Su segnalazione di Laura leggiamo:
Il cardinale di Khartoum Zubeir Wako: Chiesa da sempre impegnata per la pace in Sudan
Grande è stato l'impegno della Chiesa sudanese per la pace in questa martoriata regione dell'Africa: vescovi, sacerdoti, missionari, laici, non hanno mai abbandonato nelle difficoltà le popolazioni di questa terra, in particolare quelle del Sud, in gran parte cristiani e appartenenti alle religioni tradizionali africane. Ascoltiamo in proposito l’arcivescovo di Khartoum, il cardinale Gabriel Zubeir Wako, intervistato da padre Moses Hamungole:
R. – We did much, actually, to convince people that …
Ci siamo impegnati molto per convincere la gente che con la violenza e la guerra non si risolve nulla e che la via migliore è quella del dialogo e collaborare l’uno con l’altro per raggiungere la pace. In molte occasioni abbiamo dovuto dire chiaramente al governo che il perseguimento di determinate politiche non aiuta a raggiungere la pace. Abbiamo detto alla gente del Sud, a quanti sono coinvolti negli scontri, che devono sviluppare una vera politica della pace: non una politica di guerra per ottenere la pace, ma una politica per raggiungere la riconciliazione senza uccidere la gente e distruggere le cose. Noi chiediamo a tutti di pregare per la pace: ognuno nel suo piccolo può dare il suo contributo a questo importante obiettivo. Infatti, quando è stata aperta la porta al male, a cominciare dalle lotte tribali e poi le ruberie e l’espropriazione dei beni … tutto questo ha modificato il comportamento morale della gente giustificando in qualche modo la guerra e diffondendo lo spirito di vendetta … Tutto ciò è diventato l’obiettivo della nostra azione pastorale tra la gente, soprattutto tra i più giovani: noi stiamo cercando di educare a una mentalità nuova i bambini nelle scuole.
D. – Quale deve essere il ruolo della Chiesa cattolica nel nuovo Sud Sudan?
R. – To keep the momentum of peace and reconciliation and of unity …
Quello di mantenere vivo questo momento di pace, di riconciliazione e unità, perché proprio ora stiamo portando a termine questo processo. E’ veramente un atto della Provvidenza di Dio che siano terminati alcuni dei maggiori conflitti che sono nati tra le stesse tribù del Sud a causa dei furti di bestiame, con il massacro di persone senza alcuna ragione: tutto questo ora è finito! E io spero che non sia finito solo per poi ricominciare, spero che sia finito definitivamente. Ora bisogna trovare il modo di far capire alla gente che la pace è una cosa così preziosa che non si può permettere che sia gettata via. Credo che il Sud Sudan stia sviluppando un nuovo concetto di pace e dell’essere cittadini: questa è una cosa davvero importante. (ap)
Sul futuro del nuovo Stato pesa il ricordo della lunga guerra civile contro Khartoum, in un momento in cui tensioni permangono anche nelle zone di confine dell’Abyei e del Sud Kordofan. Ce ne parla Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace, intervistato da Giada Aquilino nell’ambito delle attività promosse dall’organizzazione con la Campagna italiana per il Sudan:
R. – La transizione dall’oppressione alla libertà, dalla dittatura alla democrazia è molto lenta e difficile. Ci sono tante speranze e c’è un sogno che, in parte, si avvererà o comincerà ad avverarsi. Ci sono però ancora scontri, violenze, troppe armi in circolazione. A tutto questo sarà possibile dare una risposta positiva soltanto se i leader della politica internazionale si assumeranno fino in fondo la responsabilità che tocca loro, vale a dire: aiutare tutte le forze di pace e soprattutto la povera gente di quel Paese a spezzare una volta per tutte le catene dell’oppressione e della violenza.
D. – Le emergenze da risolvere in Sud Sudan oggi, alla vigilia dell’indipendenza…
R. – C’è un’emergenza umanitaria diffusa in tante aree, dovuta alle conseguenze di questa lunghissima sequela di guerre. Ci sono conflitti che continuano anche adesso: recentemente ci sono stati bombardamenti, ci sono stragi che vengono compiute quasi quotidianamente, che non possiamo tollerare.
D. – Quali sono le speranze per il nuovo Stato?
R. – La speranza è che si possa finalmente raggiungere un accordo sui confini, sull’uso delle risorse naturali di quella terra e si possa ricominciare il lento, ma positivo lavoro di costruzione di un’autorità, sia nel Sud Sudan sia nel Nord, che metta al centro il riconoscimento dei bisogni fondamentali delle popolazioni locali. (ap)
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