venerdì 21 ottobre 2011

Laicità creativa. Nuova evangelizzazione e politica (Rino Fisichella)

Nuova evangelizzazione e politica

Laicità creativa

Pubblichiamo stralci dell’intervento dell’arcivescovo presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione tenuto a Roma nel pomeriggio del 20 ottobre in un dibattito con l’onorevole Pierluigi Bersani, deputato italiano e segretario del Partito democratico. All’incontro, moderato da Piero Schiavazzi, erano presenti, tra gli altri, Francesco Maria Greco, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, i cardinali Coppa e Re, e il direttore del nostro giornale.

Rino Fisichella

Un titolo come questo si presta a diverse possibili interpretazioni. Potrebbe essere trattato, ad esempio, da un punto di vista accademico; ciò significa determinare l’uso della conoscenza che si ha tramite la ragione in rapporto alla conoscenza che deriva dalla fede. Lo stesso termine, comunque, è utilizzato in ambito politico; in questo caso, laicità assume il valore di un impegno da parte del legislatore di giungere ad assumere decisioni che non siano determinate da una particolare confessione religiosa. Più di recente, comunque, sembra che il richiamo alla laicità sia fatto sempre più spesso in riferimento alla Chiesa cattolica, per la sua pretesa di intervento nel dibattito politico su questioni di ordine etico. In questo contesto, diventa urgente una chiarificazione. In riferimento alla laicità, infatti, lo Stato afferma che in quanto laico non pone la religione a fondamento legislativo dei propri atti, perché riconosce la dovuta separazione tra i due ambiti. Nello stesso tempo, tuttavia, in forza del richiamo alla propria identità laica, non può negare né archiviare la religione; al contrario, è obbligato a riconoscerne la presenza e la funzione perché essa è preesistente al suo stesso affermarsi e organizzarsi come Stato.
Prescindere da questa considerazione equivarrebbe a non poter spiegare il fatto, ad esempio, della formazione dei partiti all’interno dello Stato democratico che si sono richiamati direttamente ai principi del cristianesimo. Questo stato di cose, come si nota, mostra con evidenza quanto la concezione della laicità dello Stato presupponga che all’interno della società vi sia una presenza religiosa che svolga un legittimo impegno politico quando vuole perseguire delle finalità che sono espressione della propria fede, senza per questo dover essere accusata di ingerenza negli affari dello Stato o, al contrario, vedere emarginata e discriminata la sua azione. Uno Stato che dovesse perseguire una simile politica nei confronti della religione si porrebbe immediatamente fuori dal sistema di laicità a cui intende richiamarsi e negherebbe la sua stessa storia democratica.
Questa mia posizione viene confermata e forse ancora di più oltrepassata dalla recente sentenza della Grande Chambre della Corte Europea di Strasbourg dello scorso 18 marzo. Con 15 voti contro 2 è stato decretato che l’esposizione del Crocifisso nelle scuole pubbliche italiane non costituisce violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. I 15 giudici hanno affermato in maniera innovativa che laicità è una convinzione filosofica e ideologica, quindi non è neutra; anch’essa, come altre convinzioni, è una credenza che ha pari dignità delle altre. Uno Stato che sostenesse la laicità in contrapposizione alla religione non sarebbe neutrale. Nel caso specifico, quindi, il pluralismo dell’educazione pubblica non implica la neutralità confessionale, perché lo Stato deve solo garantire che non ci sia indottrinamento attraverso quel simbolo.
Queste considerazioni servono come premessa per indicare che il tema della laicità si presta a diverse interpretazioni. In effetti, io non parlerei di questo tema nello stesso modo in Francia, in Spagna, in Germania o in altri Paesi europei o dell’occidente. Non perché ne manchi l’opportunità, ma perché l’Italia con la sua storia rappresenta un ambito del tutto peculiare quando si tratta questa tematica. Dimenticare che qui convivono lo Stato Italiano e lo Stato della Città del Vaticano, con tanti rispettivi ambasciatori internazionali; non considerare la storia con l’alternanza dei loro rapporti proprio in occasione dei 150 anni dell’unità di questo Paese; oppure misconoscere la tradizione politica di decenni che ha visto la presenza di un partito di cattolici e di un partito comunista confrontarsi e cercare il consenso per governare il Paese insomma, trascurare tutto questo sarebbe ingenuo e poco efficace e non permetterebbe di avere del rapporto fra laicità e religione la visione coerente. Non si può dimenticare, da ultimo, per arrivare fino ai nostri giorni, che a differenza del passato, oggi la presenza dei cattolici si è frantumata in diversi partiti e per l’antico partito comunista nel suo processo di revisione e palingenesi la sorte non è stata differente. Le ambedue realtà politiche più rappresentative sono vittime della frammentarietà che domina sovrana, impedendo di vedere all’orizzonte la soluzione per una nuova struttura dello Stato che consenta per il futuro un progetto di stabilità e genuina formazione civile e sociale delle nuove generazioni.
