Interno del Duomo di Verona |
L'appello della tomba vuota
di Marco Agostini
Anche se non propriamente dedicata a Santa Maria Assunta la cattedrale di Verona è conosciuta con questo titolo. La denominazione pare giustificata da due importanti monumenti pittorici presenti all'interno: l'imponente e fastoso ciclo mariano della cappella maggiore e la pala di Tiziano Vecellio (1487-1576) della cappella Cartolari-Nichesola. Alla ragione iconografica, va aggiunto l'entusiasmo suscitato dalla proclamazione del dogma dell'Assunta da parte di Papa Pio XII il 1° novembre 1950.
Il cuore della cattedrale scaligera è a oriente nella Cappella grande: a esso conduce la direzione sacra ad altare Dei. Entro la cancellata marmorea, nell'abside romanica trasfigurata dal rinascimento sull'altare si offre Cristo, si celebra la sua Pasqua e le immagini esibiscono il dogma di quella che è popolarmente chiamata la «Pasqua dell'estate». La cappella fu voluta così dal vescovo Giovan Matteo Giberti nato a Palermo nel 1492 e morto a Verona nel 1542. Gli affreschi, l'altare maggiore con lo scomparso tabernacolo, il pavimento che copre le tombe di Papa Lucio III e dei vescovi Giberti e Ludovico di Canossa, la recinzione marmorea, gli stalli per il vescovo e il capitolo, le cantorie e gli arredi mobili sono capitoli di un programma episcopale che anticipò in Verona la riforma della Chiesa del XVI secolo.
Un capolavoro composito determinato dalla fede, dalla sapienza, dalla pratica liturgica di artisti docili alle direttive spirituali e culturali di un gigante della riforma cattolica. Il cantiere della cappella si aprì tra il 1527 e il 1528.
Vasari, nella Vita di Giulio Romano, riferisce dell'amicizia tra Giberti e il pittore (1494-1546) sin dai tempi in cui il primo era datario di Clemente VII. Nella Vita di Giovanni Caroto l'aretino narra: «Volendo il vescovo Giovan Matteo Giberti far dipingere in Duomo nella cappella grande alcune storie della Madonna ne fece fare (...) a Giulio Romano suo amicissimo i disegni (...) Ma Giovanfrancesco [Caroto] (...) non volle mai mettere que' disegni in opera. Là dove il vescovo sdegnato gli fece fare a Francesco detto il Moro». E Francesco di Marco India detto il Moro, noto come Torbido (1482 circa-1561), eseguì e ultimò l'opera nel 1534.
Gli affreschi costituirono una novità per la cultura pittorica veronese del tempo: le conseguenze della grandiosa maniera romanista di Giulio, frutto del classicismo raffaellesco e dell'antico, esercitarono in città una grande influenza. La disarticolazione formale del suo linguaggio, accresciuta dall'ingigantimento dei modelli fino al grottesco, è sorprendente: non basta l'umbratile psicologia giorgionesca, facile al tonalismo e le preziose variazioni cromatiche chiare e luminose di Torbido, a pacificarla. La maniera di Giulio obbligò Torbido a eccessi formali ricercati.
Sul fronte dell'arco vediamo l'annuncio dell'Incarnazione del Verbo e negli incavi del basamento del fondale architettonico i profeti Isaia ed Ezechiele: il primo indicante il cartiglio Ecce Virgo concipiet (Isaia, 7, 14) e il secondo contemplante la sottostante «divinizzazione» dell'uomo. Nella volta del presbiterio e nel catino absidale scorgiamo: «In quattro gran quadri, la natività della Madonna, la presentazione al tempio, et in quello di mezzo, che pare che sfondi, son tre angeli in aria che scortano all'insù e tengono una corona di stelle per coronar la Madonna, la quale è poi nella nicchia accompagnata da molti angeli, mentre è assunta in cielo, e gl'apostoli in diverse maniere et attitudini guardano in su» (Vasari, Vite di Fra' Iocondo e di Liberale e d'altri veronesi).
