Benedetto XVI, nella Repubblica di San Marino, chiede di tornare alla fede di fronte a modelli edonistici che ottenebrano la mente. All’Angelus sollecita condizioni degne per tutti i rifugiati
Benedetto XVI oggi in visita nella diocesi di San Marino-Montefeltro. Per la seconda volta - a quasi 30 anni dallo storico viaggio di Giovanni Paolo II - un Papa è giunto nella più antica Repubblica del mondo, accolto dalle autorità ecclesiali e civili e con tanta gioia da migliaia di fedeli, 22 mila, arrivati anche dalle regioni vicine, raccolti nello Stadio di Serravalle per la Santa Messa e l’Angelus. 25 i cardinali e i vescovi e più di 200 i sacerdoti concelebranti. Tornate alla fede, la vostra vera ricchezza - ha detto il Santo Padre ai sanmarinesi - di fronte “a modelli edonistici che ottenebrano la mente e rischiano di annullare ogni moralità”. Il Papa ha poi chiesto all’Angelus di garantire in tutto il mondo “degne condizioni di vita ai rifugiati”. La parola al nostro inviato, Salvatore Sabatino:
Un suono di campane diffuso da tutte le chiese della Repubblica. Così, in un clima di grande festa, è stato accolto Benedetto XVI questa mattina a San Marino. Era atteso davvero da tutti, da tanto tempo; ed oggi i fedeli di questa diocesi hanno voluto abbracciarlo attraverso una straordinaria partecipazione popolare: circa 22mila le persone presenti nello Stadio di Serravalle. E’ la più antica repubblica del mondo, San Marino; un piccolo Stato che affonda le sue gloriose radici nella cristianità. Lo ricorda lo stesso vescovo della diocesi di San Marino-Montefeltro, mons. Luigi Negri, che nell’indirizzo di saluto, all’inizio della Messa, parla di questa Chiesa particolare, che vive da oltre 1700 anni, nata dall'evangelizzazione che due Santi, Marino e Leone provenienti dalla Croazia, hanno iniziato fra questi monti. Proprio a questa evangelizzazione si deve, poi, la nascita anche di quella straordinaria esperienza di società, che caratterizza la storia della Repubblica del Titano.
Una Chiesa, questa, che ha vissuto una singolarissima predilezione verso la Madre del Signore, e la cui fede è stata, lungo i secoli, la grande ricchezza di questa popolazione. Fino a quando, però, non si è estesa su di essa l'ala fredda e nera della cultura del sospetto. E cosi – afferma mons. Negri – queste popolazioni hanno visto perduta o fortemente ridotta la forza della fede. Ecco, dunque, l’importanza dell’impegno della Chiesa, che sta cercando di recuperare l’identità di questo popolo cristiano:
Ella, Santità, saprà accogliere questo tentativo che stiamo vivendo, correggerne le eventuali difficoltà, saprà confermarci nella nostra identità e nell'impeto missionario che solo può dare un contributo alla ripresa della vita sociale. Santità attendiamo con gratitudine e commozione la sua parola chiarificatrice, correttiva e confortatrice. Ma soprattutto Santità ci aiuti a crescere nella fede. Abbia compassione di noi e ci benedica. (applausi)
Un appello al quale il Pontefice risponde durante l’omelia, assicurando la sua vicinanza a tutta la comunità, e a cui unisce l’incoraggiamento a perseverare nella testimonianza dei valori umani e cristiani, così profondamente radicati nella fede e nella storia di questo territorio e della sua popolazione.
Ricorda, il Pontefice, la Festa della Santissima Trinità, che si celebra oggi. La liturgia di oggi - spiega - attira la nostra attenzione sulla realtà di amore che è contenuta in questo primo e supremo mistero della nostra fede. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono uno, perché Dio è amore: il Padre dà tutto al Figlio; il Figlio riceve tutto dal Padre con riconoscenza; e lo Spirito Santo è come il frutto di questo amore reciproco del Padre e del Figlio.
I testi della Santa Messa di oggi parlano di Dio e perciò parlano di amore: non si soffermano tanto sul Mistero delle tre Persone, ma sull’amore che ne costituisce la sostanza e l’unità e trinità nello stesso momento.
E per evidenziare l’amore di Dio, Benedetto XVI ricorda, poi, il brano tratto dal Libro dell’Esodo, in cui si racconta che si è appena concluso il patto di alleanza presso il monte Sinai, e già il popolo manca di fedeltà a Dio. L’assenza di Mosè si prolunga e il popolo chiede ad Aronne di fare un Dio che sia visibile, accessibile, manovrabile, alla portata dell’uomo. Aronne acconsente e prepara un vitello d’oro. Scendendo dal Sinai, Mosè vede ciò che è accaduto e spezza le tavole dell’alleanza su cui erano scritte le “Dieci Parole”, il contenuto concreto del patto con Dio. Tutto sembra perduto, eppure, nonostante questo gravissimo peccato, Dio, per intercessione di Mosè, decide di perdonare; invita Mosè a risalire sul monte per ricevere di nuovo la sua legge, i Dieci Comandamenti. Mosè chiede allora a Dio di rivelarsi. Ma Dio non mostra il volto, rivela piuttosto il suo essere pieno di bontà, dicendo: «Il Signore, Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà». Questa auto-definizione di Dio – sottolinea il Papa – manifesta il suo amore misericordioso: un amore che vince il peccato, lo copre, lo elimina.
