giovedì 16 giugno 2011

"Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione", la recensione di Rainer Riesner, teologo luterano (30 Giorni)

"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI (SECONDO VOLUME): LO SPECIALE DEL BLOG

GESU' DI NAZARET. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione

La linea di demarcazione passa tra fiducia e scetticismo

«Le contrapposizioni inconciliabili che si riscontrano oggigiorno nell’esegesi del Nuovo Testamento non sono motivate da divergenze confessionali. La linea di demarcazione si situa piuttosto tra gli esegeti che si accostano al Nuovo Testamento con sostanziale fiducia oppure con uno scetticismo storico di fondo».
La recensione di un teologo luterano


di Rainer Riesner

Il nuovo libro del Papa non è un dono solo per i credenti. È un dono per tutte le persone in cerca della verità. Papa Benedetto è la voce cristiana più ascoltata in tutto il mondo. In questo libro non parla di un tema qualsiasi, bensì del centro della fede cristiana. Si tratta della figura di Gesù di Nazareth. E precisamente di due momenti nella sua vita in cui si decide se Gesù Cristo abbia un significato irrinunciabile anche per il XXI secolo. Al centro di questo secondo volume di papa Benedetto sulla figura di Gesù vi sono la croce e la risurrezione1.
Non è possibile, in un intervento così breve, porre adeguatamente in risalto la ricchezza di pensieri profondi che si ritrovano anche in questo volume. Posso mettere in luce solamente alcune peculiarità che io ritengo importanti nella nostra situazione postmoderna e in parte anche postcristiana.

L’ultima cena e l’esegesi storico-critica

Il libro del Papa su Gesù non è, come lui stesso sottolinea, una pubblicazione magisteriale. Questo libro non è stato preparato insieme a commissioni teologiche, il Papa qui presenta la sua personale immagine di Gesù. In questo modo si è imbarcato senz’altro in un’impresa rischiosa. Presentando il primo volume, il cardinale di Vienna Christoph Schönborn ha coniato un paragone. Come l’apostolo Paolo ad Atene, il Papa ha osato andare sull’agorà, sulla piazza del mercato delle opinioni contrastanti2.
In questa piazza del mercato stanno oggi non soltanto i filosofi, bensì anche gli esegeti storico-critici. Come, ai tempi di Paolo, esistevano correnti filosofiche tra loro contrapposte, vale a dire gli stoici e gli epicurei (At 17, 18), così anche l’esegesi storico-critica non costituisce assolutamente una realtà unitaria. Se oggi ci sono contrapposizioni inconciliabili nell’esegesi del Nuovo Testamento, esse non sono tuttavia motivate da divergenze confessionali. La linea di demarcazione oggi si situa piuttosto tra gli esegeti che si accostano al Nuovo Testamento con sostanziale fiducia oppure con uno scetticismo storico di fondo. Il Papa lo sa e per questo non si rifà solo agli studiosi cattolici. Il fatto che nel 2008 questo Papa abbia invitato a Castel Gandolfo gli studiosi evangelici del Nuovo Testamento Martin Hengel e Peter Stuhlmacher per discutere con loro del secondo volume del suo libro su Gesù è una indubbia dimostrazione della sua eccezionale umiltà3. Entrambi questi professori, che sono stati miei docenti, erano stati colleghi del giovane professore Joseph Ratzinger all’Università di Tubinga. Con il suo invito, Benedetto XVI ha lanciato un segnale ecumenico di enorme portata, che cristiani di diverse confessioni si avvicinino gli uni agli altri nell’ascolto serio della Sacra Scrittura.
Nella sua trattazione dell’ultima cena emerge con chiarezza come il Papa prenda seriamente in considerazione l’esegesi storico-critica, pur indicando nel contempo il limite ideologico di determinati studiosi appartenenti a tale corrente. Così, Benedetto XVI ammette che nei Vangeli ci sono problemi di carattere storico per i quali sono possibili risposte scientifiche diverse. Per questo lascia aperta la questione su quale rapporto sussista tra la cena di addio di Gesù e la cena pasquale ebraica. C’è tuttavia un’altra questione che il Papa non lascia assolutamente in sospeso. Oggi molti esegeti dubitano che Gesù abbia pronunciato le parole che gli vengono attribuite in occasione dell’ultima cena. Giustificano il loro scetticismo sulla base del fatto che l’annuncio del regno di Dio da parte di Gesù mal si concilierebbe con il pensiero dell’espiazione. Quale esempio viene spesso addotta la parabola del figliol prodigo, che ottiene il perdono del padre senza che venga compiuta alcuna espiazione (Lc 15, 11-24). Ma le parole dell’ultima cena vengono riportate già da Paolo come una tradizione saldamente consolidata che egli stesso avrebbe mutuato dalla comunità primitiva di Gerusalemme attraverso la comunità di Damasco (1Cor 11, 23-24). Pertanto il Papa ha pienamente ragione quando scrive: «In base ai dati storici niente può esservi di più originale che proprio la tradizione della cena. Ma l’idea di un’espiazione è cosa inconcepibile per la sensibilità moderna. Gesù nel suo annuncio del regno di Dio deve esserne agli antipodi. C’è di mezzo la nostra immagine di Dio e dell’uomo. Per questo tutta la discussione è solo apparentemente un dibattito storico» (p.136).

