sabato 8 ottobre 2011

Giovanni XXIII e il Vaticano II nel ricordo di Mons. Loris Capovilla che invita a evitare forzature fuorvianti del discorso d'apertura (Agostino Marchetto)

Giovanni XXIII e il Vaticano II nel ricordo del segretario particolare del Pontefice

Il concilio è vivo

Monsignor Loris Capovilla invita a evitare forzature fuorvianti del discorso d'apertura

di Agostino Marchetto

Dopo il volume Giovanni XXIII nel ricordo del segretario Loris Francesco Capovilla, intervista di Marco Roncalli con documenti inediti (1994), grazie alle domande postegli questa volta da Ernesto Preziosi (Ricordi dal Concilio. Siamo appena all'aurora, Brescia, La Scuola, 2011, pagine 160, euro 9,50), abbiamo qui ricordi vivi e ammirati di Giovanni XXIII da parte di colui che fu il suo segretario particolare. Il concilio ecumenico Vaticano II ne è illuminato quasi di riflesso da chi lo convocò e ne presiedette la prima sessione.
Per Capovilla il Vaticano II è «vivo, attuale, ricco, di una ricchezza che ancora attende di essere valorizzata pienamente. Nelle risposte sentiamo riecheggiare eventi, personaggi, riemergere temi, forse un po' rimossi, ma ancora di grande attualità e in attesa di attuazione». In molti casi l'intervistato ricorre alle parole stesse di Papa Giovanni o dei suoi successori, ma ciò non disturba affatto.
L'intervistatore si colloca dal suo punto di vista, che sottolinea il rinnovamento conciliare, meno sensibile -- mi pare -- alla continuità d'insegnamento ecclesiale che non è venuto meno. Una spia è forse la citazione di Gilles Routhier, che si pone proprio su tale linea, a suo tempo criticato da chi scrive. In effetti non nasce per noi con il concilio «una nuova figura di cattolicesimo», ma c'è stato un aggiornamento, un rinnovamento, una riforma nella continuità, come autorevolmente indicato da Benedetto XVI, il 22 dicembre 2005, in un discorso ormai famoso alla Curia romana.
L'intervista riporta, all'inizio, una autobiografia di monsignor Capovilla, dove ricorda i primi incontri con monsignor Roncalli, e poi il suo episcopato, non facile -- dice -- a Chieti-Vasto: «Era necessario aprire nuovi percorsi, entrare in fecondo dialogo con il mondo contemporaneo».
Poi «venne un uomo chiamato Giovanni» a sedere sul soglio pontificio, come ebbe a dire il Patriarca Athenagoras; ci fu «l'inizio di una nuova primavera», che nel Papa nacque soprattutto dalla preghiera, come indicò quella frase al suo segretario che gli chiedeva, appena fatto «spettacolo al mondo» e ritornato il silenzio: «Santo Padre, desiderate vedere qualcuno? C'è qualcosa da fare che vi preme?». Rispose: «No, ora lasciami dire, in pace, vespero, compieta e rosario» (lo diceva completo, decina dopo decina). Per lui preghiera, quindi, prima di ogni altro impegno. Ma venne, sul tardi, anche lo stesso Tardini per il quale -- commenta -- «non basta quel fuggevole complimento; qua dentro egli è il personaggio più importante». Che realismo, in chi è spesso accusato di idealismo, e ottimismo esagerato!
Però il Papa è soprattutto Pastore, e lo fu con evangelica mitezza e grande umiltà, sentendosi -- come Giuseppe, il figlio di Giacobbe, col dire: «Sono il vostro fratello Giuseppe» (Genesi, 45, 4) -- al servizio di tutta l'umanità e leggendo i segni dei tempi, «indifferente al plauso o alla critica, al successo o all'insuccesso». Capovilla commenta: con quel distacco proposto da sant'Ignazio nei suoi Esercizi spirituali.

