lunedì 1 agosto 2011

I catechisti del Bénin per l'evangelizzazione. Una missione in una terra difficile (Picucci)

Una missione in una terra difficile

I catechisti del Bénin per l'evangelizzazione

di Egidio Picucci

In occasione dei 150 anni dell'evangelizzazione del Bénin (1861-2010), si è parlato e si parla ancora molto del contributo dato dai catechisti alla diffusione del Vangelo nei sei Dipartimenti del Paese, sottolineandone l'indispensabilità, non solo per la molteplicità delle lingue, ma anche per l'efficienza della missione stessa, «la quale -- secondo un'indovinata espressione di Papa Pio XI -- non raggiunge i suoi scopi se non ha una buona scuola e ottimi catechisti».
Alcuni di quelli che hanno lavorato nel piccolo Paese africano sono stati autentici missionari impegnati in un'evangelizzazione estremamente efficace sia perché sostenuta da una fede profonda, cui essi hanno aggiunto l'insegnamento (erano chiamati «maestri catechisti»), una certa genialità per l'animazione liturgica, componendo canti e trasferendo elementi della cultura indigena nell'amministrazione dei sacramenti -- primi tentativi di inculturazione -- sia perché testimoniata col proprio sangue. Non è stato facile, infatti, parlare del vero Dio a persone attaccate a culti ancestrali e dominate dalla paura che, allontanandosi dalle tradizioni degli antenati, potessero essere colpite dalla loro vendetta. Oggi qualcosa sta cambiando, seppure molto lentamente, perché l'attaccamento al feticismo e all'oscurantismo è sempre forte; ma agli inizi dell'evangelizzazione del Nord del Paese (non più di una sessantina di anni fa) la resistenza all'annuncio evangelico è stata energica, massiccia e generale. Poteva essere vinta solo col sangue.
Gli episodi più clamorosi sono avvenuti nella diocesi di N'Dali, una cittadina del Nord della nazione, tagliata in due dalla strada che sale da Cotonou e che, proprio in mezzo alle sue case, si divide in quattro tronconi che portano in Nigeria, nel Niger, nel Togo e nel Burkina Faso. La città è sede vescovile dal dicembre 1999, ma non ha molti cattolici perché la mancanza di clero non permette di raggiungere l'intera popolazione (di cinque lingue diverse) del territorio. Si impone, così, la collaborazione dei catechisti, longa manus di monsignor Adjou Moumouni Martin, primo vescovo del luogo, che ha aperto una scuola per la loro formazione a Gusunon-Kèru, della durata di un anno. Qui i catechisti imparano i due modi in cui si deve radicare la catechesi: il primo ancorato alla persona di Cristo, il secondo rivolto all'oggi degli uomini, cui ci si deve rivolgere con un linguaggio adatto a trasmettere le verità della fede.
Non è facile, ma c'è chi è riuscito a farlo, annunciando o facendo riscoprire la fede, inquinata da un sincretismo che purtroppo non fa distinzione tra chiesa cattolica e chiesa protestante, tempio delle sette e tempio del vodù, sempre affollati di devoti.
A Goua tutti ricordano un certo Nicolas Bwanra, un quarantenne che, grazie alla conoscenza del francese e all'ascendenza che aveva sulla gente dei villaggi per la sua versatilità in tutti i mestieri, si era messo a disposizione del missionario per la catechesi nella difficile lingua bariba. Pur non potendo abbracciare il cattolicesimo (aveva due mogli), lo diffondeva arditamente nei villaggi, avvicinando al Vangelo centinaia di persone. Nonostante questo, continuava a interessarsi della coltivazione e del commercio del cotone seguendo l'andamento del mercato e consigliando quando, come e a chi venderlo. Vicino a Goua c'era (e c'è) il re, cui lo Stato deputa alcuni compiti secondari, ma il popolo stimava più Nicolas, chiamato anche nei villaggi vicini per risolvere problemi, consigliare scelte o rappacificare dissidenti. Avversato perché diffondeva una religione «straniera», fu avvelenato, il metodo più comune nel Bénin per eliminare persone scomode. Battezzato in articulo mortis, morì nel 1999 tra spasimi atroci, raccomandando a tutti di non vendicare la sua morte.
La stessa sorte è toccata a Paul Sika di Bareru, punito perché cercava di allontanare la gente dai feticci tradizionali. Morì nel 1987, nel giro di 24 ore. Oggi nel suo villaggio e in quelli che lo circondano ci sono fiorenti comunità cristiane.
Nel 2005 è morto a trent'anni, con lo stesso metodo e per gli stessi motivi, un altro Paul, ma di Boro, 40 chilometri da Peréré, anche lui avvelenato come Thomas Soroku di Gamia, catechista nel suo villaggio e in quelli vicini, nei quali le cappelle sono ora piene di gente. Spesso dalle famiglie dei catechisti sono venute belle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. L'attuale vescovo di Parakou, monsignor Pascal N'Koué, è figlio di un catechista.
L'attività dei catechisti, infine, ha inciso e incide profondamente nell'anima dei catecumeni, come dimostra la bella testimonianza di Nestor (nome di battesimo), figlio d'un feticista di Koni che, avendo conosciuto il missionario della sua zona, cominciò a frequentare il catechismo, dicendo al padre che andava a studiare. Il padre lo seguì di nascosto e scoprì che, dopo lo studio, andava in chiesa. Nonostante le gravi minacce del padre, che giuró di ucciderlo se avesse continuato a frequentare il missionario, nel 1996 il giovane ricevette il battesimo, meravigliandosi che i familiari non avessero fatto nulla per impedirglielo. La meraviglia crebbe quando, rincasando la sera stessa del battesimo, trovò la tavola apparecchiata proprio per lui e i parenti inspiegabilmente in festa. Dopo la cena fu colpito dai soliti dolori prodotti dall'avvelenamento e morì dopo un'ora. Fu sepolto con i riti tradizionali, con la convinzione che tutto fosse finito nella fossa scavata accanto a un grande baobab isolato nella campagna.
Invece cominciò una storia nuova alimentata dalle testimonianze di un intero villaggio. Dopo qualche giorno dalla sepoltura gli abitanti del villaggio segnalarono strani prodigi nei pressi della tomba, segno, se non altro, del grande impatto che la storia del giovane convertito aveva nonostante tutto avuto su chi lo conosceva. Tanto che, spinto dalle insistenze di molti, il padre di Nestor riuní tutti i bokono (feticisti), che decisero di chiedere chiarimenti al missionario, il quale, dopo aver spiegato alcuni fondamenti del cristianesimo e dei suoi simboli si rallegró con il padre del giovane che aveva già deciso di rinunciare ai feticci e ricevette non senza stupore una cifra rilevante per la costruzione di una cappella che un anno dopo fu benedetta dal vescovo -- il quale poi vi battezzó una settantina di nuovi cattolici -- e nella quale oggi tutti cantano la Messa in baribà.

(©L'Osservatore Romano 31 luglio 2011)

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