venerdì 25 marzo 2011

Cortile dei Gentili, card. Ravasi: “Ricerca” e “dialogo”: sono i “due termini fondamentali” nei quali “potrebbe essere riassunta” la “sigla simbolica di questo incontro”

CORTILE DEI GENTILI: CARD. RAVASI ALLA SORBONNE, “RICERCA” E “DIALOGO”

“Ricerca” e “dialogo”: sono i “due termini fondamentali” nei quali “potrebbe essere riassunta” la “sigla simbolica di questo incontro”.
Così questa mattina a Parigi il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, nel saluto rivolto ai partecipanti all’evento che presso l’Université Sorbonne ha aperto la seconda giornata del “Cortile dei Gentili”, due giorni di incontro e dialogo tra credenti e non credenti nell’ambito dell’iniziativa voluta da Benedetto XVI e organizzata dal dicastero vaticano. “Il primo vocabolo - ha spiegato il card. Ravasi, è 'ricerca', sulla scia del monito” contenuto “nell’Apologia di Socrate in cui Platone metteva in bocca al suo maestro questa frase illuminante: 'Una vita senza ricerca non val la pena di essere vissuta'”. Per il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, “il termine stesso 'credente' non indica chi ha creduto una volta per tutte, ma chi — obbedendo al participio presente del verbo — rinnova il suo Credo incessantemente”. Di qui il richiamo ad una battuta con la quale “un grande e originale personaggio della cultura francese, Julien Green”, rispose alla domanda del porporato “sul nodo ideale che teneva insieme la sua fede”: “Finché si è inquieti, si può stare tranquilli”. “È appunto – commenta il card. Ravasi - l’inquietudine viva e fremente della ricerca”.
Sull’evento odierno, secondo il card. Ravasi, “aleggia” tuttavia anche “un’altra parola decisiva”, “strutturale al Cortile dei Gentili”. Si tratta del termine “dialogo” che, spiega, significa l’uso “condiviso” della “ragione”. Emblematico al riguardo “il titolo del nostro incontro: 'Lumières, religions, raison commune'”. Un confronto “che dev’essere condotto con libertà e rigore, senza esclusivismi radicali o sincretismi facili, accettando la sfida di inoltrarsi in terreni ignoti e anche di approdare a porti reciprocamente distanti. Nessuno, però, degli interlocutori uscirà indenne da un simile dialogo serio e fecondo”. Di qui l’avvertimento conclusivo: “Con semplicità e senza grandi pretese i dialoghi, come quello che ora iniziamo, potrebbero offrire il silenzio luminoso della riflessione e il calore della speranza”.

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