Il soggetto proveniente dai vangeli apocrifi aveva conosciuto un gran de successo in età medioevale grazie allo Speculum historiae di Vincenzo di Beauvais e alla Leggenda aurea di Jacopo da Varagine. La nascita è fissata nel momento in cui, secondo il Protovangelo di Giacomo, Anna distesa sul letto assiste al bagno di Maria dopo aver interrogato la levatrice sul sesso dell'infante. La presentazione al tempio, invece, ritrae il momento in cui la fanciulla sale all'altare incontro al sacerdote Abiatar.
Il Libro sulla natività di Maria narra che: «Condussero la Vergine al tempio (...) C'erano (...) in corrispondenza ai quindici salmi graduali, quindici gradini di salita all'altare... Su uno di questi gradini i genitori posero la piccola (...) e la vergine del Signore salì ad uno ad uno tutti i gradini senza la mano di uno che la guidasse». E, chiosa il Vangelo dello Pseudo-Matteo, «di questo tutti restarono attoniti per lo stupore, tanto che gli stessi pontefici del tempio se ne meravigliarono».
La riunione degli apostoli al capezzale di Maria è una costante negli scritti che vanno sotto i titoli di Dormitio Mariae Virginis o Transitus Mariae Virginis. Nel catino absidale gli apostoli, con enfatici gesti, assistono al transitus dalla balaustra di una semicupola a lacunari: «son figure il doppio più che il naturale» e volti grotteschi, quasi ferini. Il pittore segue il Transito: «Poi gli apostoli con grande onore deposero il corpo nel sepolcro (...) E a un tratto li avvolse una luce dal cielo e, mentre cadevano a terra, il santo corpo fu assunto in cielo dagli angeli». Alcuni di loro, inginocchiati, sembravano intenti a scrutare il sepolcro in basso.
Suggestiva è la forma sepolcrale dell'altare gibertiano, similissimo all'avello dell'Assunta tizianesca. Pietro con la chiave d'oro, il giovanissimo Giovanni, Paolo con la spada e Tommaso con la cintura. Continua il Transito: «Allora anche Tommaso venne trasportato all'improvviso sul monte degli Ulivi e vide il beatissimo corpo dirigersi verso il cielo, e gridò: “O madre santa, madre benedetta, madre immacolata” (...) Allora la fascia con cui gli apostoli avevano cinto il santissimo corpo venne gettata giù dal cielo a Tommaso. Ed egli la prese, la baciò rendendo grazie a Dio», allusione alla devozione cinquecentesca della Madonna della cintura.
Nella volta del presbiterio, dall'apertura che si spalanca sul cielo illuminato dal fulgore divino tre angeli si fanno incontro all'Assunta per coronarla. Pio XII nell'enciclica Ad caeli Reginam (11 ottobre 1954), con la quale istituisce la festa della Beata Maria Vergine Regina scrive: E christianae vetustatis monumentis, e liturgicis precibus, ex indito christiano populo religionis sensu, ex operibus arte confectis, undique collegimus voces quae asserunt Deiparam Virginem regali dignitate praestare.
La cornice architettonica dei grandi affreschi si estende alla conca absidale dominata dalla colossale immagine di san Zeno. Sotto la balaustra, il fregio esibisce suppellettili liturgiche: fra esse due corali con l'incipit delle antifone Veni sponsa Christi e Salve Regina. Le antifone anticipano i dodici monocromi con avvenimenti dell'Antico Testamento che la liturgia applica in modo accomodatizio alla maternità verginale di Maria e al suo ruolo di Madre di Dio: il roveto ardente, il sacrificio d'Isacco, il vello di Gedeone, la radice di Jesse, l'arca di Noè, la legge antica del Sinai, Giuditta e Oloferne, l'acqua dalla roccia, il santuario dalle porte chiuse, Davide e Golia, la porta chiusa.
