domenica 2 ottobre 2011

Il restauro della «Risurrezione» nell'Aula Nervi. Spinto dal vento a tuffo nel cielo. Il discorso di Paolo VI all'inaugurazione nell'Aula Nervi (O.R.)

I lavori di pulitura e conservazione della scultura di Fazzini cominceranno il 3 ottobre e dureranno circa due mesi

Il restauro della «Risurrezione»

Appena quattro giorni fa ha compiuto 34 anni. E da lunedì prossimo, 3 ottobre, sarà sottoposta a un intervento conservativo di restauro per riportarne i bronzi all'originario splendore: parliamo della Risurrezione di Pericle Fazzini (1913-1987), il grande Cristo dell'Aula Paolo VI, inaugurato dallo stesso Papa Montini il 28 settembre 1977.
Sotto il suo sguardo si sono svolte udienze generali e incontri di preghiera durante ben quattro pontificati: da Paolo VI a Giovanni Paolo I, da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI.
Pur essendo in buono stato, la monumentale scultura -- posta sulla parte retrostante il trono dell'aula progettata dall'architetto Pier Luigi Nervi (1891-1979) -- necessitava di una pulizia approfondita. E il Governatorato per lo Stato della Città del Vaticano, competente in materia, ha incaricato della realizzazione la società Fonderia d'arte 2000.
Il calendario degli interventi -- che saranno possibili anche grazie al sostegno dell'onlus associazione Unione di promozione cristiana -- prevede circa due mesi di lavoro: a partire da lunedì prossimo, infatti, verrà issato il ponteggio; quindi seguiranno le operazioni di pulitura meccanica, risciacquo, trattamento di conservazione e equilibratura cromatica, fino alla conclusione prevista per il prossimo 9 dicembre. La procedura sarà conforme a quelle in uso presso i Musei Vaticani e nelle istituzioni ufficiali italiane operanti nel settore.
Nell'opera -- lunga venti metri, alta sette e il cui peso si aggira sui trecento quintali -- Fazzini ha offerto un'originale e affascinante interpretazione artistica della Risurrezione, raffigurando «un Cristo -- come scriveva «L'Osservatore Romano» sulla prima pagina di giovedì 29 settembre 1977, nel resoconto dell'udienza generale inaugurale -- che risorge da un sepolcro sito nell'orto degli ulivi, mentre la terra viene squassata dall'enorme temporale che flagella il mondo in questo tremendo momento: un volto straordinariamente sereno, due braccia protese per un abbraccio, quasi a voler ricomprendere l'umanità per restituirle quel senso di amore che sembra irrimediabilmente smarrito».
Durante il restauro un telo riproducente la stessa immagine artistica dividerà l'area dei lavori dal resto dell'Aula.
Per esigenze tecniche invece non si è potuta realizzare l'affascinante ipotesi di riproporre il grande e pregevole arazzo della scuola di Raffaello, raffigurante anch'esso la Risurrezione di Cristo, che venne usato per sette anni dall'inaugurazione dell'Aula, il 30 giugno 1971. Per gli amanti delle curiosità: in quella stessa circostanza vennero anche esibiti per la prima volta i nuovi costumi viola scuro dei sediari pontifici -- disegnati da Massimo Sansolini -- in sostituzione della vecchia uniforme in damasco rosso.

(©L'Osservatore Romano 2 ottobre 2011)

Nel cantiere dell'artista marchigiano

Spinto dal vento a tuffo nel cielo

Fazzini terminò la sua opera nel 1975. Pochi mesi prima, mentre ancora era al lavoro, ricevette la visita di un amico, celebre poeta, che poi raccontò quell'incontro. Riportiamo alcuni stralci di quel ricordo che venne pubblicato nel catalogo (Roma, Libreria dello Stato e Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1994), curato da Giuseppe Appella, della mostra «Pericle Fazzini» allestita a Parigi nella basilica del Sacro Cuore.

