La lezione di Papa Benedetto e le nostre
Noi che siamo e diamo segni
Davide Rondoni
Insegnare è difficile. Ci vuole entusiasmo, ha detto il Papa. Ma entusiasmo per cosa ? Ieri ai giovani docenti riuniti a Madrid a El Escorial, Benedetto XVI ha parlato di questo genere di esperienza. Non ha fatto scorciatoie. Non ha sostato in analisi sociologiche o politiche. Ha fatto intendere che insegnare non è un mestiere facile. E non a caso ha ricordato il suo entusiasmo di giovane docente. Parlava a giovani docenti. Lo sa bene anche il Papa che ci vuole entusiasmo perché spesso questo mestiere si svolge in situazioni per nulla entusiasmanti. Lui ha ricordato il dopoguerra, quando cominciò. Oggi ci sono altre condizioni, spesso dure. E allora da dove trarre l’entusiasmo per questo mestiere che è difficile ? Chi cerca di farlo bene sa che non è nemmeno un mestiere. È qualcosa di diverso. È in-segnare, appunto, offrire segni, mettere segnali. E’ cercare insieme il vero. Indicare, cercare il vero a riguardo di una porzione del reale, di un frammento, di una disciplina. Per questo chi davvero insegna finisce per farsi segnare la vita. Perché si è segnati dall’ entusiasmo per il vero. È questo che sembra strano. Perché il vero, perché inseguire il segreto del reale è la cosa più entusiasmante che ci sia. Lo sanno i veri scienziati, lo sanno i veri poeti. I cosiddetti saggi della nostra epoca irridono il vero.
Pensano che non esista. Che non abbia né gusto né sapore. Che sia una fredda astrazione. Poveri loro, non conoscono più il suo entusiasmo. Ma se uno non ha questo genere di entusiasmo, finirà per riporre la soddisfazione dello strano mestiere di insegnare nell’avanzamento di carriera, nel prestigio accademico o scolastico che ammuffisce subito, nel consenso degli studenti trattati come platea o massa da indirizzare. O, come accade spesso, chi non conosce l’entusiasmo della ricerca del vero, scambierà stati febbrili d’animo e compiacimenti di bassa lega con il motivo per cui vale la pena insegnare. Ma l’entusiasmo di cui parla il Papa - e da cui è segnato quando insegna ancora oggi - brucia la persona che lo prova. Non è un abito passeggero. Non un’emozione riservata a certi momenti esaltanti. È un entusiasmo duro come un crampo. Forte come un pugno. Segna la vita intera come una ferita. È il fuoco che arde chi gusta la materia non solo con il gusto attento e ramificante per la materia ma per il vero della materia, per la luce e per le ombre del reale. Per i suoi misteri. L’entusiasmo del vero è contagioso. I giovani lo vedono, anche se non sanno dare questo nome, lo avvertono interessante.
Per questo insegnare è farsi segnare. Diventare segno, per quanto imperfetto, in mezzo ai giovani, a coloro che sono nell’età in cui è meglio occuparsi seriamente del vero. Non c’è insegnante autentico tra quelli che abbiamo avuto la fortuna di incontrare che non sia in qualche modo segnato irrevocabilmente dalla tensione al vero. Senza questo entusiasmo delle profondità, la scuola e l’accademia si trasformano in luoghi burocratici e ideologici. In piccole tristi repliche, in asfissianti recessi dei vizi dell’intera società. Ma basta uno, lo vediamo spesso, un solo autentico insegnante tra mille che abbia questo genere di entusiasmo, ed ecco rinasce la scuola, rinasce l’università. Rinasce quello scambio simile alla paternità. Ancora più nudo, se così si può dire, ancora più povero in un certo senso. Non sono tuoi figli i giovani che ti trovi davanti quando insegni. Non sono simili a te, non sono d’accordo con te. Forse non hanno nemmeno stima iniziale. Eppure è a loro che lascerai la tua intera eredità. E davanti a loro che puoi o meno farti segnare perdutamente dal vero entusiasmo. Che agli occhi di chi inizia a condividerne il gusto ci può rendere umili e grandi compagni, inoltrati nel folto del mondo.
© Copyright Avvenire, 20 agosto 2011
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