Il Venerdì Santo come grande giorno dell’espiazione

Un’altra obiezione alla storicità delle parole dell’ultima cena è che esse sarebbero impensabili in un contesto ebraico. Uno dei punti di forza del libro del Papa è la dimostrazione che proprio le affermazioni del Nuovo Testamento sulla morte di Gesù come espiazione del peccato dell’uomo diventano comprensibili solo con l’aiuto dell’Antico Testamento e della sua spiegazione in ebraico antico. Anche qui si esprime una grande stima per l’ebraismo da parte del Papa che giustamente ha trovato un’eco molto positiva nella stampa internazionale. Fa parte di quei fenomeni difficili da comprendere il fatto che certi esegeti rilevino in modo particolare la religiosità ebraica di Gesù ma che al tempo stesso non gli vogliano assegnare quasi tutti i riferimenti alla Sacra Scrittura d’Israele. Questi riferimenti non si limitano a citazioni dirette. Le parole di Gesù sono intessute di allusioni all’Antico Testamento. Se le si volessero eliminare tutte, non rimarrebbe molto. Gesù ha vissuto nella Sacra Scrittura d’Israele, come d’altronde anche il Papa. Non tutte le scoperte sui riferimenti all’Antico Testamento ha potuto desumerle dalla letteratura esegetica. Alcune cose derivano evidentemente dalla sua meditazione sulla Sacra Scrittura condotta lungo il corso della vita.
Questo approccio consente al Papa di dimostrare, nella presentazione che fa di Gesù, che nello svolgersi degli eventi che intercorrono tra l’ingresso di Gesù a Gerusalemme fino alla sua crocifissione sul Golgota è riscontrabile un nesso interno. Tale nesso è sia plausibile dal punto di vista storico, sia altamente significativo in termini teologici. La cosiddetta purificazione del tempio non rappresentò solamente un atto di critica sociale alla classe dei sommi sacerdoti, che si arricchiva con il commercio delle offerte. Con un semplice gesto simbolico profetico, Gesù annunciò piuttosto che nel tempio di Gerusalemme era giunta la fine del culto sacrificale (Gv 2, 14-22). Ciò è confermato dal discorso sinottico sul tempo finale e della predizione sulla distruzione del tempio (Mc 13, 14-17). Tuttavia, l’assunto di fondo non è affatto rappresentato dall’opinione secondo cui i sacrifici dell’Antico Testamento siano stati sempre privi di valore. Ma rimandavano, col sostegno dell’annuncio di un profeta come Geremia, a qualcosa che andava oltre i sacrifici stessi, preannunciando la stipulazione di una nuova alleanza (Ger 31, 31).
La figura misteriosa del «servo di Dio» sofferente e morente del Libro di Isaia chiarisce senza ombra di dubbio che l’espiazione è possibile solamente tramite la funzione vicaria di uno speciale inviato di Dio (Is 53). Gesù ha ricondotto a sé stesso la profezia del servo di Dio fin nella formulazione delle parole dell’ultima cena (Mc 14, 24). Anche il sommo sacerdozio non viene affatto messo in discussione da Gesù, bensì trova in lui la sua piena realizzazione. La cosiddetta preghiera sacerdotale nel Vangelo di Giovanni (capitolo 17) può essere compresa solamente a partire dalla liturgia della celebrazione ebraica dello Yom kippùr. Qui il Papa segue l’interpretazione dell’illustre esegeta cattolico André Feuillet4, le cui opere vengono spesso a torto ampiamente ignorate persino dall’esegesi cattolica contemporanea. In occasione del «grande giorno dell’espiazione», il sommo sacerdote varcava, unica volta all’anno, la soglia del Santo dei Santi nel tempio e purificava dai peccati il popolo di Israele aspergendo con il sangue l’Arca dell’Alleanza (Lv 16). Nella sua risposta al sommo sacerdote Caifa, che lo interroga chiedendogli se sia il Messia, Gesù si proclama «sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek» (Mc 14, 62), richiamando il Salmo 110. Il velo del tempio che si squarcia in due al momento della morte di Gesù rimanda simbolicamente al fatto che al Golgota ha trovato compimento sulla croce il grande giorno finale dell’espiazione (Mc 15, 38). L’interpretazione della morte di Gesù come espiazione risale pertanto a Gesù stesso. Paolo conosceva quest’interpretazione dalla comunità primitiva di Gerusalemme (Rm 3, 24) e la Lettera agli Ebrei sviluppò poi notevolmente questo tema. Nella vita dei primi cristiani, questo significato della morte di Gesù risalente alla comunità primitiva di Gerusalemme divenne una realtà vissuta attraverso la regolare celebrazione della cena del Signore (At 2, 42; 1Cor 11, 25).

