venerdì 8 luglio 2011

A colloquio con l'arcivescovo di Los Angeles. Il coraggio di vivere la fede (O.R.)

A colloquio con l'arcivescovo di Los Angeles

Il coraggio di vivere la fede

di MARY NOLAN

In occasione della visita dell'arcivescovo di Los Angeles, José Horacio Gómez, giunto a Roma il 29 giugno per ricevere il pallio dal Papa, "L'Osservatore Romano" ha colto l'opportunità per intervistarlo e conoscere più profondamente il presule che Benedetto XVI ha scelto per guidare la diocesi più vasta degli Stati Uniti e, probabilmente, la più diversa sul piano culturale. Monsignor Gómez è molto noto nei circoli cattolici americani: già arcivescovo di San Antonio, in Texas, dal 2005 al 2010, e prima ancora vescovo ausiliare di Denver, in Colorado, dal 2001 al 2005, Gómez è conosciuto per il suo pacato senso dell'umorismo, per i suoi modi accoglienti e per il suo impegno per la formazione cattolica e la nuova evangelizzazione. È inoltre apprezzato per il suo ruolo nella cura pastorale degli immigrati, un settore della società che egli considera, in un certo senso, "il futuro della Chiesa cattolica negli Stati Uniti".
Forse queste sono alcune delle motivazioni che hanno spinto Papa Benedetto a nominarlo successore del cardinale Roger Michael Mahony, che ha guidato l'arcidiocesi negli ultimi venticinque anni.
Los Angeles è la più vasta diocesi cattolica negli Stati Uniti, con 4.349.276 fedeli nel 2005, dei quali più del 70 per cento ispanici. Tuttavia nel suo territorio sono presenti un gran numero di altre culture: settantadue diversi gruppi etnici, secondo il sito in rete dell'arcidiocesi. È un luogo affollato di nuovi americani e di quanti sperano di diventarlo. Anche l'arcivescovo Gómez è un immigrato: nativo di Monterrey, in Messico, si è trasferito negli Stati Uniti quando era già un sacerdote e membro dell'Opus Dei. Sebbene la sua prima lingua sia lo spagnolo, parla correntemente l'inglese. Sua madre è cresciuta in Texas e le radici della sua famiglia risalgono al 1805, prima che gli Stati Uniti acquisissero il territorio. Quindi l'arcivescovo rappresenta, per la sua persona, un ponte fra due mondi.
Fin dall'inizio del suo ministero sacerdotale negli Stati Uniti, l'arcivescovo è stato considerato come un leader della comunità cattolica dei latinos. Egli è membro fondatore della Catholic Association for Latino Leaders e presidente del Comitato per l'immigrazione nonché del Sottocomitato per la Chiesa in America Latina della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, per menzionare soltanto alcuni dei suoi incarichi. Gli ho chiesto di parlarmi di una delle priorità del suo ministero. Mi ha risposto che "l'educazione cattolica, la buona formazione nella fede, nella dottrina, è vitale in questo momento". L'arcivescovo ha affermato di aver tratto ispirazione dalla sollecitudine riscontrata nelle parrocchie di Los Angeles: "Essa è d'ispirazione, anche in confronto a molti altri luoghi nei quali sono stato. Qui le parrocchie sono realmente vive e i fedeli sono attivi, assetati di Vangelo". L'arcivescovo mi ha spiegato che tale zelo, insieme con una buona formazione, è un saldo pilastro per la società. "La formazione - ha sottolineato - deriva, in primo luogo, dalla Chiesa, dal Vangelo, ma anche dai laici, dalla reciprocità nella vita quotidiana, nelle scuole, nelle attività sportive. In tutti i contesti, abbiamo un bel messaggio da condividere per il bene comune. Non dovremmo aver paura di condividerlo perché questo migliorerà le condizioni della nostra società".
Il presule ha inoltre aggiunto che "uno dei miei desideri è di far sì che i cattolici comprendano anche quanto è importante per loro partecipare al dibattito pubblico".
Il professor John Cavadini, direttore dell'Istituto per la vita ecclesiale presso l'Università di Notre Dame, è consultore nel Comitato sulla dottrina della fede della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, della quale l'arcivescovo di Los Angeles è membro. Il docente mi ha parlato del coraggio dell'arcivescovo nel difendere i valori e le tradizioni cattoliche. "Tuttavia - ha sottolineato Cavadini - lo fa mostrando innanzitutto il suo amore; l'amore per la fede è il luogo reale di formazione. Egli mostra agli altri il suo amore per la fede e insegna a loro come trasmetterlo".
