggio per Roma sotto la custodia di un soldato. Gli Atti degli Apostoli nel Nuovo Testamento raccontano a lungo le peripezie di questo viaggio per mare. A Roma, conformemente al diritto romano, l'apostolo fu giudicato in un'udienza singola e giustiziato, forse nell'anno 56, ma in ogni caso prima delle persecuzioni di massa dei cristiani romani dell'anno 64. La leggenda citata all'inizio racconta che la testa dell'apostolo, staccata dal corpo a colpi di spada, rimbalzò tre volte sul terreno, facendo scaturire, a ogni rimbalzo, una sorgente. Per questo, il luogo collegato a questa leggenda si chiama “Le tre fontane”. Nella leggenda delle Tre fontane, si incrociano due simboli chiave per comprendere l'essenza e l'operato dell'apostolo Paolo. Sono la spada e la sorgente. La spada qui compare come strumento di passione e di morte. Ancor più degli altri apostoli, Paolo aveva subito molte sofferenze. Nella seconda lettera ai Corinzi, egli enumera, come in una litania, tutto ciò che ha dovuto affrontare nel suo cammino sulle orme di Cristo: la prigione, la fustigazione, la lapidazione. Naufragato, trascorre una notte e un giorno aggrappato a un'asse in mezzo al mare. È soggetto alle rapine da parte dei compagni di fede giudei come anche di pagani e di cristiani, che egli descrive come “falsi fratelli”. Fame, sete, freddo e nudità lo tormentano. Ma, in tutto ciò, egli è sempre pervaso dal dono divino di una grande gioia. Gli sono riservate delle esperienze mistiche. È così che arriva a dire, in un paradosso: “La potenza si dimostra perfetta nella debolezza”. Con un rovesciamento paradossale, le sofferenze di Paolo si trasformano in sorgente di gioia spirituale, di forza spirituale. La leggenda delle Tre Fontane lo racconta con commovente plasticità: la morte violenta dell'apostolo non pone fine alla straordinaria fecondità del suo operato per la Chiesa, che rassomiglia a una fonte che sgorga copiosa, ma piuttosto approfondisce e accresce questa fertilità ancora di più. Al posto di una sorgente soffocata con la violenza, ne sgorgano tre nuove».
Questo si legge nel capitolo su Paolo, il fariseo tessitore di tende divenuto apostolo. Su questo sfondo, si pone l'opera di Benedetto XVI che, secondo il computo ufficiale, è il 264° successore dell'apostolo Pietro. Egli ha ricevuto l'ordinazione sacerdotale sessant'anni fa e il suo servizio necessita delle nostre preghiere e della nostra solidarietà, che ora io chiedo vivamente a voi qui presenti e a tutti i cattolici, in particolare ai sacerdoti, della nostra diocesi.
Nei panni di Pietro è il titolo di un romanzo di Morris West -- e del relativo film di grande impatto -- su un Papa di fantasia, che presenta però innegabili analogie con Papa Giovanni Paolo II. «Nei panni di Pietro», ora, si trova Papa Benedetto XVI. Di temperamento diverso dal suo predecessore, egli non parla mai con voce tonante ma sempre con grande chiarezza e incarna così la figura biblica del sapiente. È, senza dubbio, anche uno dei teologi più importanti della contemporaneità. Si trova a un crocevia di molte strade e di molte attese nei confronti della Chiesa, spesso in contraddizione tra loro: crocevia come punto d'incrocio ma spesso, oggi, anche di crocifissione. Questo Papa persevera con grande pazienza. Spesso le persone che guardano alla Chiesa con una prospettiva bidimensionale non lo capiscono. Non accettano il grande paradosso che Dio opera sempre nella Chiesa e nella storia mondiale, anche per vie tortuose. Vogliono vedere solo linee rette e questo è umanamente comprensibile. Così, però, viene meno la terza dimensione, che può capire a pieno solo chi si lascia trascinare davvero sulle orme di Cristo, per ardere e incenerire ciò che è solo paglia, e non oro o argento.
Ogni anno, nella settimana e nella giornata del 29 giugno, si ordinano nuovi sacerdoti e si festeggiano gli anniversari di consacrazione. Al giorno d'oggi, ci sentiamo raramente in vena di festeggiare ma abbiamo senz'altro motivo di ringraziare: prima di tutto, per i sessant'anni di sacerdozio del Papa ma anche e soprattutto per gli anniversari di consacrazione dei sacerdoti della nostra diocesi, che potremmo chiamare, prendendo a prestito le parole della Bibbia, «gli umili della Terra». Ringraziamo il Papa e tutti i festeggiati e lo facciamo in particolare con questa celebrazione eucaristica che è di per sé un grande ringraziamento, come spiega l'etimologia del termine stesso. E chiedo a tutti voi, sacerdoti e laici cristiani qui radunati, una preghiera speciale per il Papa davanti al tabernacolo. E vi chiedo di attingere sempre più al prezioso tesoro degli scritti di questo Papa e di dischiudere questo tesoro ai credenti che vi sono stati affidati.
Il Papa non può fare tutto bene, come non può farlo la Chiesa. Ma la Chiesa vive. Non si muove al galoppo, ma a piccoli passi che la tengono sulle orme di Gesù Cristo, tra sofferenze immeritate ma anche colpe proprie. Vi invito di tutto cuore a unirvi, solidali, a questo cammino.
(©L'Osservatore Romano 18-19 luglio 2011)
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