lunedì 24 ottobre 2011

Il filo d'oro del silenzio. Intervista con mons. Domenico Sorrentino (Sir)

Il filo d'oro del silenzio
Intervista con mons. Domenico Sorrentino


La città di Assisi, la città di San Francesco, di nuovo sotto i riflettori di tutto mondo il 27 ottobre per la Giornata di preghiera e riflessione per la pace. All’invito di Benedetto XVI hanno risposto tutti i leader delle principali religioni mondiali. Per l’occasione il settimanale cattolico dell’Umbria, “La Voce”, ha intervistato il vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino.

In questa giornata delle religioni compare la parola verità che in passato mi pare sia stata accuratamente evitata. Come pensa che possa arricchire e modificare l’incontro?

“Questo riferimento dice con chiarezza che il 27 ottobre non sarà una pura ‘commemorazione’ dell’evento del 1986. Quell’icona storica è, in qualche modo, irripetibile. Il Papa la conferma e la rilancia. Al tempo stesso, la arricchisce di qualche elemento che non è per nulla accidentale. Il tema della verità è particolarmente caro a papa Benedetto. Il suo Magistero si è immediatamente caratterizzato per la lucidità con cui ha stigmatizzato la tendenza ‘relativistica’ – chiamata addirittura ‘dittatura del relativismo’ – che segna la nostra società. Una tendenza che, a prima vista, potrebbe sembrare favorevole alla costruzione della pace, se si pensa che la storia conosce tante ‘guerre’ di carattere ideologico, ‘guerre sante’, dettate da una radicalizzazione della testimonianza della verità. Ma la stessa storia dimostra anche il pericolo opposto del relativismo. Nella condanna di Gesù confluirono da un lato le ansie di un popolo che si sentiva minacciato nelle sue certezze dalla predicazione del Nazareno, dall’altro il potere politico romano che Pilato gestiva chiedendosi, scetticamente: ‘Che cos’è la verità?’. Alla violenza si può arrivare, dunque, per la presunzione di avere tutta la verità, ma anche per la convinzione che una verità non ci sia, per cui ogni decisione e istinto, anche violento, finisce con l’auto-legittimarsi. Il Papa non a caso unisce i temi della verità e della pace alla metafora del ‘pellegrinaggio’. Una metafora ‘dinamica’, che esclude da un lato la verità brandita come un’arma, dall’altro, lo scetticismo che paralizza la ricerca sul senso della vita. Il pellegrinaggio indica una strada, addita un traguardo. Si può stare a un punto o l’altro del cammino, ma si ha fiducia di andare avanti, e si ha l’umiltà per proseguire insieme, ascoltandosi, aprendosi all’altro e mettendo così presupposti di pace”.

Altra novità è l’invito rivolto a persone non credenti. Cosa significa questa apertura in un incontro di religiosi?

“È una novità importante, ma che non stupisce chi, dalla migliore teologia, come quella autorevole del Concilio Vaticano II, ha imparato che l’esperienza della fede affonda le sue radici nelle regioni profonde del cuore umano, lì dove spesso si invoca Dio senza saperlo e lo si incontra senza chiamarlo con questo nome. Benedetto XVI ha ricordato questo anche nella recentissima Lettera Apostolica per l’indizione dell’Anno della fede. Insomma, dentro la ricerca della verità, della giustizia, dell’amore e di tutti i valori autentici, c’è già un qualche incontro con Dio. Con un’espressione forte, anche se discussa, Rahner parlava di ‘cristiani anonimi’. Molti non-credenti sono in realtà ‘diversamente credenti’. Purtroppo, tra essi non mancano quelli che vivono questa loro scelta con un atteggiamento di chiusura pregiudiziale al confronto con l’esperienza dei credenti. Al tempo stesso, esistono anche tanti credenti ‘formali’, che in realtà non meritano tale nome, per l’incoerenza esistenziale o la leggerezza con cui si danno alle pratiche religiose. È questo orizzonte complesso che fa da sfondo anche al dialogo con i ‘non credenti’ voluto dal Papa per il 27 ottobre. Il tema della pace, come quello della verità, è un tema universale. Ci tocca tutti. Poggia sul fondamento della ragione, che noi credenti non abbandoniamo, ma approfondiamo e arricchiamo con la nostra fede. Il tavolo del dialogo, a 360°, è così uno dei cammini più importanti per costruire la pace”.