Noi abbiamo un Dio che rinuncia a distruggere il peccatore e che vuole manifestare il suo amore in maniera ancora più profonda e sorprendente proprio davanti al peccatore per offrire sempre la possibilità della conversione e del perdono.
Il Vangelo completa questa rivelazione – sottolinea poi Benedetto XVI – perché indica fino a che punto Dio ha mostrato la sua misericordia. L’evangelista Giovanni riferisce l’espressione di Gesù: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». Una frase dalla quale emerge che nel mondo c’è il male, c’è egoismo, c’è cattiveria e Dio potrebbe venire per giudicare questo mondo, per distruggere il male, per castigare coloro che operano nelle tenebre. Invece – afferma Benedetto XVI – egli mostra di amare il mondo, di amare l’uomo, nonostante il suo peccato, e invia ciò che ha di più prezioso: il suo Figlio unigenito, facendone dono al mondo. Ed è sulla croce che l’amore misericordioso di Dio giunge al culmine. Nel mistero della croce, sono presenti le tre Persone divine: il Padre, che dona il suo Figlio unigenito per la salvezza del mondo; il Figlio, che compie fino in fondo il disegno del Padre; lo Spirito Santo – effuso da Gesù al momento della morte – che viene a renderci partecipi della vita divina, a trasformare la nostra esistenza, perché sia animata dall’amore divino.
Benedetto XVI, quindi, torna poi a tracciare l’antico percorso di fede che caratterizza questa diocesi:
La ricchezza di questo popolo, la vostra ricchezza, cari Sammarinesi, è stata ed è la fede, e che questa fede ha creato una civiltà veramente unica. Accanto alla fede, occorre poi ricordare l’assoluta fedeltà al Vescovo di Roma, al quale questa Chiesa ha sempre guardato con devozione ed affetto; come pure l’attenzione dimostrata verso la grande tradizione della Chiesa orientale e la profonda devozione verso la Vergine Maria. La vostra missione – aggiunge il Papa – si trova a dover confrontarsi con profonde e rapide trasformazioni culturali, sociali, economiche, politiche, che hanno determinato nuovi orientamenti e modificato mentalità, costumi e sensibilità.
Anche qui, infatti, come altrove, non mancano difficoltà e ostacoli, dovuti soprattutto a modelli edonistici che ottenebrano la mente e rischiano di annullare ogni moralità. Si è insinuata la tentazione di ritenere che la ricchezza dell’uomo non sia la fede, ma il suo potere personale e sociale, la sua intelligenza, la sua cultura e la sua capacità di manipolazione scientifica, tecnologica e sociale della realtà.
Fa poi cenno, il Pontefice, alla crisi di non poche famiglie, aggravata dalla diffusa fragilità psicologica e spirituale dei coniugi, come pure la fatica sperimentata da molti educatori nell’ottenere continuità formativa nei giovani, condizionati da molteplici precarietà, prima fra tutte quella del ruolo sociale e della possibilità lavorativa.
Esorto tutti i fedeli ad essere come fermento nel mondo, mostrandovi sia nel Montefeltro che a San Marino cristiani presenti, intraprendenti e coerenti.
Rivolgendosi, inoltre, ai sacerdoti, religiosi e religiose, il Papa auspica che vivano sempre nella più cordiale e fattiva comunione ecclesiale, aiutando ed ascoltando il pastore diocesano. Anche presso di voi – sottolinea il Santo Padre – si avverte l’urgenza di una ripresa delle vocazioni sacerdotali e di speciale consacrazione: faccio appello alle famiglie ed ai giovani, perché aprano l’animo ad una pronta risposta alla chiamata del Signore. Ai laici, invece, giunge l’appello del Papa, affinché si impegnino attivamente nella Comunità così che, accanto ai peculiari compiti civici, politici, sociali e culturali, possano trovare tempo e disponibilità per la vita pastorale. Ai Sammarinesi tutti, invece un appello importante:
Rimanete saldamente fedeli al patrimonio costruito nei secoli sull’impulso dei vostri grandi Patroni, Marino e Leone.
All’Angelus, recitato sempre nello Stadio di Serravalle, Benedetto XVI ricorda la beatificazione, oggi a Dax, in Francia, di Suor Marguerite Rutan, Figlia della Carità, che nella seconda metà del diciottesimo secolo lavorò con grande impegno nell’Ospedale di Dax, ma che nelle tragiche persecuzioni seguite alla Rivoluzione, fu condannata a morte per la sua fede cattolica e la fedeltà alla Chiesa. Il Papa, infine, ricorda che domani ricorre la Giornata Mondiale del Rifugiato e che quest’anno si celebra il sessantesimo anniversario dell’adozione della Convenzione internazionale che tutela quanti sono perseguitati e costretti a fuggire dai propri Paesi.