Ora, quali fattori contribuirono a far maturare in Giovanni XXIII l'idea di celebrare il concilio? Per l'intervistato, la profonda conoscenza delle vicende della Chiesa, la consapevolezza della corresponsabilità collegiale, la fede nell'assistenza dello Spirito Santo, un'umile sottomissione alla volontà del Padre. Era, insomma, il concilio, la più valida risposta collegiale alle aspettative della Chiesa universale e all'umanità intera, e alle sue esperienze pastorali e diplomatiche nell'Oriente europeo e in Turchia.
Il Papa presentò il concilio come «una nuova Pentecoste». E qui sorge la questione circa il tempo di maturazione dell'idea in Roncalli. Fu cosa improvvisa? La risposta dell'intervistato è assai articolata. «Certo, quell'annuncio, il 25 gennaio 1959, fu una sorpresa un po' per tutti. A quanto ne so, non ne aveva parlato esplicitamente, ma certamente questo progetto era già scritto in lui». Fu un'intuizione, non una decisione: «Ne accennò velatamente il 2 novembre 1958. Ne aveva discusso con monsignor Cavagna (...) certo con monsignor Dell'Acqua. Ufficialmente ne parlò con Tardini solo il 20 gennaio 1959 o poco prima. Il cardinale Ruffini disse di aver suggerito lui al Papa un Concilio».
Per Capovilla la confidenza al cardinale Tardini non contraddice la sincerità del Papa: «A un tratto, nella conversazione con il Segretario di Stato, mi illuminò l'anima una grande idea, avvertita proprio in quell'istante e mi salì alle labbra una parola solenne ed impegnativa. La mia voce la esprimeva per la prima volta: un Concilio! (...) Il primo ad essere sorpreso di questa mia proposta, fui io stesso, senza che alcuno mai me ne desse indicazione».
In effetti -- ricorda Capovilla -- «quel “senza averci pensato prima” ha suscitato delle perplessità. Eppure dall'insieme dei suoi scritti e dai discorsi successivi risulta che con quell'espressione si riferiva al periodo antecedente alla sua nomina a Papa, quando era sua precisa determinazione non interessarsi a progetti estranei al suo servizio». È la soluzione dell'intervistato. Io mi indirizzai piuttosto su quella che ricorre alla complessità della psicologia e dei ricordi umani, anche quelli di un Papa. «Sta di fatto che prima del 20 gennaio 1959 non solo a don Giovanni Rossi, ma anche a qualche altro egli confidò questo progetto. Forse il Papa chiese il sostegno e la preghiera delle persone a lui più vicine per decidersi a parlare pubblicamente del proposito, dopo essersi convinto che non si trattava di fantasia peregrina, di improvvisazione spettacolare, ma di una ispirazione che lo obbligava a sottomettersi, come sempre, alla volontà di Dio».
Del resto, un po' più avanti, monsignor Capovilla confessa che Giovanni XXIII gliene parlò il 30 ottobre 1958, due giorni dopo l'elezione. E 22 giorni dopo, il Papa tornò sull'argomento -- con un «sembra che l'ora sia giunta» -- con il suo segretario, il quale, come per il primo accenno, rimase silenzioso. Finalmente la sera del 20 dicembre, dopo il rosario, il Papa della pazienza quasi la perde e dà una lezione al suo collaboratore: «Faccio una confidenza al mio Segretario particolare, una volta, una seconda volta, e lui non dice niente». La risposta di Capovilla richiama, con il suo «capo», giustamente, i precedenti; in fondo, Roncalli stesso, raccontandogli gli anni della sua collaborazione con Radini Tedeschi, gli aveva ispirato questo comportamento.
Ma non fu sufficiente poiché il Papa così continuò: «Tu non sai chi era monsignor Radini. Comunque ho capito. Tu pensi che il papa è vecchio, che gli manca il tempo per un'impresa di grande rilievo, ti spaventa l'insieme dell'impresa, e sbagli, perché ragioni come un impresario: progetto, studio, difficoltà, complicazioni (...) È un argomentare umano. Finché non avrai messo il tuo io sotto i piedi non capirai nulla delle vie del Signore. Se Lui chiama, non si può rifiutare, non c'è obiezione che tenga, l'età non conta, neanche la pochezza delle proprie forze. Per noi, sue creature, è già grande onore dare ascolto alle sue ispirazioni, avviare un'impresa che è sua. Anche solo annunciare il divino volere è grazia divina, onore e merito».
«Papa Giovanni immagina, decide, prepara e avvia il Concilio con la coscienza di compiere un atto di governo che è nella Tradizione della Chiesa». E come reagisce la Curia Romana? Chiede Preziosi. Capovilla risponde che «accanto a comprensibili titubanze, la collaborazione -- così credo -- fu leale, più di quanto si voglia ammettere. Chi si ripiega ora sui poderosi volumi della documentazione ufficiale, può attestare che il contributo di pensiero e di animazione è stato sollecito e vario. Questo è il mio personale ricordo».