Pensa che si può proporre a persone non credenti uno spazio dedicato alla preghiera?

“Evidentemente un non credente non la chiamerà preghiera. Per noi che abbiamo la grazia della fede, pregare è un dialogo con il Dio rivelato in Gesù Cristo, l’unico Dio che è mistero di amore tri-personale. È uno stare con colui dal quale sappiamo di essere amati, per dirla con Santa Teresa d’Avila. Ma come in ogni dialogo, ci sono tanti livelli. Il desiderio, la ricerca, l’invocazione rivolta verso il Mistero che ancora non si è incontrato, ma che si cerca, è già un livello di preghiera, e non da poco. Chi non ricorda l’innominato manzoniano nel momento della sua conversione? ‘Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi!’. Quando si giunge a questo, si è già varcata la soglia della preghiera, si è già con Dio, come all’Innominato spiegava il card. Borromeo: ‘Chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore...?’. Il bisogno di ‘meditazione’ che oggi torna con forza e affascina soprattutto nella versione di alcuni metodi orientali, è molto vicino alle esigenze di non credenti aperti al Mistero. Il 27 ottobre non ci sarà nessuna forma di preghiera esplicita. La preghiera sarà il ‘silenzio’, nel quale tutte le forme di preghiera possono prendere la forma consona alle differenti esperienze e tradizioni religiose. Senza alcuna forma di sincretismo, e dunque per noi cristiani senza alcun tradimento della nostra fede in Gesù nostro Dio e unico Salvatore del mondo, il silenzio sarà il filo d’oro che unirà tutti i livelli e tutte le forme della preghiera. Forse anche quella implicita dei non credenti alla ricerca di Dio”.

La preponderanza della presenza del Papa sulle altre presenze non rischia di offuscare il senso di universalità?

“È stato il Papa ad invitare, ed è inevitabile che la sua presenza abbia un peso speciale. Ma il fatto che tante delegazioni – più del previsto – abbiano accolto il suo invito, mostra che questo non è un problema. Peraltro la scelta di Assisi, la città del Poverello, segnata dalla sua povertà e umiltà, non è casuale. Anche la presenza del Papa non avrà nulla di eccessivo, sarà una presenza in semplicità. Non ci sarà pertanto una liturgia cattolica, come non ci saranno preghiere esplicite di altre confessioni cristiane e di altre religioni. È un evento caratterizzato da una dialogicità di segno veramente universale”.

Gli umbri e i fedeli di Assisi in questa come in altre occasioni pensano che siano più spettatori che attori, più palcoscenico che protagonisti. È una modalità che risponde allo spirito di Assisi, spirito di umiltà, nascondimento e servizio?

“Mi piacerebbe prenderla proprio in quest’ultimo senso. Anche a me non piace che Assisi venga trattata come ‘palcoscenico’, e troppe volte ciò avviene nelle iniziative che si svolgono nella città. Ma non è questo il caso. Per il 27 ottobre, come venticinque anni or sono, si è scelta Assisi per il suo ‘spirito’. Noi, comunità assisana, siamo implicati fortemente nella testimonianza di questo ‘spirito’. È tuttavia vero che, per farlo in un evento a carattere universale, dobbiamo mitigare la nostra ‘visibilità’ e rinunciare al pur legittimo desiderio di essere presenti in massa, per lasciare spazio alle delegazioni delle varie confessioni cristiane e delle varie religioni”.

Cosa dirà nel suo saluto alle delegazioni?

“Proprio per evitare che la parte cattolica avesse una parte eccessiva – essendo previsti, oltre che il saluto del Pontefice, anche i saluti dei Pontifici Consigli incaricati dell’organizzazione dell’evento –, io mi limiterò ad accogliere il Papa, con le altre autorità, ma non farò un discorso pubblico. Pur con qualche sofferenza, comprendo questa scelta di ‘sobrietà’ della parola di parte cattolica, voluta dalla Santa Sede. È una ‘delicatezza’ nei confronti dei convenuti non cattolici e non cristiani. Ma alcune mie brevi parole di benvenuto saranno date per iscritto alla stampa e a quanti potranno riceverle. Mi auguro che anche ‘La Voce’ possa pubblicarle a parte”.

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