A questo complesso organigramma, si aggiunga che, a differenza del passato, sorgono oggi in maniera sempre più pressante nuove questioni; ad esempio, la domanda religiosa in questo decennio sembra riaffermarsi con maggior intensità anche come una forma di nostalgia per valori perduti, nonostante espressioni di indifferenza e agnosticismo; le scoperte della scienza e la tecnologia che, entrate direttamente nella progettazione della vita umana, provocano nuovi interrogativi circa il senso della vita e delle stesse scoperte scientifiche. In una parola, la «biopolitica» non è più una chimera, è diventata la realtà. La sentenza di mercoledì della Corte Europea di Giustizia con la quale si vietano i brevetti per le terapie basate su distruzione di embrione, non fa che confermare un nuovo orientamento, propriamente «laico» della problematica, oltre i conflitti politici. Dinanzi a tutti questi nuovi fenomeni, le forze che su questi temi nel passato avrebbero potuto facilmente convergere verso soluzioni condivise con molta più facilità, per una visione della società alla fin fine comune nei suoi fondamenti, oggi si trovano invece pressoché agli antipodi e questo certamente non per un modificato insegnamento della Chiesa in proposito, ma per una deriva culturale relativista che molti purtroppo hanno fatto propria, spesso inconsciamente.
In questo nostro contesto, non per amore di novità — anche perché ritengo che il termine laicità non abbia bisogno di qualificazioni — ma solo per esplicitare al meglio il mio pensiero, vorrei cercare se fosse possibile proporre il concetto di «laicità creativa», per verificare se una tale visione può aiutare a uscire dalle secche in cui spesso ci si trova e prospettare un cammino comune nel rapporto tra Stato e Chiesa. La debolezza della politica è frutto della debolezza di una società disorientata, paurosa e priva di idealità; queste non possono venire solo dalla politica, perché sono frutto di una sinergia di impegno tra quanti comprendono la drammaticità del momento e non rimandano a visioni nostalgiche del passato o utopiche del futuro. Quanto è richiesto è l’assunzione di responsabilità oggi, ognuno da parte sua, per giungere a una visione condivisa e partecipata di un progetto da trasmettere a chi verrà dopo di noi. Se la Chiesa richiama a questo impegno è fedele alla sua missione e contribuisce alla vita del Paese.
Nessuno, forse, ha la soluzione pronta. Tuttavia, il richiamo a riconoscere che nell’agire politico si deve riconoscere di non essere il demiurgo di turno, ma sempre e solo interprete di un diritto ben più antico e profondo, radicato nella stessa legge della natura, allora questa è laicità creativa che richiede di aggregare consenso oltre le diversità mediante una più forte razionalità politica. Se, però, si teorizza un pensiero debole e si vive la frammentarietà, allora è improbabile che nasca una forte razionalità politica in grado di essere progettuale. Questo spiega perché la Chiesa deve parlare con tutti e in tutte le sedi, perché la promozione e la difesa di valori secolari non sono un regalo fatto ai cattolici o alle loro gerarchie, ma un’attenzione permanente all’uomo e alla sua storia.
Un autore anonimo scrive: «L’immagine di Dio non è impressa sull’oro, ma sul genere umano. La moneta di Cesare è oro, quella di Dio è l’umanità» (Opus imperfectum in Matthaeum, omelia 42). Questa immagine di Dio, porta con sé un impegno concreto e testardo nei confronti di quei principi che nessuno può sovvertire. Questi permangono come non negoziabili nel rapporto con lo Stato perché sono a fondamento di un’immagine impressa che va oltre la nostra volontà e desiderio di scendere a patti. Questi principi sono a fondamento di ogni altro impegno a favore dell’uomo nel suo vivere sociale; ogni tentativo di volerli limitare o modificarne l’ordine gerarchico non sarebbe privo di conseguenze per il corretto impegno dei cattolici nella politica.
Insomma, per concludere, laicità significa certo esprimere le proprie opinioni e insegnamenti in piena libertà; rispettarli nella loro differenza è doveroso, non condividerli lecito, deriderli è triste, boicottarli penoso, rimanervi indifferente un affronto che la democrazia non merita.

(©L'Osservatore Romano 22 ottobre 2011)

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