Inizia così la «fase preparatoria» che rivela «al Papa, ai padri e all'opinione pubblica impreviste difficoltà, irritate incomprensioni, attese e pretese insostenibili, scogli procedurali, forzature di entusiasti innovatori, frenature di vigili pastori del gregge, astuti calcoli di occulti manovratori, artificiosi commenti dei poteri mediatici».
Ma sarà il Papa a sgomberare il campo da alcuni fraintendimenti e a rendere più «palese la finalità religiosa dell'evento annunciato», in una visione della «Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri» con vigorosa diffusione del «senso sociale e comunitario, immanente al cristianesimo autentico» (p. 56) e compendio del poema delle opere di «misericordia»: «Non si può costruire un futuro felice della società sulla povertà, sull'ingiustizia, sulla sofferenza di un fratello».
Per il Vaticano II i semi di novità erano già nell'Humanae salutis -- attenzione ai fratelli separati, alle grandi religioni, a un nuovo rapporto con le realtà umane, in una storia in profonda trasformazione -- e, secondo Capovilla, non ci fu una trasformazione del progetto conciliare dal suo annuncio all'apertura.
Già il 25 gennaio 1959 erano state date le parole chiave del concilio: fede, amore e santità. Punto di partenza doveva essere «il richiamo di alcune forme di affermazione dottrinale e di saggi ordinamenti di ecclesiastica disciplina», invitando la Chiesa a un severo esame di coscienza e all'aggiornamento delle strutture ecclesiastiche. «In tutto certamente -- continua Capovilla -- ci fu l'intervento dello Spirito Santo, visibile dagli atti conciliari, dalle parole dei Pontefici dalle memorie di coloro che al Concilio parteciparono».
Nella sua agenda del 1963 il Papa appuntò: «Nei primi due mesi del suo avviamento grave deficienza di rapporto diretto Papa e concilio». Ogni giorno «si vedeva con il Segretario di Stato Cicognani, aveva anche appuntamenti bisettimanali col segretario generale del Concilio, l'arcivescovo Pericle Felici (...) e comprese che i tempi preventivati si sarebbero allungati»; ci furono inoltre contatti intensi con Montini, Suenens, Alfrink e Léger.
Di interesse storico risulta poi la domanda -- e relativa risposta -- se il Papa fosse soddisfatto degli schemi preparatori. «Il Papa li esaminò a Castel Gandolfo con monsignor Cavagna e ne era, nel complesso, abbastanza soddisfatto, non avendo nulla da eccepire sulla dottrina esposta, attestandolo più volte in pubblico e in privato. Inoltre, a quanto mi risulta, i cardinali di varia provenienza da lui interpellati -- tra questi pure Frings, Döpfner, Bea, Lercaro, Alfrink, Suenens, ricevuti con frequenza -- non dissentirono sostanzialmente da questo giudizio. Convenivano sul fatto che si dovesse sottolineare l'ispirazione ecumenica ed accentuare la nota dell'universalità nella fraternità e nella carità».
Il lavoro preparatorio «ebbe la sua importanza», e questo è confermato dal giudizio dispiaciuto dello stesso Giuseppe Alberigo, per il quale i testi approntati d'inizio incisero più di quanto si era pensato su quelli finali. Vi era in effetti un desiderio, in genere, di migliorarli ma non di cassarli nella stessa decisiva Commissione di coordinamento. È chiaro però che «la centralità era dell'assemblea conciliare», cosa che molti sembrano ancor oggi dimenticare, puntandosi piuttosto nella ricerca sulle varie Commissioni anch'esse conciliari.
E giungiamo all'inaugurazione del concilio. L'intervistatore vi intravede «un cambiamento radicale verso una visione squisitamente pastorale del pontificato e dell'episcopato». Capovilla conferma, parlando però piuttosto di rinnovamento ecclesiale, ed esso era compito di tutti i fratelli nell'episcopato di Papa Giovanni. Regnava, certo, «un clima di grande attesa e di novità», ma nei primi due mesi non si produsse alcun documento e il Papa risolse l'obiezione generale -- per cui, pur stando tutti insieme, si era fatto poco -- facendo osservare che era naturale, essendo tutti in qualche modo «novizi»: bisognava conoscersi, soprattutto per distinguersi anche da qualunque altro consenso di tipo scientifico, filosofico, storico o politico.
