domenica 10 luglio 2011

Il censimento delle associazioni del clero in Italia. Da mille anni in aiuto del confratello (Rocca)

Il censimento delle associazioni del clero in Italia

Da mille anni in aiuto del confratello

di Giancarlo Rocca

Certamente impressionante è il numero delle associazioni del clero sorte in Italia dal medioevo a oggi. Un recente censimento (edito in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 2010, pp. 397-517) ne ha contato ben 594, un numero certamente errato per difetto, perché di tante associazioni, che si sa esistite, non si è potuto avere informazioni. Non per nulla questo censimento ha per titolo «Primo censimento», segno evidente che l'autore stesso si era reso conto delle lacune.
Sotto i nomi latini di fraternitas, sodalitas, congregatio, universitas, fratalia, fratalea, conventus, confraternitas, collegium, schola, e italiani di fraglia, fraterna, chieresie, congregazione, consorzio, società, scuole, unione, queste associazioni hanno aiutato migliaia e migliaia di sacerdoti secolari per almeno mille anni.
La struttura era semplice: a capo v'era un primicerio (poi detto arciprete), uno o due massari per le questioni economiche, un notaio e un nunzio. Le cariche erano annuali. Le finalità erano spirituali e materiali: si entrava nell'associazione per godere della cura che i confratelli avrebbero avuto per il funerale e i suffragi, e per usufruire del sostegno economico in caso di malattia e invalidità, nonché del diritto di partecipare alla distribuzione di beni e viveri effettuata ogni anno dalla congregazione.
Che le messe in suffragio dei defunti costituissero nel medioevo una grande preoccupazione è dato dal fatto che gli statuti di quel periodo ne parlano sempre, arrivando anche a stabilire una mole di messe. L'assistenza economica in caso di malattia contemplava che al sacerdote impossibilitato a uscire di casa venisse elargita l'offerta della messa come se l'avesse celebrata.
La divisione dei beni variava da congregazione a congregazione. A Venezia, dove erano presenti ben nove associazioni del clero, la divisione avveniva in base all'anzianità di presenza nella congregazione, che risultava divisa in tre ordini: quello dell'«orazione», quando il candidato entrava nella congregazione; quello della «mezza porzione», nel quale si passava dopo sei anni di «orazione»; quello della «parte intera», nel quale si passava dopo sei anni di «mezza porzione». Il reclutamento era volontario, ma limitato: ogni congregazione poteva fissare il numero dei suoi associati.
Quella sopra descritta costituisce la tipologia comune a tante associazioni del clero dal secolo decimo in poi. Vi furono, però, altri particolari tipi di associazioni. Anzitutto sono da segnalarsi gli oblati diocesani, il cui modello risale a san Carlo Borromeo, che li volle in servizio della diocesi. Emettevano un voto di obbedienza al vescovo, un voto di permanenza nell'istituto, cedevano tutti i proventi del ministero all'istituto e conducevano vita comune. Sul modello ambrosiano vennero fondate congregazioni di oblati anche altrove.
Va poi ricordata la «Congregazione di spirito» o «Congregazione segreta», che mirava soprattutto alla formazione spirituale dei sacerdoti secolari. I primi a dar vita a congregazioni di spirito sembrano essere stati i gesuiti che, nel 1582, nel loro collegio di Lecce, istituirono la «Congregazione de' sacerdoti nel collegio di Lecce della Compagnia di Gesù». La «vita devota» dei congregati aveva come base, ogni giorno, mezz'ora di orazione mentale, la celebrazione della messa, la recita dell'ufficio divino. I mezzi spirituali erano tipicamente quelli gesuitici: esame di coscienza, confessione frequente, lettura di testi spirituali, fedeltà alla partecipazione delle riunioni della congregazione, carità fraterna.
A Napoli famosa fu la «Congregazione della Conferenza delle Sante Missioni sotto il titolo dell'Assunta», fondata nel 1616 dal gesuita padre Francesco Pavone, che riuscì a raccogliere oltre quattrocento sacerdoti napoletani e divenne il prototipo di tante altre associazioni sacerdotali sparsi nell'Italia meridionale.
