Origine e storia di un'espressione
Per ben comprendere lo «spirito di Assisi»
di Domenico Sorrentino*
*Vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino
Si parla di «spirito di Assisi», e la memoria va alla storica giornata del 27 ottobre 1986, quando i rappresentanti delle varie confessioni cristiane e delle più antiche religioni mondiali, su invito del beato Giovanni Paolo II, convennero nella città serafica per la Giornata mondiale di preghiera per la pace. Fu l'«icona di Assisi». Quell'icona, con il suo tratto di novità e suggestione, è irripetibile. Ma il messaggio che ne scaturì, è perenne. Fu in questo senso che Giovanni Paolo II coniò la locuzione di «spirito di Assisi».
La usò per la prima volta ricevendo in Vaticano, due giorni dopo l'evento assisano, i rappresentanti delle religioni non cristiane che vi avevano partecipato. Quasi come una consegna, disse loro: «Continuiamo a vivere lo spirito di Assisi».
Era così avviato il cammino di questa espressione, che il Pontefice stesso avrebbe ripreso in svariate circostanze, soprattutto in occasione dei convegni annuali «Uomini e religioni» organizzati dalla Comunità di Sant'Egidio.
L'espressione è purtroppo diventata controversa, positivamente accolta da quanti vissero con entusiasmo l'evento del 1986, deplorata da alcuni che a quell'evento guardarono con perplessità e persino aperto dissenso.
L'espressione, in realtà, si prestava a diverse interpretazioni, e i contrasti, più che sulla locuzione in sé, riguardano l'interpretazione dell'evento che essa evoca.
Per metterne a fuoco il senso accettabile, è bene partire dall'uso che ne fece Giovanni Paolo II.
Fondamentale, a tal fine, è l'allocuzione alla Curia romana del 22 dicembre 1986, interamente dedicata all'evento di Assisi. Illustrandone i fondamenti teologici alla luce dell'universale cristocentrismo della creazione e della redenzione, il beato mostrava l'evento assisano come una «illustrazione visibile, una lezione dei fatti, una catechesi a tutti intelligibile», di quanto il concilio Vaticano II aveva insegnato, presentando la Chiesa come «segno e strumento dell'unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1) e in particolare dell'insegnamento conciliare in tema di ecumenismo e di rapporto tra il cristianesimo e le religioni. Precisava che ad Assisi tutto era stato pensato «senza nessuna ombra di confusione e sincretismo». Sottolineava, come fatto specifico, il valore della preghiera per la pace.
A due anni dall'evento, accogliendo i rappresentanti delle religioni mondiali partecipanti al ii incontro «Uomini e religioni», Giovanni Paolo II diceva: «Dobbiamo continuare a vivere quello spirito di preghiera e di aspirazione verso la pace che abbiamo realizzato ad Assisi». In tono quasi programmatico tornerà su questo tema in occasione dell'VIII incontro «Uomini e religioni» che si tenne proprio ad Assisi nel 1994.
In riferimento alla storica giornata di otto anni prima, scriveva: «Quell'incontro aveva una forza spirituale dirompente: era come una sorgente a cui tornare per rinsaldare l'ispirazione; una fonte capace di sprigionare nuove energie di pace. Per questo auspicavo che lo “spirito di Assisi” non solo non si estinguesse ma al contrario potesse espandersi nel mondo, suscitando in ogni luogo nuovi testimoni di pace e di dialogo». Poco oltre chiariva: «Questo mondo ha bisogno che gli uomini e le donne sensibili ai valori religiosi aiutino gli altri a ritrovare il gusto e la volontà di camminare insieme. Questo è lo “spirito di Assisi”».
Qui «spirito di Assisi» s'incentra sull' impegno dei credenti delle varie religioni a promuovere una cultura di pace.
Nel 1998, in occasione dell'incontro «Uomini e religioni» di Bucarest, rinviava ancora alla spiegazione teologica data nella menzionata allocuzione alla Curia romana, e scriveva: «Questa prospettiva, che è in sostanza quello che io ho chiamato “lo spirito di Assisi”, doveva essere ripresa e comunicata per potere suscitare ovunque delle nuove energie di pace».
Nel quindicesimo anniversario dell'evento, per l'incontro «Uomini e religioni» celebrato a Barcellona, il beato Giovanni Paolo II esprimeva liricamente il suo sogno dell'unità della famiglia umana per l'inizio del XXI secolo: «Ho fatto questo sogno, quando, nell'ottobre 1986, ho invitato ad Assisi i miei fratelli cristiani e i responsabili delle grandi religioni mondiali per pregare per la pace: uno insieme all'altro, non più uno contro l'altro. (…) Avevo davanti ai miei occhi come una grande visione: tutti i popoli del mondo in cammino da diversi punti della terra per riunirsi davanti all'unico Dio come un'unica famiglia». E lodando poi l'iniziativa degli incontri inter-religiosi, concludeva: «Queste giornate giungono al termine in un clima di fraternità che ho voluto chiamare lo “spirito di Assisi”».
Torna, come si vede, l'accento sull'unità fraterna, percepita al di là delle differenze religiose. Il Papa notava con favore anche la partecipazione di persone non credenti.
Nel 2002, in occasione della «sosta» palermitana di questo annuale pellegrinaggio, il Papa leggeva la storica giornata assisana come «l'inizio di un nuovo modo di incontrarsi tra credenti di diverse religioni: non nella vicendevole contrapposizione e meno ancora nel mutuo disprezzo, ma nella ricerca di un costruttivo dialogo in cui, senza indulgere al relativismo né al sincretismo, ciascuno si apra agli altri con stima, essendo tutti consapevoli che Dio è la fonte della pace». Ricordava come, nel gennaio precedente, era tornato ad Assisi con i rappresentanti delle Chiese cristiane e delle grandi religioni, dopo i tragici eventi dell'11 settembre 2001, e invitava ad allargare lo sguardo, da Palermo, sul Mediterraneo, verso la Terra Santa e verso l'Africa provata dalla fame e dalla povertà.