di Leonardo Sinisgalli

Per prepararmi al sopralluogo, che mi aveva promesso, nel cantiere della grande Opera a cui lavora ancora per le finiture, sono sceso la sera prima, sotto casa, nella chiesa di Sant'Eugenio a Valle Giulia, dove ricordavo di aver visto montare i due arditissimi corpi volanti dell'Angelo che incorona Santa Maria Cabrini: l'omaggio più vistoso fatto dallo scultore, vent'anni fa, al barocco romano.
Conviene riflettere sulla sua religiosità così intrisa di paure, di estasi. Essa ci fa ricordare i suoi ammirati e amati maestri, Scipione e Ungaretti, due nomi che lui ripeterà sempre con devozione. Manzù è più cinico e opportunista; più devoto di Maria che di Cristo. Il cattolicesimo di Ungaretti, di Scipione, di Visconti Venosta, a cui attinge inconsciamente anche Fazzini, si potrebbe dire di ispirazione pascaliana. E religione del dolore e della pietà, è accettazione della pena e del castigo, è una fede che fa poco posto al pentimento e più all'espiazione, non vuole compromessi, implora la giustizia divina più che la sua misericordia. Manzù è nato ed è rimasto uomo di Chiesa; Pascal, Ungaretti, Scipione, Fazzini, sono uomini di mondo che meno di Manzù si fidano della mediazione di Maria e dei Santi necessaria a tanti poveri di spirito e deboli di cuore.
Nella chiesetta sconsacrata di San Lorenzino in Piscibus, da quattro anni tutti i pomeriggi, aiutato da una squadra di formatori della tv, Fazzini lavora, dalle quattro alle nove, a preparare il prototipo a grandezza naturale del suo Cristo Risorto. Il modello in polistirolo è compiuto, «mancano pochi colpi di lima». In verità si tratta (con l'aiuto delle cosiddette chiavi elettriche) di sbucciare qua e là ancora per qualche millimetro il corpo centrale. Qui ho visitato Fazzini una mattina. E mi sono ricordato un suo pensiero, scritto in uno di quei libretti che lo seguono nel lavoro e nel riposo, perché, come Leonardo, li tiene attaccati alla cintola: «A Roma mi impressionarono da giovane le sculture barocche, poi finii col fare statue alla Rodin. Mi interessava quel senso fisico, di pelle sulle costole, il quale mi dava la sensazione che le statue stessero respirando la nostra aria».
«Che bella luce -- esclama -- non ci sono capitato quasi mai di mattina», e mi accompagna verso i punti di vista più giusti. Accende anche le lampade piazzate sulle pareti laterali e al soffitto: «Abbiamo lavorato sempre a luce artificiale e a una temperatura da forno crematorio. Il polistirolo si affetta al rosso come una polenta». Guardo l'immensa composizione, venti metri di lunghezza per sette metri di altezza, spessore di due o tre metri. Bianca, sporca, cavernosa, intricata: «Devi fare uno sforzo per dimenticare questo orribile simulacro di macrocellule fornite dalla nuova chimica delle resine -- mi dice -- Devi guardare l'opera nelle peggiori condizioni, devi riuscire a vedere la forma avulsa da questa materia repellente».
Ma la difficoltà dell'impatto scompare; dopo qualche minuto di assuefazione al fantasma bianco, le pupille trovano per incanto l'apertura giusta. Non vedo più la massa di materiale fittizio ma i suoi contorni, il suo involucro, la sua dinamica, vedo questa grande apparizione come un miraggio, come fosse fatta di fluido soffiato e sospeso, di piani trasparenti, di tratti, di superfici soltanto virtuali. Fazzini mi legge via via le diverse stratificazioni dal basso in alto, e dal primo piano della facciata ai successivi. «È una grotta», dico. Poi mi correggo: «È un ventaglio», e, infine, «c'è uno scoppio». «La terra tremò, sta scritto nel Vangelo, quando Cristo morì», dice Fazzini, «ma io ho immaginato la risurrezione, dall'uliveta, successiva a una catastrofe: Cristo vola spinto dal vento, si libera dal velo mortuario, si trasforma da cadavere in uccello».