Getsemani e le due nature di Gesù

La formulazione del Concilio di Calcedonia (451) per cui Gesù è riconosciuto «vero uomo e vero Dio», accomuna i cattolici, gli ortodossi, gli anglicani e gli evangelici. Le Chiese copta e siriana non hanno invece accettato questa cosiddetta dottrina delle due nature. Esse attribuiscono a Gesù solamente una natura divina. Accanto a questo antico monofisismo esiste anche la variante moderna, assai diffusa, secondo la quale Gesù possedeva solamente una natura puramente umana. Con il racconto evangelico della tentazione e della preghiera di Gesù nel giardino del Getsemani papa Benedetto chiarisce perché entrambe tali visioni di Gesù non sono giuste. Il Getsemani mostra Gesù, soprattutto nella lezione del Vangelo di Luca (22, 44) e della Lettera agli Ebrei (5, 7-8), in tutta la sua vulnerabile e impaurita umanità. Tuttavia, il Padre celeste si aspetta da lui che beva «il calice» (Mc 14, 36), che qui significa nel linguaggio veterotestamentario l’ira distruttiva di Dio (Is 51, 17). Ciò indica che Gesù deve essere più di un semplice uomo. Assolutamente di proposito l’evangelista Marco ha trasmesso proprio qui l’intima invocazione «Abba, padre» nella sua forma semitica, così come si udì dalla bocca di Gesù. Per tale aspetto il Papa attinge alle acquisizioni dello studioso evangelico del Nuovo Testamento Joachim Jeremias5, che a metà del secolo scorso fu uno dei critici più eminenti della concezione scettica di Rudolf Bultmann. L’evangelista Marco sapeva che prima di Gesù nessun pio ebreo si era rivolto così a Dio, e nemmeno nessun profeta. Pertanto, solo colui che era realmente il Figlio di Dio poteva parlare in quel modo. Papa Benedetto commenta come segue: «Proprio perché è il Figlio, Egli sente profondamente l’orrore, tutta la sporcizia e la perfidia che deve bere in quel “calice” a Lui destinato: tutto il potere del peccato e della morte. Tutto questo Egli deve accogliere dentro di sé, affinché in Lui sia privato di potere e superato» (p. 175). Il Getsemani pone tuttavia anche la seguente domanda: esiste qualcosa che va al di là del giudizio divino sulla colpa dell’uomo? È la stessa domanda che ci si pone quando ci si interroga sulla realtà della risurrezione di Gesù.