Invito quindi le Autorità civili ed ogni persona di buona volontà a garantire accoglienza e degne condizioni di vita ai rifugiati, in attesa che possano ritornare in Patria liberamente e in sicurezza.
Densa di appuntamenti proseguirà nel pomeriggio la visita di Benedetto XVI nella diocesi di San Marino-Montefeltro, che in parte versa in territorio italiano. Dopo il pranzo nella Casa San Giuseppe, a Valdragone, dove incontrerà gli organizzatori locali della visita e i membri della Fondazione internazionale Giovanni Paolo II, il Papa raggiungerà alle 16.30 la piazza della Repubblica di San Marino, dove sarà accolto dai Capitani reggenti, per poi entrare con loro nel Palazzo pubblico, dove lo attenderanno i membri del Governo, del Congresso e del Corpo diplomatico. Quindi alle 18 raggiungerà la Basilica di San Marino, per poi trasferirsi in elicottero a Pennabilli, dove visiterà la cattedrale e incontrerà i giovani della diocesi nella piazza Vittorio Emanuele. Infine il congedo e il rientro in Vaticano previsto alle 21.
Grande attesa, dunque, in particolare per l’incontro con i 4 mila giovani. Tra questi Marco Angeloni, descriverà al Papa i timori e le speranze di una generazione pressata da molte contraddizioni, come spiega al microfono di Salvatore Sabatino.
“Io ho chiesto al Signore di aiutarmi a presentare al Santo Padre, a fargli capire tutte le difficoltà che noi giovani viviamo oggi, e anche le aspettative. Abbiamo bisogno di questo dialogo con il Papa perché ci aiuti e ci sostenga nella fatica del vivere quotidiano. Siamo giovani che attendono le sue parole perché siamo giovani oggi purtroppo vittime di un messaggio e di un vivere che spesso ci porta lontano dalla fede, lontano degli insegnamenti della Chiesa, ma anche lontani dalla società e dai fondamenti che sia a San Marino, ma anche nel Montefeltro sono alla base dei nostri Paesi. Oggi, purtroppo, ci sentiamo in po’ ‘giovani antichi’, cioè persone che hanno tanta voglia di fare, tanta forza ma purtroppo la società non ci da gli strumenti per diventare persone adulte, persone mature, per migliorare la società locale, per tornare ad essere protagonisti e non semplici spettatori”.
Alcuni giovani di San Marino-Montefeltro hanno anche scritto una lettera a Benedetto XVI, di cui si farà latore Lorenzo Flenghi. Ascoltiamolo intervistato dal nostro inviato.
“Certamente, bisogna riscoprire quello che di bello e di vero ha dentro l’uomo e quindi tutto quello che può fare. Si dice che l’uomo faccia il male perché non conosce il bene: noi vogliamo fare un salto di qualità! Quello che scriviamo nella lettera è proprio questo: chiediamo al Santo Padre che ci aiuti a fare questo salto di qualità e cominciare a far sì che questo ‘regresso’ diventi di nuovo ‘progresso’. Io mi aspetto parole di fiducia verso i giovani. Noi siamo sempre criticati da tutti: i giovani che non sono concreti, che sono inconcludenti, riceviamo attacchi da tutte le parti … Qualcuno che veramente crede in noi, qualcuno di così importante che conosce l’uomo così bene e che crede in noi, come il Papa, le sue saranno parole veramente utili”.
Ed ascoltiamo ancora la testimonianza di don Simone Tintoni, giovane sacerdote sanmarinese. Salvatore Sabatino lo ha interpellato sulle possibili risposte della Chiesa in questo particolare momento di crisi socio-economica:
R. – Io credo che abbiamo bisogno di recuperare un senso autentico di solidarietà, di fraternità, perché indubbiamente questa crisi è figlia in qualche modo, anche di un desiderio, di una sete insaziabile di potere, di denaro … Io credo che la radice autentica sia quella di recuperare un vero umanesimo, una vera capacità di vivere in solidarietà, di vivere nella fraternità. Certamente, c’è un cammino che compete alle istituzioni: noi, come Chiesa, non abbiamo la ricetta di fronte anche alle gravi problematiche del mondo del lavoro, ma vogliamo essere una presenza significativa che riconosce certamente il diritto, la possibilità di una speranza – anche nell’ambito del lavoro, per i giovani – e dall’altra parte, promuovere questo senso autentico di attenzione e disponibilità agli altri.
D. – Don Simone, nel 1982 arrivò qui a San Marino Giovanni Paolo II. Il suo discorso fu incentrato tutto sulla parola “libertà”, che poi è alla base anche dell’istituzione di questo Stato, di quest’antichissima Repubblica. Quanto importante è ancora, oggi, la libertà, in questo Paese?
R. – Lo è da sempre anche se poi, ovviamente, in ogni circostanza, in ogni tempo si declina in modi diversi; ma credo che soprattutto oggi sia importante recuperare questa parola come senso vero di responsabilità, e sia una libertà di impegnarsi in prima persona proprio per sentire quanto ciascuno possa contribuire al bene comune di questa Repubblica, della nostra diocesi e certamente anche del cammino dell’umanità. (gf)
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