Il Papa alla vigilia dell’incontro di Assisi: i cristiani non diventino lupi tra i lupi, ma lavorino per il regno della pace di Cristo
I cristiani non cedano mai alla tentazione “di diventare lupi tra i lupi”: è il monito di Benedetto XVI, alla Liturgia della Parola svoltasi stamani in Aula Paolo VI, in preparazione all’incontro interreligioso per la pace di domani ad Assisi. All’evento, che è stato introdotto dal cardinale vicario Agostino Vallini, hanno partecipato i fedeli della diocesi di Roma, oltre a gruppi di pellegrini di tutto il mondo.
Il Papa ha auspicato che i cristiani siano strumenti di pace in un mondo lacerato dalle guerre e dagli egoismi. Prima del momento di preghiera, il Pontefice si era recato nella Basilica di San Pietro, dove ha salutato le migliaia di fedeli che non avevano trovato posto in Aula Paolo VI. Il maltempo ha, infatti, costretto a spostare l’udienza generale inizialmente programmata in Piazza San Pietro, come avviene tradizionalmente il mercoledì. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Tu es Petrus”
“Concedi all’umanità inquieta il dono della vera pace”: alla vigilia della Giornata di Assisi, il Papa prega per la pace e la giustizia nel mondo. E sottolinea che “chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace” e chi “costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio”. Ecco perché nell’incontro di Assisi, spiega, vi saranno non solo membri di diverse religioni ma anche uomini non credenti. Nell’omelia, il Papa si è soffermato in particolare sulla prima lettura, tratta dal libro di Zaccaria, che annuncia l’avvento di un re umile, un re che spezzerà gli archi di battaglia e annuncerà la pace alle nazioni:
“Gesù è re povero tra i poveri, mite tra coloro che vogliono essere miti. In questo modo egli è re di pace, grazie alla potenza di Dio, che è la potenza del bene, la potenza dell’amore”.
E’ un re, soggiunge il Papa, che “realizza la pace sulla Croce, congiungendo la terra e il cielo e gettando un ponte fraterno fra tutti gli uomini”:
“La Croce è il nuovo arco di pace, segno e strumento di riconciliazione, di perdono, di comprensione, segno che l’amore è più forte di ogni violenza e di ogni oppressione, più forte della morte: il male si vince con il bene, con l’amore”.
L’orizzonte di questo re, osserva ancora il Papa, “non è quello di un territorio, di uno Stato, ma sono i confini del mondo”. E sottolinea che vediamo compiere questa comunione, questa unità nell’Eucaristia. E’ lì, afferma, che il Signore ci toglie dai nostri individualismi “per formare di noi un solo corpo, un solo regno di pace in un mondo diviso”:
“Dappertutto, in ogni realtà, in ogni cultura, dalle grandi città con i loro palazzi, fino ai piccoli villaggi con le umili dimore, dalle possenti cattedrali alla piccole cappelle, Egli viene, si rende presente; e nell’entrare in comunione con Lui anche gli uomini sono uniti tra di loro in un unico corpo, superando divisioni, rivalità, rancori”.
Ecco allora che chi vuole essere “discepolo del Signore”, deve essere pronto “anche alla passione e al martirio, a perdere la propria vita per Lui, perché nel mondo trionfino il bene, l’amore, la pace”:
“I cristiani non devono mai cedere alla tentazione di diventare lupi tra i lupi; non è con il potere, con la forza, con la violenza che il regno di pace di Cristo si estende, ma con il dono di sé, con l’amore portato all’estremo, anche verso i nemici. Gesù non vince il mondo con la forza delle armi, ma con la forza della Croce, che è la vera garanzia della vittoria”.
Come San Paolo, osserva il Papa, “dobbiamo essere disposti a pagare di persona, a soffrire in prima persona l’incomprensione, il rifiuto, la persecuzione”. E avverte che “non è la spada del conquistatore che costruisce la pace, ma la spada del sofferente di chi sa donare la propria vita”. Di qui l’invocazione affinché i cristiani diventino “strumenti” di pace “in un mondo ancora lacerato da odio, da divisioni, da egoismi, da guerre”:
“Vogliamo chiedergli che l’incontro di domani ad Assisi, favorisca il dialogo tra persone di diversa appartenenza religiosa e porti un raggio di luce capace di illuminare la mente e il cuore di tutti gli uomini, perché il rancore ceda il posto al perdono, la divisione alla riconciliazione, l’odio all’amore, la violenza alla mitezza e nel mondo regni la pace”.
Nella sua introduzione, il cardinale Agostino Vallini ha lanciato un appello affinché il nome di Dio non sia “più strumentalizzato per giustificare le guerre e le violenze, ma al contrario sia la sorgente che favorisce il reciproco riconoscimento e il rispetto fra i popoli e le nazioni”. In più lingue, le intenzioni di preghiera, dall’arabo al cinese. In spagnolo si è pregato affinché i cristiani “riscoprano la via dell’unità e diventino un segno della pace, per la quale Cristo ha dato la sua vita”.
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