La realtà della risurrezione

Anche nella trattazione di questo tema il Papa mostra di essere estremamente al corrente dei problemi storici ed esegetici che presentano i testi del Nuovo Testamento. Egli fa tuttavia una distinzione tra le questioni secondarie di dettaglio e la questione principale da cui tutto dipende. A tale proposito, Benedetto scrive con estrema chiarezza: «Solo se Gesù è risorto, è avvenuto qualcosa di veramente nuovo che cambia il mondo e la situazione dell’uomo. Allora Egli, Gesù, diventa il criterio, del quale ci possiamo fidare. Poiché allora Dio si è veramente manifestato.
Per questo, nella nostra ricerca sulla figura di Gesù, la risurrezione è il punto decisivo. Se Gesù sia soltanto esistito nel passato o invece esista anche nel presente – ciò dipende dalla risurrezione. Nel “sì” o “no” a questo interrogativo non ci si pronuncia su di un singolo avvenimento accanto ad altri, ma sulla figura di Gesù come tale» (p. 270). In quest’inevitabile aut aut, il Papa ha dalla sua l’apostolo Paolo, che nella prima lettera alla comunità cristiana di Corinto scriveva: «Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo» (1Cor 15, 14-15).
Ma quanto è credibile la testimonianza apostolica della risurrezione? Il Papa si pone la questione sia storica sia filosofica. Egli critica giustamente il fatto che la formulazione «Gesù risuscitò il terzo giorno» (1Cor 15, 4) rappresenti una pura e semplice derivazione dall’Antico Testamento. Il «terzo» giorno rappresenta l’indicazione di una data storica. Il terzo giorno dopo la crocifissione di Gesù, il suo sepolcro venne trovato vuoto. Il Papa osserva a tale proposito che, «se il sepolcro vuoto come tale certamente non può provare la risurrezione, esso resta però un presupposto necessario per la fede nella risurrezione, dal momento che essa si riferisce proprio al corpo e, per suo tramite, alla persona nella sua totalità» (p. 283). Il «terzo giorno» Gesù incontrò nella sua persona vivente testimoni con un nome, quali Pietro o il fratello del Signore Giacomo, e donne testimoni quali Maria Maddalena. In tal senso – constata il Papa – «anche questo è importante: gli incontri con il Risorto sono una cosa diversa da avvenimenti interiori o da esperienze mistiche, sono incontri reali con il Vivente che, in un modo nuovo, possiede un corpo e rimane corporeo» (p. 297).
Il Papa tratta anche dell’obiezione filosofica secondo cui la risurrezione di Gesù andrebbe contro le leggi che regolano la natura. Esorta a non escludere nuove esperienze nella storia che vanno oltre ciò a cui finora siamo avvezzi. E scrive: «Nelle testimonianze sulla risurrezione, certo, si parla di qualcosa che non rientra nel mondo della nostra esperienza. Si parla di qualcosa di nuovo, di qualcosa fino a quel momento unico – si parla di una nuova dimensione della realtà che si manifesta. Non si contesta la realtà esistente. Ci viene detto piuttosto: esiste un’ulteriore dimensione rispetto a quelle che finora conosciamo. Ciò sta forse in contrasto con la scienza? Può veramente esserci solo ciò che è esistito da sempre? [...] Se Dio esiste, non può Egli creare anche una dimensione nuova della realtà umana? della realtà in generale?» (p. 275). E quindi, interrogarsi sulla realtà della risurrezione di Gesù significa interrogarsi sulla realtà di Dio.
Con la risurrezione di Gesù la domanda su Dio non rimane confinata entro i limiti della speculazione intellettuale, ma ci incalza come domanda sulla realtà storica del corpo. Il Papa ricorda giustamente che le apparizioni di Gesù risorto «nel misterioso insieme di alterità e identità» hanno il loro parallelo più stretto nelle teofanie dell’Antico Testamento (p. 296). Qui si ritrova una ragione convincente del fatto che già dalla Pasqua emerge con chiarezza che Gesù appartiene al modo di essere di Dio (cfr. Gv 20, 28). Il Papa conclude la trattazione scrivendo: «La risurrezione di Gesù va al di là della storia, ma ha lasciato una sua impronta nella storia. Per questo può essere attestata da testimoni come un evento di una qualità tutta nuova» (p. 305). Benedetto prosegue scrivendo: «Solo un avvenimento reale di una qualità radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l’annuncio apostolico, che non è spiegabile con speculazioni o esperienze interiori, mistiche. Nella sua audacia e novità, esso prende vita dalla forza impetuosa di un avvenimento che nessuno aveva ideato e che andava al di là di ogni immaginazione» (p. 305). Ma come può questo evento raggiungere gli uomini nel XXI secolo?