Accanto ai gesuiti operarono poi anche i pii operai, i redentoristi e, più tardi, i missionari del Preziosissimo Sangue.
Per i pii operai la congregazione più nota sembra essere quella dei preti della purità di Maria Santissima, fondata nel 1680. Le riunioni avevano luogo una volta la settimana e seguivano il metodo comune tra le congregazioni: dopo le preghiere iniziali v'era la discussione del caso di coscienza, il sermone del direttore, e poi esercizi pratici di predica o di istruzione con critiche da parte di uno dei congregati in precedenza a ciò deputato.
I redentoristi avevano il vantaggio di seguire il metodo fissato dal loro stesso fondatore, Alfonso Maria de' Liguori, per il quale erano grandi i vantaggi che le congregazioni potevano portare al clero secolare. Per i missionari del Preziosissimo Sangue, invece, il termine in uso era quello di «Ristretti», cioè piccoli gruppi di sacerdoti da fondarsi al termine delle loro missioni. Il primo di essi doveva essere il «Ristretto dei XII apostoli», costituito dai migliori sacerdoti della zona, che avrebbero poi sostenuto gli altri «ristretti» a favore di donne, giovani, contadini, in pratica per tutte le categorie di persone.
Le società per le missioni popolari e gli esercizi spirituali sorte nell'Ottocento costituiscono un altro tipo di associazioni ecclesiastiche. Esse parvero il mezzo ideale per la restaurazione della identità cristiana smarrita a seguito della rivoluzione francese e, raccomandate da Pio IX, sorsero numerose, specie nell'Italia settentrionale.
La particolare situazione politico-ecclesiale creatasi con l'unità d'Italia aveva creato difficoltà non solo per gli istituti religiosi, ma anche per il clero diocesano. In questo caso, però, prevalenti erano le questioni economiche.
Nacquero in quell'epoca molte associazioni diocesane, tutte composte di sacerdoti diocesani, che cercavano di garantire al clero un minimo di sussistenza e soprattutto un'assistenza in caso di malattia, invalidità e vecchiaia. Riprendevano cioè il concetto medievale dell'assistenza al clero bisognoso, ma lo strutturarono sul modello che le società assicurative laicali avevano ormai consolidato nella loro lunga esperienza. Si prevedeva anzitutto una tassa di ingresso, poi una tassa annuale di associazione diversa secondo l'età del sacerdote. In più d'un caso si escludevano sacerdoti che avessero oltre quarant'anni di età, e che, statisticamente, non sarebbero stati in grado di compensare con i loro contributi quanto presumibilmente la cassa avrebbe dovuto loro dare.
Gli stessi nomi di queste associazioni indicano il prevalere dell'interesse economico: «Società di mutuo soccorso, Lega per la difesa del clero, Cassa cooperativa, Segretariato diocesano per la difesa del clero». La difficoltà per tutte era quella di come strutturarsi: non volendo essere considerate come associazioni di lavoratori, la maggior parte si costituì come opera pia o società cooperativa. Sembra che una sola, l'«Associazione di carità fra i sacerdoti dell'arcidiocesi di Firenze» (fondata nel 1901) si sia costituita come una società professionale, alla pari di quelle degli altri lavoratori, come ente sindacale del clero.
Un ritorno ad associazioni più interessate a moventi spirituali si ha dopo il concordato del 1929, quando cioè i problemi economici dei preti secolari cominciarono a risolversi. Si ebbero così associazioni di spiritualità o come istituti secolari o come associazioni legate ai movimenti (ad esempio i sacerdoti focolarini) o legate a istituti religiosi (come l'istituto Gesù Sacerdote legato alla Società San Paolo).
Queste associazioni sacerdotali ebbero dunque delle caratteristiche comuni. Anzitutto l'elevato numero di sacerdoti, sicuramente sino alla rivoluzione francese, ha facilitato la fondazione delle associazioni; si tratta sempre di associazioni diocesane, perché quando si cercò di arrivare ad associazioni nazionali ci furono difficoltà (per non urtare la sensibilità dei vescovi); infine, testimoniano come la storia delle società di mutuo soccorso sia molto antica.

(©L'Osservatore Romano 10 luglio 2011)

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