A questo punto l'intervistatore parla di confronti, anche aspri, fra «chi si apriva all'aggiornamento e chi era portato a sottolineare la virtù cardinale della prudenza»; chi scrive non formulerebbe proprio così la cosa, ma piuttosto considererebbe chi, fra i Padri, era sensibile, diremmo, all'apertura al mondo, all'incarnazione nell'oggi, e chi sottolineava la necessità della fedeltà alla Tradizione: due tendenze legittime, se stanno insieme, nella Chiesa cattolica, secondo le sensibilità di ciascuno. Nella risposta Capovilla parla, a tale proposito, di «tradizionalisti» mentre si dovrebbe dire «tradizionali».
Comunque il Papa apprezzava «la più ampia discussione con respiro di bene intesa e piena libertà. La commissione antepreparatoria e poi quelle preparatorie avevano lavorato sodo, ininterrottamente, tenendo conto di tutte le voci, di tutte le istanze. Durante le sessioni, prima del rientro in sede, il Papa riceveva in udienza cardinali e vescovi membri delle commissioni, ascoltando i pareri e le impressioni, che risultavano, nel complesso, di soddisfazione per l'avvio dei lavori». Ci furono -- è vero -- «momenti di tensione, ma dovuti al fatto che c'era chi prefigurava il Concilio come evento di normale routine, mentre altri miravano a staccarlo dai solchi della tradizione (...) Papa Giovanni ascoltava tutti (...) ripetendo sovente di sentirsi come il patriarca Giacobbe tra le discussioni dei suoi figli: Pater vero rem tacitus considerabat», e apparve la «provvidenzialità del ruolo di Pietro che (...) fece superare lo stallo procedurale».
Alla domanda, poi, del «discorso della luna», e relativa richiesta se fu lui che spinse il Papa ad affacciarsi, quella notte, al balcone, Capovilla è diretto: «No, Papa Giovanni non aveva bisogno di essere spinto, seguiva la sua ispirazione». Ma aggiunge: «Il Papa riteneva di aver pienamente esaurito il suo compito». Era comunque previsto un affacciarsi per benedire la folla. E qui intervenne il piccolo espediente di Capovilla che punta sulla «curiosità» di Giovanni XXIII il quale finalmente chiede la stola e avvia quella famosissima conversazione, invitando la folla a guardare la luna.
Per Capovilla «Il Concilio è stato un evento e un atto missionario (...) un sinodo della collegialità e dell'ecumenismo, del dialogo e della solidarietà». Per quel che concerne il discorso pontificio d'inizio concilio, Gaudet mater Ecclesia, l'intervistato invita a «evitare forzature fuorvianti e sterili polemiche in un senso o nell'altro, quasi che, da un lato, la fedeltà al sacro deposito rivelato impedisca la dinamica apostolica e, dall'altro, la novità pastorale possa compromettere la verità».
In esso «Giovanni XXIII espresse anzitutto il suo moderato ottimismo e la sua visione positiva del senso della storia, permettendo di scoprire, sin dalle prime battute, il rifiuto di una certa forma di integrismo. Subito dopo, in ripetizione di quanto aveva più volte annunciato, precisò lo scopo eminentemente pastorale del Concilio ed escluse ogni discussione su un articolo o l'altro della dottrina fondamentale della Chiesa, definita nei precedenti concili, dal Niceno al Vaticano i, mai rimessi in discussione o svalutati. Lasciò anzi intendere che, nelle attuali condizioni, sarebbe stata esclusa la definizione di nuovi dogmi, avvertendo che l'interesse principale del concilio consisteva nella ripresentazione più efficace della dottrina rivelata universalmente accolta e divulgata dal magistero dei Vescovi. Apparve, quindi, naturale che questa presentazione più efficace esigesse un aggiornamento di cui il Papa aveva parlato altre volte. In tal modo, non esitò ad ammettere uno sviluppo omogeneo della dottrina e una formulazione in qualche maniera nuova delle verità immutabili nella loro sostanza».
Il concilio, poi «non avrebbe rinnovato anatemi». «Nessuna frattura è dunque riscontrabile tra l'annuncio, la conclusione della prima sessione e, in seguito, le tre sessioni presiedute da Paolo VI».

(©L'Osservatore Romano 8 ottobre 2011)

3 commenti:

un passante ha detto...

certo che a vedere questa foto pare strano davvero che Giovanni XXIII volesse tutti quegli sconvolgimenti di cui parlano molti teorici del Concilio Vaticano II

nonno ha detto...

scrisse anche una costituzione apostolica a favore della tutela del latino, ma non è tradotta e chi la conosceva la ignora volutamente e chi è giovane non ne sa nulla

http://www.vatican.va/holy_father/john_xxiii/apost_constitutions/documents/hf_j-xxiii_apc_19620222_veterum-sapientia_lt.html

Anonimo ha detto...

Chissà cosa pensano di questa intervist i soloni conciliari ( Gettazzi, Bianchi,) a finire ai nuovi "protagonisti" i sempreverdi e altro che umili MOGAVERO!!!!!!!!!!!!!!!