Il cardinale Jean-Louis Tauran sulla giornata di Assisi
Chiarezza, fiducia e prudenza cardini del dialogo tra le religioni
Mario Ponzi
Chiarezza, dolcezza, fiducia e prudenza. Sono le quattro caratteristiche del dialogo tra le religioni, indicate da Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam suam del 1964. A quelle parole fa riferimento il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, per spiegare — in questa intervista al nostro giornale — su quali direttrici si muove oggi il dialogo tra i credenti di diverse religioni. Un dialogo che appare sempre più importante in questi anni tormentati, perché «quando i fanatismi rischiano di sfigurare le religioni — dice il porporato — è ancor più necessario che i credenti, tutti i credenti, cerchino di conoscersi meglio e di comprendersi reciprocamente».
Assisi propone di nuovo la questione del dialogo tra cristiani e altre religioni. Quali sono i motivi che portano i cristiani ad accettare di dialogare con persone di altre religioni?
Partiamo da una considerazione molto semplice: viviamo in società pluralistiche, con etnie, culture e religioni diverse. Ma al di là di queste differenze, tutte le persone, credenti o non credenti, si pongono — secondo quanto diceva Kant — tre domande fondamentali: «cosa posso conoscere, cosa devo fare, cosa posso sperare». È in questo contesto che si colloca il dialogo interreligioso. Quando i fanatismi rischiano di sfigurare le religioni, diventa ancor più necessario che i credenti cerchino di comprendersi reciprocamente, di condividere il loro patrimonio spirituale, rispettando la libertà di ciascuno, al fine di considerare che cosa possono fare insieme per il bene comune. Siccome nella storia le religioni non hanno sempre favorito la concordia e la pace, è più che mai necessario, in tempi di globalizzazione, dimostrare che tutte le religioni, in realtà, sono chiamate a essere messaggeri di fraternità. Passando a considerazioni più elaborate, dobbiamo ricordare l’unità del genere umano, creato da un Dio unico. Inoltre, essendo la ragione lo specifico dell’uomo, la ricerca della verità accomuna credenti e uomini di buona volontà. Come dice la Nostra aetate, «la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». In un mondo che favorisce il «meticciato» — per riprendere un espressione cara al cardinale Scola — e la diversità, la Chiesa cattolica non cessa di promuovere il rispetto, l’incontro e la solidarietà.
Come si articola il dialogo con i non cristiani?
Il dialogo interreligioso ha lo scopo di conoscere la religione altrui, di considerare ciò che ci accomuna e ciò che ci divide, e di vedere come i credenti possano mettere a disposizione dell’intera società le energie che vengono dal fatto di credere. Per noi cattolici, esiste una fraternità fondamentale tra tutti i membri della famiglia umana e una volontà di salvezza di Dio per tutta l’umanità, offerta nel Cristo. Noi cristiani non possiamo rinunciare all’annuncio, alla proposta, e allo stesso tempo dobbiamo riconoscere che Cristo è anche presente ed attivo in maniera misteriosa nelle realtà umane e nelle tradizioni religiose dell’umanità. La testimonianza dialogante dei credenti si realizza concretamente attraverso quattro modalità: il dialogo della vita; il dialogo delle opere; il dialogo teologico; il dialogo dello scambio delle esperienze religiose. Abbiamo un dialogo con gli ebrei (del quale si occupa il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani), con i musulmani, con i buddisti, con gli indù, e speriamo di sviluppare quello con le religioni tradizionali africane. È importante ricordare che il dialogo interreligioso non è un dialogo teorico tra le religioni, ma un dialogo tra i credenti, e questo dialogo, secondo Paolo VI, deve possedere quattro caratteristiche: la chiarezza, la dolcezza, la fiducia e la prudenza, come si legge nell’enciclica Ecclesiam suam.
Qual è il senso della preghiera che si tiene ad Assisi?
Prima di tutto, conviene osservare che credenti che pregano, ciascuno nel rispetto della propria tradizione religiosa e delle tradizioni altrui — non si tratta di dare l’impressione che cerchiamo di far nascere una specie di religione universale — ricordano che l’uomo non vive di solo pane. Nel silenzio, al quale Benedetto XVI vuol dare particolare rilievo, essi potranno ricordarsi che il Dio unico è all’opera in ogni uomo e donna di questa terra, che ha un piano su tutta l’umanità e che desidera che la terra sia la terra di tutti: «I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra, e hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti finché gli eletti saranno riuniti nella città santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove le genti cammineranno nella sua luce», come afferma la Nostra aetate. Benedetto XVI ha anche invitato rappresentanti degli uomini e delle donne in cerca di Dio, che sono ancora nel «cortile dei gentili». Non possiamo dimenticare l’atteggiamento di san Paolo nei loro riguardi nell’aeropago di Atene, nonché quanto scriveva: «In Gesù Cristo non c’è più straniero né schiavo, né uomini liberi, ma tutti siamo salvati da Gesù Cristo». Così Paolo si farà giudeo coi giudei e pagano coi pagani per la salvezza loro. Paolo VIene da Tarso, ove la cultura era greco-romana, ha studiato a Gerusalemme ove la cultura era ebraica, ha poi dedicato la sua vita a predicare un cristianesimo davvero universale. La Chiesa è universale fin dall’inizio.
Significativa la presenza dei musulmani nonostante la coincidenza con il pellegrinaggio alla Mecca e la conferenza di Doha
Sì, questa volta i musulmani sono più numerosi che le altre volte, ma potrebbero esserlo ancora di più se l’incontro non coincidesse proprio con questi appuntamenti. Con loro ricorderemo che, come si legge nella Nostra aetate, «la Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà». Questi momenti di amicizia vissuti con i nostri amici musulmani saranno un’occasione per fare luce sulle cause che tante volte impediscono un progresso sostenuto nelle nostre relazioni. Tanta ignoranza da una parte e dall’altra è spesso alla base delle difficoltà che incontriamo. Tanto rimane da fare al livello delle scuole e delle università, perché le religioni vengano presentate nella loro integrità e in maniera equanime. Mi pare che tutto il significato dell’incontro di Assisi, sia riassunto nelle parole pronunciate dal Papa all’Angelus del 1° gennaio di quest’anno: «Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio».
(©L'Osservatore Romano 27 ottobre 2011)
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