La necessità di una nuova evangelizzazione

Con la sua interpretazione delle parole di Gesù: «Ma prima è necessario che il vangelo sia predicato a tutte le genti» (Mc 13, 10), papa Benedetto richiama alla memoria un episodio significativo della storia della Chiesa (p. 56). Bernardo di Chiaravalle dovette fare la morale all’allora papa Eugenio III. Bernardo gli scrisse: Tu sei «debitore anche verso gli infedeli, i giudei, i greci e i pagani. [...] Ammetto che, per quanto riguarda i giudei, sei scusato dal tempo; per loro è stato stabilito un determinato momento, che non si può anticipare. Prima devono venire i pagani nella loro totalità [cfr. Rm 11, 25-27]. Ma che cosa dici circa i pagani stessi?… Che cosa avevano in mente i tuoi predecessori per… interrompere l’evangelizzazione, mentre è ancora diffusa l’incredulità? Per quale motivo… la parola che corre veloce si è fermata?»6.
A papa Benedetto non c’è bisogno di fare la morale sul tema dell’evangelizzazione. Come mostra tra l’altro il libro-intervista Luce del mondo, egli ha una visione molto realistica delle cose7. Sa bene che in ampie regioni d’Europa e del Nord America c’è stato un calo drammatico della fede cristiana. Benedetto XVI non solo è al corrente della necessità di una nuova evangelizzazione, ma ha anche adottato dei provvedimenti organizzativi in tal senso. Con il suo libro su Gesù offre tuttavia anche un contributo molto personale alla diffusione della fede. I cristiani dovrebbero aiutarlo in questo sforzo. Una possibilità potrebbe essere regalare il suo libro su Gesù agli amici la cui fede vacilla o che sono alla ricerca di una via verso la fede. La cosa importante è che questo dono diventi l’occasione per un colloquio in cui anche noi discutiamo della nostra fede. Un punto di forza particolare del libro del Papa consiste nel fatto che esso mette insieme due cose. I lettori vi trovano un’immagine di Gesù Cristo storicamente credibile e rilevante per la loro vita. Ma vi trovano anche un’indicazione della fede personale di papa Benedetto. Nel primo volume, egli indicava quale «punto di riferimento effettivo» della fede cristiana «l’amicizia intima con Gesù, che è tutto quello che conta»8. Sono convinto che con il secondo volume il Papa sia riuscito a realizzare quello che nella premessa indica come suo desiderio. A lui è stato effettivamente dato di avvicinarsi «alla figura di Nostro Signore in un modo che può essere utile a tutti i lettori che vogliono incontrare Gesù e credergli» (p. 9).

Note

1 Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano 2011.
2 Der Papst auf der Agora, in: “Jesus von Nazareth” kontrovers, Berlin 2007, pp. 9-17.
3 Gespräche über Jesus: Papst Benedikt XVI. im Dialog mit Martin Hengel und Peter Stuhlmacher (hrsg. P. Kuhn), Tübingen 2010.
4 André Feuillet, Le sacerdoce du Christ et de ses ministres: d’après la prière sacerdotale du quatrième Évangile et plusieurs données parallèles du Nouveau Testament, Paris 1972.
5 Abba. Studien zur neutestamentlichen Theologie und Zeitgeschichte, Göttingen 1966.
6 De consideratione III, 1, 2-3.
7 Benedetto XVI, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, Città del Vaticano 2010.
8 Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Città del Vaticano 2007, p. 8.

http://www.30giorni.it/articoli_id_77344_l1.htm

Nessun commento: