Benedetto XVI rilancia la questione dei marittimi sequestrati dai pirati
Benedetto XVI, incontrando ieri a Castel Gandolfo i familiari dei marittimi ostaggi dei pirati, ha riproposto questo drammatico fenomeno all’attenzione della comunità internazionale: la pirateria, solo l’anno scorso, ha portato 445 attacchi, con 53 navi sequestrate e 1.181 marittimi catturati. A tutt’oggi sono ancora 800 le persone nelle mani dei pirati. Il Papa all’Angelus ha lanciato un accorato appello per la loro liberazione. Sull’incontro di ieri, avvenuto al termine della preghiera mariana, Sergio Centofanti ha intervistato don Giacomo Martino, direttore dell’Apostolato Marittimo della “Fondazione Migrantes” della Conferenza Episcopale Italiana, presente all'evento:
R. - E' stato decisamente un momento molto bello per tutti. Il Santo Padre ha dimostrato verso queste persone un grande affetto e tutti sono rimasti davvero colpiti dal suo fermarsi con ciascuno. Benedetto XVI li ha guardati negli occhi, ha visto le loro ansie ed ha parlato con loro. Tutte queste persone, ciascuno in un modo diverso - chi era un ex marittimo, chi era la mamma o la moglie - si sentono sicuramente un po’ abbandonate. Forse il nostro compito, come Chiesa, è quello di imparare a pregare con loro, imparare a stargli vicino, imparare insieme a loro a non perdere la speranza. E quello di ieri è stato veramente un grande segnale di attenzione. Quando siamo stati chiamati per fare quest’incontro, ci è stato detto che il Papa voleva fare un piccolo gesto di attenzione verso di loro. Ecco, quello che lui ha definito “un piccolo gesto”, per noi è stato veramente il segno di una Chiesa che cammina con gli uomini, che compatisce, che patisce cioè insieme a loro. Una Chiesa che, quindi, sa ancora farsi vicina alle persone, a qualunque religione o etnia esse appartengano.
D. - Parliamo di questa piaga della pirateria…
R. - E’ un fenomeno che dilaga sempre più. Ultimamente si verifica in particolare sulle coste somale ed è stato preso in mano dalla criminalità organizzata. Queste persone quindi, in modo sistematico, prima soltanto vicino alla costa, poi usando le navi che loro stessi sequestrano come navi-base per ampliare il loro raggio d’azione, in qualche modo si sono veramente organizzate per creare un business. Un business che inizia dal sequestrare delle navi che hanno un enorme valore ma che ricade poi direttamente sulle persone.
D. - Qual è la sorte degli ostaggi?
R. - Purtroppo li attendono lunghi mesi di trattative, di gravi tensioni psicologiche. A volte consentono loro di chiamare le proprie famiglie, ma spesso le notizie sono sempre molto gravi, le minacce sono assurde, a volte sono minacce di morte. La vita per loro è incredibile: questi equipaggi di 20, 25 persone di diverse etnie, sono costretti a vivere sulla plancia della nave, fermi, senza nessuna speranza o certezza di come e quando possa finire questa loro prigionia.
D. - Cosa fanno gli armatori?
R. - Gli armatori trattano. Trattano un prezzo che ormai è quasi diventato un listino, perché facilmente si parla della quantificazione economica, del valore della nave e del carico, ma si parla troppo poco delle persone. Gli armatori devono ed hanno la grave, unica responsabilità - sicuramente insieme ai governi e a ciascuno di noi - di riportare a casa, salve, tutte le persone dell’equipaggio che si sono affidate alle loro mani.
D. - Che cosa fa la comunità internazionale per contrastare questo fenomeno?
R. - La comunità internazionale fa poco. Un grande merito va invece al Santo Padre, perché non solo si è fermato con queste persone, le ha confortate, ha pregato per loro, ma attraverso di loro è andato dritto al cuore di tutti quelli che, a bordo, sequestrati, attendono di essere liberati e di tutti quelli che a terra li attendono. Con questo gesto ha soprattutto voluto portare nuovamente all’attenzione della comunità internazionale - e quindi delle organizzazioni e degli Stati - questo tema, affinché si arrivi ad una vera risoluzione. Una risoluzione che ovviamente non può passare semplicemente attraverso le armi o maggiori pattugliamenti. Questa Somalia, ormai così divisa e così in mano alla delinquenza criminale organizzata a livello internazionale, va bonificata e salvata. (vv)
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