Lo «spirito di Assisi» assumeva qui il tono della concreta operosità per la costruzione della pace.
L'anno dopo, per l'incontro di Aachen, l'espressione, nelle parole del Papa, si arricchiva del riferimento alla visione di Isaia, 2, 3: «tutti i popoli del mondo in cammino dai diversi punti della terra per raccogliersi attorno a Dio come un'unica, grande e multiforme famiglia».
Lo «spirito di Assisi» si è andato così, di anno in anno, arricchendo di contenuti e sfumature. Nel 2006 cadeva il ventesimo dell'evento.
La voce del Papa era ormai quella di Benedetto XVI. Toccò a me, da poco tempo vescovo di Assisi, l'onore di una lettera in cui il Papa rievocava l'evento celebrato vent'anni prima, sullo sfondo del faticoso cammino della pace, per concludere che quanto il predecessore aveva voluto poteva considerarsi una «puntuale profezia». Sviluppava poi, a partire dalla dichiarazione Nostra aetate, e facendo leva sulla comune condizione degli esseri umani di fronte al Creatore, nell'ottica di Romani, 1, 20, il principio che la religione non può che essere «foriera di pace».
Le «guerre di religione» sono, per Benedetto XVI, un'espressione immatura del senso religioso, giacché la fede in Dio creatore «non può non promuovere tra gli uomini relazioni di universale fraternità». Il Papa illustra tutto ciò con rimandi biblici, dall'Antico al Nuovo Testamento, fino alla rivelazione del Dio-Amore (1 Giovanni, 4, 7). Passa poi a considerare il carattere «orante» dell'evento del 1986, per ribadire il «valore della preghiera nella costruzione della pace» che, prima di essere costruita nelle strutture sociali e con i mezzi della politica, va edificata nei cuori, e suppone sempre l'aiuto della grazia. Ammoniva poi a restare fedeli a quella che era stata la preoccupazione di Giovanni Paolo II nella celebrazione dell'evento assisano: evitare anche solo l'impressione di sincretismo e di relativismo.
Com'è noto, Giovanni Paolo II aveva ampiamente sottolineato questo aspetto, caratterizzando il convegno assisano con la formula: «insieme per pregare, non per pregare insieme». Con il senno del poi si può forse riconoscere che qualche dettaglio, nell'organizzazione di quella complessa giornata, fu forse non del tutto all'altezza di tale preoccupazione papale, mettendo anche nel conto l'effetto mediatico, che tendeva ad unificare quello che, nella prassi degli oranti, era sentito come rigorosamente distinto. Qualche sofferenza in chi, da questo, si è sentito disorientato, può essere compresa, e la si può accogliere come monito fraterno a organizzare in futuro le cose in modo che lo «spirito di Assisi», nemmeno nella più lontana impressione, appaia qualcosa di vicino al relativismo religioso. Benedetto XVI lo ribadisce con forza, nella menzionata lettera: «quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace, occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri della varie religioni. Fu questa la scelta del 1986, e tale scelta non può non restare valida anche oggi. La convergenza dei diversi non deve dare l'impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della verità e la possibilità di attingerla». Un ultimo aspetto sottolineato da Benedetto XVI è il riferimento alla figura di Francesco. Era stata la motivazione della scelta di Assisi da parte di Giovanni Paolo II.
Rimane anche la motivazione del successore, nel farsi pellegrino in questa stessa città per il venticinquesimo di quell'evento.
Di esso, in occasione della sua visita ad Assisi del 17 giugno 2007, parlò appunto in chiave «francescana»: «La scelta di celebrare quell'incontro ad Assisi era suggerita proprio dalla testimonianza di Francesco come uomo di pace, al quale tanti guardano con simpatia anche da altre posizioni culturali e religiose.
Al tempo stesso, la luce del Poverello su quell'iniziativa era una garanzia di autenticità cristiana, giacché la sua vita e il suo messaggio poggiano così visibilmente sulla scelta di Cristo, da respingere a priori qualunque tentazione di indifferentismo religioso, che nulla avrebbe a che vedere con l'autentico dialogo interreligioso». Illustrava così lo «spirito di Assisi» a partire non solo dall'evento del 1986, ma anche, secondo l' «ermeneutica della continuità» che gli è cara, alla luce della testimonianza di Francesco, eccezionale testimone della perenne «novità» della tradizione cristiana, sulla base della radice sempre viva del Vangelo. E concludeva: «Lo “spirito di Assisi”, che da quell'evento continua a diffondersi nel mondo, si oppone allo spirito di violenza, all'abuso della religione come pretesto per la violenza. Assisi ci dice che la fedeltà alla propria convinzione religiosa, la fedeltà soprattutto a Cristo crocifisso e risorto, non si esprime in violenza e intolleranza, ma nel sincero rispetto dell'altro, nel dialogo, in un annuncio che fa appello alla libertà e alla ragione, nell'impegno per la pace e per la riconciliazione».
(©L'Osservatore Romano 10 luglio 2011)
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1 commento:
I vescovi ci stanno portando all'idifferentismo che sta a un passo dall'apostasia.
Povera Chiesa cattolica un tempo lume delle genti!E' importante ciò che la gente percepisce...un gran minestrone delle fedi.
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