Continua, e sembra quasi in trance: «Cristo risorto dalle rovine è come se invocasse una ricaduta, non vuole considerare il suo abbraccio col Padre come un addio agli uomini». Mette in moto un carrello fornito di ascensore, mi fa salire con lui in cabina, lo comanda e lo muove con pochi bottoni; ecco siamo già a ripercorrere lentamente dal basso in alto, dai piedi alla testa, alle mani (lo vedo bene da vicino, ora: la testa è di una sessantina di centimetri, le mani di una quarantina) tutta la figura del Cristo «mezzo mummia e mezzo condor». «Mi sono attenuto a una iconografia tradizionale», mi dice, «non ho voluto strafare, non ho voluto stilizzare. Che ne dici?». «Dico che è bello, che è un bel Cristo, sembra che sotto la tunica ci siano i blue-jeans, l'hai fatto spiritato, positivo, matto, un poeta, un misto di Bob Dylan e di Rimbaud, l'hai fatto strafottente e volpino, nient'affatto vendicativo, severo come il Cristo della Cappella Sistina o quello di Borgo San Sepolcro».
Mi mostra ora a freddo le parti costitutive dell'Opera, il primo strato di roccia di radici, il secondo dei tronchi di ulivo, il terzo dei rami e delle foglie, il quarto delle nuvole, il quinto delle saette. La composizione è aperta a ventaglio o a coda di pavone: nel centro in alto, lungo quattro metri e mezzo, si allunga e scatta in volo, staccato un paio di metri da terra, il Corpo seminudo che si lancia come un tuffo nel cielo. «È stata una fatica cucire tutte queste parti, tenerle infilate una all'altra». Quando sarà decisa la gara fra i fonditori, una diecina (si parla di un costo della fusione di qualche centinaio di milioni), si taglierà la massa in pezzi numerati che saranno fusi uno alla volta e poi saldati per ricomporre l'unità.
Il materiale sarà una miscela di bronzo e ottone, non una lega come avevo pensato erroneamente; si tratta di far colare insieme i metalli fusi, nelle forme, da due crogiuoli. Fazzini mi dice che il Fucilato del '45 aveva braccia di bronzo gambe di ottone; anche la Fontana all'Eur, a Roma, è fusa in pezzi separati distinti, bronzo oppure ottone. Solo da qualche anno ha preferito la miscela doppia (nei due o tre Cavalli rampanti, nella Porta della Chiesa sull'Autostrada, nel Monumento alla Resistenza di Ancona) che dà profondità e fulgori misteriosi alle superfici. «Ci vorranno -- dice -- trecentocinquanta quintali di mélange e un paio d'anni di lavoro di fonderia e di assemblaggio». «Ma non doveva essere pronta per L'Anno Santo?». «L'uomo propone, Dio dispone», mi risponde.
Gli chiedo dei suoi rapporti con Nervi. Fa finta di non sentire. Come si sa la scultura andrà a ornare la nuova grande Sala progettata e costruita da Pier Luigi Nervi in Vaticano e inaugurata qualche anno fa. Fazzini, per stabilire l'ingombro fece costruire una gigantografia che fu piazzata nell'aula e sulla quale furono apportate modifiche suggèrite dalla prova. Mi mostra anche un modellino dell'opera, di neppure un metro di fronte. «Sembra un lavoro di oreficeria, di chincaglieria pop -- dico -- più che di scultura; c'è un predominio del vuoto sul pieno e del caso sul calcolo. L'inno di gioia è rauco, strozzato». «I poemi lunghi -- mi risponde -- comportano la necessità della non-poesia, bisogna avere il coraggio dell'impurità. È già tanto se i contrari riescono a bilanciarsi. Se no finiamo col contentarci di un sospiro, di un vagito».
Fazzini ce l'ha con i suoi vecchi amici che continuano a parlare soltanto dei suoi miracoli giovanili, il Ritratto di Ungaretti che sta alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, il Ritratto di Anita sua moglie. Sono due pezzi celeberrimi, che insieme ad altri, pure famosi, fecero colpo sugli intenditori e sui collezionisti stranieri, americani e giapponesi. Ma Fazzini ha affrontato anche le grandi opere senza chiedere ausilio alla retorica. E mi fa venire in mente uno scrittore geniale, Giovanni Comisso, che si illudeva di poter scrivere romanzi con le risorse della prosa lirica. Pure nei romanzi di Giovanni Comisso ci sono pagine stupende, così come ci sono bellissimi brani nei vasti poemi celebrativi di Fazzini.
Non dobbiamo dimenticare che egli è riuscito con alcuni capolavori (di cui diversi in legno: la sua materia materna e paterna si potrebbe dire, ricordando la sua infanzia nella bottega del padre) a farci amare la scultura e forse anche a capirla.