Ciò che maggiormente il professor Cavadini sottolinea della personalità dell'arcivescovo è l'umiltà nel mettersi in relazione con gli altri. "In genere - dichiara - sceglie di sedersi con i "piccoli" durante i pasti, anche nelle cene ufficiali. Ricordo che una volta ero seduto vicino a lui, a pranzo, durante una sessione del comitato. Mi alzai per andare a prendere un caffè e quando tornai lui aveva ormai tolto i piatti usati e, addirittura, aveva preso dei dolci per me. Chi lo avrebbe mai fatto? Men che meno un arcivescovo!". Cavadini aggiunge: "Monsignor Gómez ha una profonda sensibilità pastorale. La sua sollecitudine verso i cattolici ispanici non è soltanto di carattere politico. Il suo interesse autentico è quello di proteggerli e aiutarli nella loro vita quotidiana, formandoli nella fede, conservando la ricchezza della loro tradizione, proteggendo la vita familiare".
Ho chiesto all'arcivescovo Gómez dove ha trovato la sua fede. "A casa", ha risposto. E, proseguendo, "me l'hanno trasmessa i miei genitori e le mie sorelle. Soprattutto è merito di mio padre". Mi ha narrato di quando, ancora adolescente, sua madre si ammalò in modo grave. Fu proprio allora che suo padre cominciò ad andare a messa ogni giorno. Anni dopo, ormai a Los Angeles, in un'omelia rivolta a una grande assemblea di giovani, l'arcivescovo disse che il giorno in cui la sua vita era cambiata per sempre era stato quello in cui aveva deciso di incentrare la sua esistenza sull'eucaristia; ovvero, il giorno che aveva iniziato la frequentazione quotidiana della messa. Monsignor Gómez ha ribadito: "L'ho fatto per mio padre".
La formazione - ha proseguito - "ha veramente inizio nella famiglia, che è il luogo da cui vengono le vocazioni. Tutto comincia da lì. Per questo motivo non dovremmo avere paura di vivere la fede. Non sappiamo che effetto avrà sulle persone, in particolare sui nostri bambini". Secondo l'arcivescovo, ""vivere la fede" significa anche "amare in piccoli modi"".
Sul sito in rete hispanicleaders.net vi è un recente articolo che l'arcivescovo ha scritto dedicandolo ai padri di famiglia. È intitolato "Chutes and Ladders and the Virtue of the Golden Rule". Nell'articolo si parla dell'importanza per i padri di giocare con i propri figli. In realtà, l'articolo riguarda la giustizia nella società, ma questo è il suo esempio principale. E il punto è proprio questo: trasmettere la fede è come edificare una società giusta, è soprattutto un'abitudine nella nostra vita quotidiana.
Oltre a ciò, monsignor Gómez evidenzia la virtù del coraggio, quella di "non avere paura di vivere la fede". Nelle predicazioni, nei blog, nei discorsi in rete, l'arcivescovo ritorna al suo tema centrale. Questo è anche l'argomento del suo recente libro intitolato Men of Brave Heart: The Virtue of Courage in the Priestly Life ed è stato il tema della sua tesi di dottorato nel 1980, sulla virtù cardinale della fortezza secondo san Tommaso d'Aquino. Viene perfino accennato nel motto del suo stemma: "Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia (Ebrei 4, 16)". "Sa qual è il significato autentico della grazia?", mi chiede l'arcivescovo con un sorriso e aggiunge: "Non è affatto una virtù aggressiva. Invece è una virtù che consiste nel restare saldi, in particolare di fronte alle grandi difficoltà. Questa è la virtù d'impiegare la propria volontà con fermezza per il bene, accada quel che accada".
Alla domanda sulla nuova arcidiocesi, monsignor Gómez ha risposto ribadendo di essere molto felice di trovarsi lì e di essere colpito dalla fede dei cattolici locali. Come appassionato di pallacanestro, il presule è diventato un ammiratore della squadra dei Los Angeles Lakers.
Sempre il 29 giugno, il nostro giornale ha intervistato il cardinale Roger Michael Mahony, arcivescovo emerito di Los Angeles. A proposito del suo successore, il porporato ha dichiarato: "Sono stato un po' in ansia per lui, perché ho pensato che sarebbe dovuto venire in una diocesi così grande, con più di mille sacerdoti, senza conoscerne nemmeno uno. Certo è un grande cambiamento, ma ora siamo entusiasti di averlo tra noi".

(©L'Osservatore Romano 9 luglio 2011)

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