«Che emozione accogliere il Papa nella mia terra»
Il sammarinese padre Ciro Benedettini, vice direttore della sala stampa vaticana, domenica è tornato a casa
Monica Raschi
Padre Ciro Benedettini, da San Marino al Vaticano. Come è avvenuto questo percorso?
Casualmente, ma per il cristiano il caso è Dio quando non vuol porre la sua firma. Qualcuno nel lontano 1979 aveva fatto il mio nome all’allora direttore della sala stampa della Santa Sede come responsabile dei bollettini plurilingue di informazione del Sinodo dei vescovi, contando sul fatto che da poco ero diventato giornalista professionista e, ovviamente, ingigantendo la mia conoscenza delle maggiori lingue europee.
Rifiutai, non considerandomi all’altezza di quel compito. L’anno successivo la richiesta divenne più insistente e su pressione dei superiori accettai.
Quando divenne direttore Joaquin Navarro-Valls, ogni volta mi invitava a colazione ed invero avevo l’impressione che mi squadrasse. In effetti, a metà anni ’90, dopo un mio sabbatico negli Stati Uniti, Navarro chiamò il mio Superiore Generale e mi chiese come vicedirettore della Sala Stampa. Molti colleghi ironizzano sul fatto che da uno stato piccolo sono passato ad uno minuscolo.
Domenica il ritorno nella sua terra d’origine con il Santo Padre. Quali le sue sensazioni in questa particolare occasione?
All’inizio molto nervosismo, senza sapere bene perché. Nell’elicottero che mi portava in Repubblica passavo in rassegna le varie fasi della visita e il nervosimo cresceva. Il pilota, sependo che sono di San Marino, ha chiesto se gradissi un giro dell’elicottero attorno al monte.
Mai mi sarei aspettato questa cortesia, generalmente riservata a persone ben più importanti di un semplice funzionario vaticano.
La tensione è sparita come d’incanto, quando sceso dall’elicottero, ho potuto salutare i Capitani Reggenti, il Nunzio, il Vescovo, il Segretario per gli Affari Esteri. Poi il Papa, sorridente, rilassato, nonostante il viaggio, gli abiti ed i capelli sconvolti dal vento e un accavallarsi di sentimenti, dalla gioia alla commozione. Durante la celebrazione eucaristica vedevo la chiesa dove sono stato battezzato, ho ricevuto la cresima e la prima comunione, con in prima fila il mio parroco di allora, don Peppino, sapevo che tra la folla c’erano i miei fratelli e sorelle, intravvedevo in lontananza il cimitero dove sono sepolti i miei genitori, mi vedevo ragazzino attraversare il torrente Ausa.
Non ho difficoltà a dire che mi veniva il groppo alla gola. Scherzi dell’età.
Quali anche le impressioni del Pontefice rispetto a questo piccolo Stato?
Non ho osato parlare di questo tema con il Santo Padre, ma le sue parole e il suo atteggiamento, hanno mostrato chiaramente una grande ammirazione per la Repubblica. Del resto, basta far caso alle parole dell’omelia, per esempio, laddove dice che la vera ricchezza di San Marino è stata la fede, capace di creare «una civiltà veramente unica». I sammarinesi dovrebbero meditare su questi discorsi. Posso permettermi una leggera nota di colore? Mi hanno fatto i complimenti anche per l’eleganza dei vestiti delle autorità ed in genere del pubblico. Mi permetto due osservazioni. La prima: il Papa ha fatto inviare un telegramma al Presidente della Repubblica Italiana alla partenza da Roma e appena rientrato in territorio italiano, cosi come fa sempre quando intraprende i viaggi internazionali. La cosa poteva sembrare superflua in questo caso (in realtà ha sorpreso molti anche in Vaticano), per la brevità del viaggio e l’esiguità dell’«appezzamento estero », racchiuso in territorio italiano. Che abbia usato questa finezza diplomatica anche nel caso di SanMarino, è un chiaro riconoscimento apprezzabile della piena sovranità e indipendenza statuale della Repubblica. La seconda osservazione è implicita nel fatto e nelle modalità della visita. In quest’epoca della globalizzazione, che, in nome dell’economia e della tecnologia, privilegia i grandi conglomerati, rischia di livellare i comportamenti e tende a schiacciare le differenze culturali e le piccole realtà, la visita nella più antica e piccola repubblica delmondo, suona come un implicito invito a tutti a rispettare le giuste differenze culturali ed i piccoli.
Benedetto XVI ha affrontato in modo diretto la crisi di questa Città-Stato e dei lavoratori frontalieri. Quali, secondo il suo punto di vista, anche in qualità di lavoratore ‘emigrato’, su questa spinosa questione che vede coinvolte oltre 6mila persone e le loro famiglie?
Come lavoratore ‘emigrato’, a parte qualche piccolissima grana burocratica, non ho mai trovato problemi in Italia e tanto meno in Vaticano, che è il luogo di lavoro fra i più multietnci della Terra, come è giusto che sia. Ed il mio augurio è che sia così anche a San Marino. Per il mio ruolo, non mi azzardo a dare suggerimenti per risolvere, ma il Papa nel suo discorso ai Capitani Reggenti ha dato indicazioni precise: «auspico che la questione si possa risolvere, tenendo conto del diritto al lavoro e della tutela delle famiglie». Dialogo e rispetto dei diritti.
Non molto tempo fa lei era stato indicato come nuovo vescovo di Rimini, una voce da lei prontamente smentita. E’ cambiato qualcosa rispetto a quella posizione?
Altri possibili incarichi in vista?
Quella dell’episcopato a Rimini, è una questione chiusa su cui non intendo ritornare, anche perché i vescovi li nomina il Papa, non i giornali. Quanto a nuovi incarichi, sono un umilissimo servitore della Chiesa e faccio, fin che posso, quello che mi si chiede di fare.
Un pensiero rivolto alla Repubblica di San Marino da parte di padre Benedettini.
L’anno scorso ero in Spagna e rimasi colpito da una pubblicità di un Paese africano che diceva. “hay paises que engrandecen el mundo” (ci sono Paesi che rendono grande il mondo). Mi auguro che San Marino sia quel piccolo Paese che per i valori di libertà, democrazia, laboriosità, di cui è portatore, possa rendere più grande il mondo intero.
© Copyright Il Resto del Carlino, 20 giugno 2011
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