L'unione del continente viene dalle radici dei suoi popoli
Un tesoro da spendere
Carlo Cardia
Il primo saluto che Benedetto XVI ha rivolto nel suo viaggio in Croazia è stato un messaggio di speranza, di incoraggiamento, per la nazione di antica fede cristiana, e per il suo prossimo ingresso nell’Unione Europea. Il Papa l’ha sviluppato, nello spirito del suo magistero, a livello antropologico e universale, e a livello storico e culturale che coinvolge le nazioni che si costituiscono attorno a valori comuni, formando un’identità che progredisce e fa progredire. Il Pontefice ha ringraziato i musicisti che l’hanno accolto «con il linguaggio universale della musica», perché la dimensione dell’universalità è congeniale al cristianesimo, Cristo parla agli uomini di tutto il mondo, e tutto ciò che è umano trova nella sua parola pienezza di vita e di significato. Ed ha proposto il grande tema di oggi, quello della coscienza, la cui crescita è alla base del progresso spirituale e civile dell’umanità, è fondamento di una «società libera e giusta, sia a livello nazionale e internazionale».
La coscienza libera e ricca di valori dà unità al sapere umano e collega scienza e fede, come testimonia l’opera del grande umanista e gesuita croato del ’700 Ruder Josip Boškovic, ma oggi corre il rischio di essere abbandonata al soggettivismo assoluto, per il quale ciascuno interpreta come meglio crede i bisogni propri e quelli degli altri, fa ciò che vuole di se stesso e degli altri. Se in passato si fosse agito su questa base, non sarebbero maturate le conquiste dell’età moderna, «il riconoscimento e la garanzia della libertà di coscienza, dei diritti umani, della libertà della scienza, e di una società libera». Esse si sono sviluppate dentro una coscienza volta al bene, attratta dai principi etici, dall’amore da donare e non solo da ricevere, che agisce in base al 'grande codice' dell’umanità costituito dalle Sacre Scritture. Se la diversità tra bene e male si perde, se il Sinai è cancellato, l’uomo cade in un vuoto che annienta, in un dolore che non si colma, perché si afferma l’indifferenza al dolore altrui.
L’Europa e le sue nazioni si sono costruite quando nelle sue terre si è radicata la legge che vale per tutti gli uomini, che parla dell’amore come «la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera». La coscienza di ciascuno di noi assimila il significato del dono gratuito per gli altri «nell’infanzia e nell’adolescenza», può viverlo «nel gioco e nello sport, nelle relazioni interpersonali, nell’arte, nel servizio volontario ai poveri e ai sofferenti» e può declinarlo negli ambiti della politica e dell’economia, per una polis che sia accogliente e ospitale, non vuota, non neutra, ma ricca di contenuti umani, e di forte spessore etico.
Questo messaggio universale del Papa si è unito ai riconoscimenti per la Croazia, il suo legame con la Chiesa, le sue preoccupazioni per l’ingresso in una Europa che resta la casa comune, è meta di tutte le nazioni del continente, ma deve tutelare l’identità di ciascuno e le radici cristiane che sono parte essenziale della loro crescita nei secoli.
Benedetto XVI ha affrontato questo tema nel saluto iniziale ai rappresentanti della società civile, e nel colloquio che ha avuto in aereo con i giornalisti. Non bisogna avere paura del nuovo, e la Croazia attende con gioia l’appuntamento con le altre nazioni europee, ma è giusto registrare un’inquietudine che si va diffondendo con qualche ragione. L’Europa può tradire le attese dei popoli se li accoglie in un orizzonte razionalista ed economicista che guarda ai suoi membri nella loro morfologia numerica, territoriale, produttiva, mentre deve sentirli per ciò che sono, comunità unite da tradizioni, culture, sentimenti, che costituiscono patrimonio prezioso per tutti. In questo modo il messaggio di Benedetto XVI è diretto alla Croazia e insieme all’Europa. Alla Croazia ricorda la sua fede, coltivata con gioia e nel «cuore, dove il soprannaturale diventa naturale e il naturale è illuminato dal soprannaturale »', ed evoca la grande figura del beato cardinale Stepinac che ha combattuto contro due regimi, hitleriano e comunista, che negavano entrambi l’umanesimo e le leggi di Dio. All’Europa dice che l’unione del continente non deve essere fatta in modo freddo e burocratico, ma investendo sul tesoro di cultura, di spiritualità, di dedizione agli altri, che viene dalle radici dei suoi popoli.
© Copyright Avvenire, 6 giugno 2011
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