(©L'Osservatore Romano 2 ottobre 2011)

Il discorso di Paolo VI all'inaugurazione nell'Aula Nervi

Affidiamo a questa immagine la nostra voce

Il 28 settembre 1977, nel corso dell'udienza generale del mercoledì, Paolo VI inaugurò la grande scultura del Cristo risorto di Fazzini. Pubblichiamo il discorso che il Papa pronunciò per l'occasione.

Oggi noi parleremo in questa aula, che noi abbiamo fatto costruire per accogliere i visitatori, che da ogni parte affluiscono alla sede di Pietro, e desiderano incontrarsi con l'umile e vivente suo successore, il quale ne continua la missione affidata al primo degli Apostoli, quella d'essere «il principio e il fondamento perpetuo e visibile della unità della fede e della comunione» (Lumen gentium, n. 18). Ma non parleremo se non della monumentale ed unica figura, quella di Gesù Cristo risorto, vivente e benedicente, che domina questa sala, e che noi oggi inauguriamo, opera dello scultore Pericle Fazzini: essa dice quale sia la testimonianza affidata al ministero apostolico, essere quel Gesù, ch'è stato crocifisso, costituito Signore e Cristo (Act., 2, 36), testimonianza che qui il successore di Pietro con certezza e con umiltà di fede vuole proclamare.
Sì, noi vogliamo affidare a questa immagine la nostra voce, semplice e limpida nella enunciazione delle parole e dell'immagine che la vuole esprimere, ma quasi soffocata dal loro esuberante significato reale (cfr. S. Th., ii-ii-i-2 ad 2). Gesù è la via, la verità e la vita (Io., 14, 6). Gesù è la luce del mondo (Io., 8, 12; 9, 5). Gesù è il Pane della vita (Io., 6, 48). Gesù è il Pastore buono (Io., 10, 11-14). Gesù è il Figlio dell'uomo (Mt., 16, 13; 25, 31; 26, 24), è il figlio di Maria (Mt., 13, 55), è il figlio di Dio (Mt., 14, 33; 26, 64; Io., 9, 35); Gesù è l'alfa e l'omega (Apoc., 22, 13).
Noi vogliamo attestare, a voi Figli e Fratelli, e a quanti della gloria e della speranza del nome cristiano sono rivestiti nel mondo, che Cristo ancor oggi, è nella storia del mondo ancor oggi più che mai, Cristo è vivo Cristo è reale. Vivo e reale, non nella penombra del dubbio e dell'incertezza, non nell'interpretazione vanificante d'un razionalismo miope e orgoglioso, che lo coarta nella misura dei fenomeni comprensibili, e tutt'al più singolari e sfuggenti alle proporzioni ordinarie della naturale intelligibilità; ma vivo e reale nell'eccedente dimensione del suo Essere divino, che solo la fede ammette esultante, spaziando nel mistero da Lui stesso proclamato e documentato (cfr. Io., 10, 38).
Cristo è presente. Il tempo non lo contiene e non lo consuma. La storia si evolve e può assai modificare la faccia del mondo. Ma la sua presenza la illumina rivelandone come a Sé dovute le sapienti bellezze, e, penetrandone i vuoti abissali con riparatrice misericordia ch'Egli solo può effondere. Egli è il gaudio della terra (cfr. Io., 3, 29); Egli è il medico d'ogni umana infermità (Io., 8, 7). Egli si personifica in ogni uomo che soffre; finché sarà il dolore sulla terra, Egli se ne farà propria immagine per suscitare la energia della compassione e del generoso amore (Mt., 25, 40). Gesù perciò è sempre e dappertutto presente.
E ciascuno lo può di sé. Perché come è vero che Gesù Cristo è, per il disegno salvifico universale, che in Lui si compie (cfr. Eph., 1-2), il centro dell'umanità, il «Figlio dell'uomo» per eccellenza, è pur vero ch'Egli è il Maestro, il Fratello, il Pastore, l'Amico d'ognuno dei suoi, il Salvatore d'ogni singola creatura umana, che abbia la fortuna d'essere da Lui associato come cellula del corpo mistico, di cui Egli è il capo. Ciascuno è autorizzato a chiamarlo per nome, non come personaggio estraneo, lontano e inaccessibile, ma come il «Tu» del supremo ed unico amore, come lo Sposo della propria felicità (cfr. Mt., 9, 15; Apoc., 22, 17), che misteriosamente è più vicino di quanto ciascuno che lo cerchi può immaginare, come è stato detto: «Consolati, tu non mi cercheresti, se già non mi avessi trovato» (Pascal, Le mystère de Jésus; Sant'Agostino, Confessioni, x; c. 18).
E che questa presenza trascendente e immanente di Cristo sia qui rappresentata è bello, a nostro avviso, è significativo, è istruttivo, perché questa aula, come una sala d'aspetto in una stazione di partenza, come una scuola delle verità, elementari o sublimi che siano, in ogni caso «verità vere», necessarie alla vita, è vicina, quasi un'appendice, alla tomba di San Pietro, il «pescatore di uomini» (Mt., 4, 19), il Pastore primo incaricato dal Pastore buono Cristo Gesù (Io., 21, 15; 10, 11); l'Apostolo, a cui sono affidate «le chiavi del regno dei cieli» (Mt., 16, 19).
Da ricordare, con la nostra Apostolica Benedizione.

(©L'Osservatore Romano 2 ottobre 2011)

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