Le storie di Maria pur non contenute nei Vangeli canonici, sono gravide del mistero rivelato da quelli: è questa la ragione dell'affezione dei fedeli. La teologia che governa l'impianto frescale non ricusa di mantenere la devotio popolare accanto al dogma che esalta la maternità divina di Maria e la sua verginità perpetua. Anche la dottrina mariana non ancora definita, ma pur sempre creduta, ha spazio: la salvezza perfetta del primo istante (Immacolata Concezione) e la salvezza perfetta al termine della vita, Maria salvata fino alla perfezione ultima con la glorificazione della sua anima e del suo corpo (Assunzione).
Il committente è un pastore attento al sensus fidei, che nulla disprezza di ciò che è buono e vero, e fa dipingere queste storie tradizionali nel luogo più santo della sua cattedrale. Proclamerà Pio XII il 1° novembre 1950: Auctoritate Domini nostri Iesu Christi, beatorum Apostolorum Petri et Pauli ac Nostra pronuntiamus, declaramus et definimus divinitus revelatum dogma esse: Immaculatam Deiparam semper Virginem Mariam, expleto terrestris vitae cursu, fuisse corpore et anima ad caelestem gloriam assumptam.
Il ritmo spaziale impresso alle scene principali dalla cornice architettonica è ripreso nella cancellata marmorea che chiude il presbiterio. La cancellata, l'altare, il pavimento, le cantorie sono da ricondursi all'architetto veronese Michele Sanmicheli (1484-1559). Cardine del sistema geometrico della cappella era il tabernacolo, ora scomparso, sull'altare. Giberti fu il pioniere della custodia dell'Eucaristia sugli altari maggiori. Pier Francesco Zini scrive che il vescovo «rese il coro (della cattedrale) più ampio e più bello con grande arte in modo tale che contenesse il (...) tabernacolo per il Corpo del Signore Gesù Cristo come il cuore nel mezzo del petto e la mente al centro dell'anima (...) Tale è la maestà con la quale è innalzato da quattro angeli di bronzo sull'altare maggiore posto in mezzo al coro, che le menti dei religiosi e dei laici, come è giusto, sono ispirate alla devozione» (Boni pastoris exemplum ac specimen singulare 1556).
Così la cappella di Giberti appare grande, bella e spaziosa e adatta alla devozione dei fedeli verso l'altare maggiore dove si celebra messa e si conservavano le sacre specie. La pianta centrale enfatizzava l'altare e il tabernacolo e il tradizionale legame di Maria con gli edifici a pianta circolare. Tutto fu concepito in funzione della presenza e del dogma mariano.
L'altare sotto l'arco, circondato dall'abside e dalla solennità del tornacoro, rendeva evidente il primato del culto e perciò del Sacrificio augusto sugli altri interessi della comunità. L'Eucaristia è la sintesi della storia della salvezza, «il sacramento più grande e il coronamento di tutti gli altri» (san Tommaso d'Aquino). L'Eucaristia è intimamente legata alla vita della Chiesa e dei fedeli: questa vita si appoggia a essa e in essa si esprime. La discesa del Verbo in carne e sangue, annunciata dagli affreschi, si compie definitivamente nel sacrificio del Calvario rinnovato sull'altare. La divina potenza che suscitò il corpo di Cristo nel grembo di Maria, suscita sull'altare la «mirabile conversione» del pane e del vino, la transustanziazione.
Nella Comunione la stessa potenza attua l'intima unione dei fedeli con Cristo immolato per essi e la trasformazione della loro vita nella sua. L'Eucaristia è per tutti pegno della gloria futura già concessa, per singolare privilegio, a Colei che portò Dio nel proprio corpo. L'Eucaristia renderà vuote le tombe per la gloria. La «tomba nuova (...) scavata nella roccia», l'altare, in cui il Verbo incarnato discende fino agli inferi, è anche la tomba vuota dell'umanità «divinizzata», l'Assunta. Quella tomba vuota è per noi luogo di confessione della fede, di martyria: appello alla santità.
(©L'Osservatore Romano 14 agosto 2011)
1 commento:
Che cosa sono quelle seggioline di fronte alla cancellata marmorea poste al contrario?
Suvvia togliamole! Già la Soprintendenza ha fatto il miracolo di proibire la distruzione della 'cancellata marmorea', completi l'opera imponendo di togliere 'ste... schifezze!
don achille maria
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